La sindone nella storia

0
2809

La mia specializzazione ed il mio ruolo nel panorama della ricerca sulla Sindone mi impongono in questa sede di presentare una introduzione di carattere generale sul tema della Sindone e la storia. Penso che tutti abbiate notato come nel titolo del mio intervento volutamente ho invertito i termini del rapporto tra storia e Sindone. Sino ad ora si è infatti sempre parlato di “storia della Sindone”, presupponendo quindi di potere in qualche modo ricostruire una serie di eventi concatenati in grado di dimostrare la risalenza della Sindone, con lo scopo, dichiarato o sotteso, di giungere all’evidenza della sua appartenenza al corredo funerario di Cristo, oppure di decretarne l’origine medievale. Questa strada si è rivelata frustrante per entrambe queste correnti, e fonte di interminabili dibattiti e scontri del tutto estranei alla metodologia della critica storica, per non parlare, nella fattispecie, alla realtà fondamentale della Sindone.
Più volte ho cercato di mettere in guardia da queste deviazioni che contribuiscono solamente a creare diffidenza e interesse malsano del pubblico e dei media verso la Sindone.
Vorrei quindi ancora una volta cercare di chiarire quelli che a mio avviso sono fini e metodi della ricerca sulla Sindone, e che sono il filone del mio impegno di studio personale sulla Sindone. La questione preliminare da affrontare, e forse anche la più complessa, è la dialettica esistente tra i vari canali attraverso i quali si cerca di accertare l’origine di questo straordinario lenzuolo in relazione alla tradizione che la vuole essere il lenzuolo sepolcrale di Cristo, ed il valore da attribuire loro.
Ricorderò solo, ai nostri fini, che tali canali si possono schematicamente ricondurre a due tipologie che sono, da una parte lo studio diretto dell’”oggetto” e delle caratteristiche che lo costituiscono e dall’altra la ricerca ed esame critico di tutte quelle fonti che ne corredano la tradizione, vera o presunta, quali l’esegesi dei testi evangelici, la storia, l’iconografia e quant’altro possa servire ad aumentare la conoscenza indiretta della Sindone.
Certamente la possibilità di esaminare direttamente l’oggetto ci pone in una posizione privilegiata. Tuttavia molte incomprensioni sono sorte, tra chi da un lato sostiene l’assoluta preminenza dei dati della ricerca diretta, e chi dall’altro li rifiuta in nome di vere o presunte certezze storiche.
Spostando il discorso più sul generale, senza perdere di vista il riferimento alla Sindone, possiamo trovarci di fronte a varie possibilità.
C’è innanzitutto il problema del silenzio delle fonti documentarie, spesso invocato anche contro la Sindone. Sul suo significato nelle ricostruzioni storiche in generale è stato scritto molto. In linea di massima l’eventuale silenzio – o meglio mancanza – “di” (più che “delle”) fonti è scarsamente significativo rispetto ai risultati della ricerca obbiettiva.
Se invece vi è contrasto tra l’esame obbiettivo e i dati della ricerca storica, si impone un approfondimento parallelo dei risultati complessivi dell’esame dell’oggetto e delle fonti. Tuttavia è ragionevole ritenere una prevalenza dell’esame obbiettivo. Se comunque le fonti sono molte, univoche e di diversa provenienza, è lecito sottoporre ad una revisione i mezzi e le conclusioni dell’esame obbiettivo, onde valutarne sotto ogni aspetto l’attendibilità. Spetta tuttavia alla critica scientifica, seppur stimolata dalla ricerca storica, il giudizio sui risultati sperimentali.
E’ quindi fondamentale rispettare i limiti di ogni disciplina.
Ritornando al nostro argomento, devo ancora una volta ribadire, con buona pace di tutti, che un approccio corretto al problema dell’origine di questa Sindone di Torino da un punto di vista strettamente storico non possa al momento mettere in discussione il fatto che risalire ad un periodo anteriore alla comparsa in Francia intorno alla metà del Trecento sia arduo.

{mospagebreak}
Mi pare che di questo si debba essere pienamente coscienti. Qualunque ipotesi, qualunque strada si voglia percorrere, dobbiamo convenire che fonti documentarie in senso stretto che ci permettano di collegare la Sindone di Torino con l’Oriente non esistono.
Non possiamo assolutamente accettare, per coerenza e rispetto della serietà della ricerca, che si delinei con olimpica certezza una storia che dal momento della sepoltura di Gesù accompagni la Sindone sino a Torino. Parlo naturalmente da un punto di vista strettamente documentale.
Anche perché, oltre ad essere scientificamente scorretto, si tratta di posizioni controproducenti nei confronti dello stessa credibilità della ricerca sulla Sindone.
