Le sindoni: storia e leggende. parte 2

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Reliquie di monasteri e chiese nel mondo occidentale.

Anche in Europa abbondavano le reliquie della passione di Gesù e non mancavano i “volti santi” dipinti miracolosamente, come l’immagine acheropita del Sancta Sanctorum di Roma, la Veronica, il Volto Santo di Lucca. Nell’XI-XII secolo si diffuse e fiorì il culto delle sindoni. L’esempio più antico è il Sudario di Oviedo, un tessuto di lino macchiato di sangue datato al VII secolo; gli altri esempi più documentati sono la Sindone di Carcassonne, che è un velo di seta datato all’XI secolo, il Sudario di Cahors, che è una tipica cuffia medievale dello stesso secolo, la Sindone di Cadouin, un telo di m 2,81 x 1,13, con due bande laterali ricamate e colorate, sempre dell’XI secolo. Tutte queste reliquie sono tuttora esistenti. Altre reliquie analoghe sono andate distrutte durante la Rivoluzione francese, di esse l’esempio più importante è la Sindone di Compiègne, che si faceva risalire ai tempi dell’imperatore Carlo II il Calvo. Di altre ancora se ne son perse le tracce nel corso dei secoli. Innumerevoli e impossibili a contarsi sono i frammenti di Sindoni, che si riscontrano praticamente sempre, quando si riesce a trovare un inventario di reliquie ricco e abbastanza antico.
Esse davano prestigio e soprattutto ricchezza al monastero, alla chiesa, al paese o città che le ospitavano. La sindone, il cui culto si è più diffuso in Francia, era quella di Cadouin: l’abbazia e il paese si ingrandirono e fiorirono proprio grazie a questa sindone; quando nel 1392 essa fu trasferita a Tolosa, in breve decaddero sia il paese sia l’abbazia, che fu abbandonata e semidiroccata. Dopo che nel 1463 la sindone ritornò a Cadouin, paese e abbazia rinacquero più grandi e più prosperi di prima. Da molto lontano i pellegrini confluivano lì soprattutto in occasione delle solenni ostensioni, anche per lucrare l’indulgenza plenaria, che era connessa con tale pellegrinaggio. Con la Rivoluzione francese, anche se la sindone di Cadouin si salvò, il suo culto si ridusse notevolmente e il paese stesso cominciò a spopolarsi. Nel 1866 si tentò, con un certo successo, di rilanciare il culto e i pellegrinaggi, ma nel 1935, quando si scoprì che le bande di abbellimento ricamate recavano delle scritte in cufico inneggianti a Maometto, il