Accanto a ciò dobbiamo tuttavia egualmente prendere atto che la storia nota della Sindone dal Trecento ad oggi non soddisfa una serie di conclusioni che la ricerca diretta sul Lenzuolo ci indica. Di qui l’esigenza di considerare possibile un periodo di sua esistenza precedente a quello “storico”. Di qui la correttezza e la legittimità di una ricerca su tale periodo.
Molta strada è certamente stata compiuta nello studio del primo millennio di possibile esistenza della Sindone, ma il livello di certezze è ancora assai basso.
Credo sia ormai innegabile che esiste una tradizione della conservazione delle reliquie di Gesù, tra le quali figurano anche i lini sepolcrali, ed esiste pure una costante tradizione iconografica che potrebbe trovare una giustificazione plausibile con la conoscenza dell’immagine della Sindone: ricordiamo che documenti – in senso tecnico – non sono solo quelli scritti, ma tutto ciò che è atto a fornirci delle informazioni su di un fatto. Sulla base quindi di una notevole mole di notizie e prove che faticosamente si vengono estraendo dalle fonti più antiche, che tuttavia pur essendo estremamente suggestive non si possono considerare risolutive, si sono tracciate delle ipotesi che rappresentano delle piste di lavoro, e forse anche qualche cosa di più, per ricostruire il passato della Sindone di Torino.
Sicuramente l’ipotesi più suggestiva su cui ci muoviamo è l’identificazione Sindone-Mandilion. In effetti lo sforzo di ricerca compiuto su tale oggetto è straordinario ed i risultati incoraggianti. In questi venti anni, dall’intuizione di Maurus Green e di Ian Wilson, dobbiamo constatare che molti passi avanti sono stati compiuti. Certamente l’identificazione crea ancora dei problemi e non mi pare possa essere data per scontata. Ma mi pare assai importante constatare invece che, al di là della possibilità di identificazione, si possa con una certa fondatezza spostare all’indietro la data dalla quale si parla dell’esistenza di una Sindone con l’immagine di Cristo, oggi comunemente legata alla testimonianza di Robert de Clari.
Non si può infatti negare che le fonti rinvenute circa il Mandilion testimoniano comunque la conoscenza di un telo con l’impronta di Cristo, ed addirittura del Cristo morto.
Mi pare che più spazio in questo senso dovrebbe essere dato alla ricerca sulla tradizione del “volto santo” di Lucca. Già il Savio sottolineava il rilievo della tradizione che voleva il crocefisso di Lucca scolpito da Nicodemo sulla base dell’impronta di Gesù sulla Sindone, riferendosi all’appendice al testo di Leobino. Ma il compianto e dottissimo padre Dubarle con il confronto tra l’appendice a Leobino e il passo degli “Otia Imperialia “ di Gervasio di Tilbury ha condotto oltre la ricerca. In questo modo arretreremmo la conoscenza di una Sindone figurata al XII secolo. Ritengo potrebbe essere un’acquisizione, per le conseguenze logiche che essa comporta, assai importante.
Quindi, pur se la teoria di Edessa e quanto ad essa collegato risulta assai interessante, è bene non venga tralasciato l’approfondimento di altre ipotesi che nel tempo sono state percorse circa la conservazione del corredo funerario di Cristo, pur con le riserve che il padre Dubarle ha sollevato circa l’interpretazione di testi invocati nel tempo per ricostruire il passato della Sindone.
Ammettendo comunque di poter provare l’esistenza di una Sindone figurata nel primo millennio, ci dobbiamo confrontare con il problema della continuità storica, per poterla in qualche modo collegare, in assenza di prove documentarie, con quella comparsa in Occidente nel Trecento. Anche su questa lacuna sono state impegnate molte risorse in quest’ultimo ventennio, con dei risultati decisamente incoraggianti.
Mi riferisco soprattutto alle modalità del possibile passaggio in Europa della Sindone citata in Costantinopoli da Robert de Clari.

{mospagebreak}Non possiamo qui ripercorrere le innumerevoli teorie che nei secoli hanno tentato di ricostruire questo periodo. Anche perché la più parte di esse non ha resistito alla critica storica.
Ripercorrerle potrebbe per altro essere utile per comprendere quante sfaccettature possa avere la fantasia dell’uomo, e quante volte si confonda il lavoro del ricercatore storico con quello dello sceneggiatore di film fantasy di basso livello.
Sono così nati strani coinvolgimenti dell’aspetto “oscuro” dei templari, che ovviamente hanno partorito (e cosa ci si poteva aspettare di diverso?) inverosimili percorsi della Sindone, con identificazioni che vanno dal discusso e probabilmente inesistente “baphomet” templare all’inverosimile equivalenza sindone-graal, teoria quest’ultima che sconcerta anche per la leggerezza con cui viene ignorato il lungo approfondimento relativo alla nascita del termine, alla sua evoluzione ed al suo utilizzo nelle opere medievali
Non sto a ripetere quanto queste fantasie contribuiscano in maniera determinate a gettare il discredito su tutta quanta la ricerca sindonica, sia essa storica sia scientifica. Esse giustificano pienamente la nascita di gruppi e persone che, sulla base della superficialità di tali posizioni, si oppongono al riconoscimento di un qualsiasi valore scientifico della Sindone.
Al momento mi pare che una ricerca da privilegiare sia quella che ci porta ad investigare sulla storia della famiglia Charny in Grecia negli anni immediatamente precedenti la comparsa della Sindone in Europa. Dopo anni di ricerche mi permisi di proporre i primi risultati al convegno di Torino del 1998 confermandoli e ampliandoli a quello di Parigi del 2001, aprendo in maniera strutturata un nuovo indirizzo di ricerca. Vedo con soddisfazione che non pochi sono oggi gli studiosi che condividono questa linea, dalla quale sono convinto potranno scaturire spunti interessanti. Certamente sino ad oggi essa è servita da avvicinare in qualche modo i due elementi, Charny e Sindone, ad un possibile punto di contatto anteriore alla comparsa in Europa, ma senza consentire di trarre conclusione alcuna.
Come noto la storia “certa” – nel senso di documentata – della Sindone inizia solo verso la metà del XIV secolo, quando compare alla ribalta della storia europea come bene nelle mani del “preux” cavaliere Geoffroy de Charny.
Certo questa data non soddisfa tutta una serie di ricerche dirette sul lenzuolo che fanno presupporre una origine precedente a quest’epoca, mentre al contrario sembrerebbe confortare appieno i risultati della datazione col radiocarbonio. Occorre quindi saper mantenere il massimo equilibrio, rammentando quanto espressi poco indietro relativamente alla dialettica degli elementi di investigazione.
Decisamente importante è comunque il fatto che l’esistenza parallela di documenti scritti e iconografici relativi a quel periodo ci consente di identificare la Sindone oggi a Torino con quella comparsa a Lirey nel XIV secolo, escludendo qualsiasi forma di sostituzione.
Dal punto di vista storico diventano quindi insostenibili le teorie di chi vorrebbe vedere oscure vicende iniziali e manipolazioni della Sindone nel corso dei secoli successivi. Nello stesso calderone si trovano insieme templari, Leonardo, Graal, Sindone, Priorato di Sion ecc. ecc. In realtà mi pare di poter affermare con tranquillità, anche se con una certa insoddisfazione, che nulla di nuovo si può dire sia emerso non dico solo recentemente, ma già a partire dall’inizio del secolo scorso relativamente a questo primo periodo della storia documentata della Sindone.
Continuiamo in effetti a girare intorno al gruppo di documenti pubblicati all’inizio del secolo scorso dal dotto ma purtroppo ideologicamente condizionato Ulisse Chevalier, anche se per altro già noti sin dal ‘600, memoriale di Pierre d’Arcis compreso. Su questi documenti oramai si è detto tutto quello che si poteva dire, e forse anche di più, ed i sostenitori dell’origine fraudolenta della Sindone continuano a ripetere le stanche argomentazioni dello Chevalier, del De Mely, del Turston e così via, mentre i sostenitori del limitato valore di tali documenti oppongono considerazioni anch’esse già ampiamente scontate.
Tutto considerato oggi la ricerca storica sulla Sindone langue. Langue forse per mancanza di risorse intellettuali ed economiche, o forse perché si corre dietro a improvvisazioni e fantasie.

{mospagebreak}
O piuttosto langue perché veramente occorre rinnovare l’approccio storico allo studio della storia della Sindone, per individuare il vero contributo che la ricerca storica può portare alla sua conoscenza.
Credo occorra affrontare temi che sono stati lasciati in secondo piano da una impostazione degli studi che ha privilegiato, per tutto il secolo scorso – e in parte ancora in questo primo scorcio del terzo millennio – l’approfondimento sulla cosiddetta autenticità della Sindone, senza invece rendersi conto che se la Sindone ha un significato, questo è nello sviluppo del suo rapporto con gli uomini e la loro sensibilità spirituale e religiosa, condizione unica perché il piano provvidenziale che ha voluto lasciarci questa preziosa icona della Passione di Cristo si compia. Uno studio di questo aspetto, che potremmo definire col titolo “la Sindone nella storia della pietà” sarebbe il vero modo di affrontare in termini concreti la questione dell’autenticità, nell’unico senso possibile, che è quello dell’autenticità della sua testimonianza, dell’essere “specchio del Vangelo”, uno specchio che nel tempo non si è ossidato, ma ha continuato a riflettere quell’immagine leggibile e interpretabile pur attraverso epoche e culture complesse e differenti. Nello stesso tempo la lezione del passato, ove, contrariamente a quanto si può credere, la pastorale della Sindone fu sviluppata con grande attenzione e rigore, può portare conforto e vigore alla rinnovata attenzione a questo tema, che si è imposto nei periodi delle ostensioni di fine secolo scorso.
Ricordo a questo proposito che quest’anno si sono celebrati i 500 anni da quel 1506, anno che segna uno spartiacque per quanto riguarda il rapporto religioso con la Sindone. Quella che sino ad allora era una devozione “privata” – ancorché estesa e popolare – diventa “ufficiale”, con la sanzione della Santa Sede, che ne concede il culto assegnandole il giorno di celebrazione, l’ufficio e la Messa. Non si tratta certo di un momento isolato: rappresenta invece, nello stesso momento, punto di arrivo e di partenza di una tenace politica di valorizzazione della Sindone perseguita dai Savoia e dalla chiesa non solo locale. Dal momento della cessione ai Savoia, ed una volta risolto in qualche modo il contenzioso con i canonici di Lirey, viene sviluppato un chiaro percorso che sfocia nella bolla di Papa Giulio II del 1506, con la successiva estensione della festa oltre la città di Chambéry, in tutta la Savoia e poi, dopo l’arrivo a Torino, a tutti i territori sotto il dominio sabaudo. La liturgia iniziale, la cui redazione si attribuisce al domenicano Antonio Pennet, subì alcune modifiche nel corso del tempo, per adattarla alle mutate esigenze liturgiche e pastorali. Tuttavia questo sviluppo, estremamente interessante per quanto riguarda la testimonianza del valore pastorale e liturgico annesso alla Sindone, necessita ancora oggi di uno studio attento e preciso.
D’altra parte è abbastanza certo che anche prima della cessione ai Savoia la Sindone godeva di un suo particolare culto, forse anche di una paraliturgia di cui si hanno tracce, soprattutto nelle carte della querelle di Lirey, carte che, studiate sotto questo aspetto e spogliate delle pretese valenze relative al loro significato sull’origine del telo – che oramai hanno perso ogni senso e significato – possono rivelare sorprendenti risorse. Quello che mi interessa, e che in parte già evidenziai nel Simposio del 2000, è il rapporto che gli uomini ebbero in quell’epoca con la Sindone: dalle posizioni teologiche e dalle preoccupazioni pastorali tutto sommato comprensibili di Pierre d’Arcis, che esprime tutto il suo disagio di teologo e pastore per l’atipicità delle caratteristiche della nuova reliquia – e questo dovrebbe farci riflettere sulle difficoltà logiche di concepire nel medioevo un manufatto con tali caratteristiche – alle liturgie e paraliturgie dei Canonici di Lirey; dalle misurate e ponderate suppliche degli Charny al saggio spostamento di prospettiva operato da Clemente VII – da reliquia a immagine – per consentirne lo sviluppo della valenza pastorale. E poi tutto quello che si evince relativo alla pietà popolare, che porta la gente in pellegrinaggio a Lirey per vedere l’immagine di Cristo, pietà che scorre e attraversa contesti estremamente differenti, vuoi culturali, vuoi cronologici, vuoi geografici senza mai spegnersi perché alla base c’è sempre quella biblica, forte ricerca del volto di Cristo. Volto di Cristo che coerentemente dalla Sindone si cala nella vita vissuta, secondo l’insegnamento evangelico: non è un caso che tra le espressioni della pietà verso il “Christus patiens” nella Sindone si ritrovano in tutti i tempi e in tutti i luoghi opere caritative che tanti fedeli hanno istituito e gestito.
Come si può evincere da questi brevi tratti, che però riassumono un programma di lavoro e ricerca già ben strutturato ed avviato, il tema è di fondamentale importanza.
Il primo effetto di questa nuova linea si è sviluppato nel simposio tenuto quest’anno a Torino sulla liturgia, teologia e pastorale della Sindone, in una prospettiva storica e attuale, che la Commissione Diocesana per la Sindone in collaborazione con la Facoltà teologica di Torino e il CIS hanno organizzato proprio per celebrare i 500 anni dalla concessione del culto della Sindone.
Gli atti saranno disponibili nei primi mesi del prossimo anno e credo che rappresenteranno una pietra miliare nell’approccio alla Sindone.

Europasera ringrazia il prof Zaccone per il contributo per la nostra inchiesta.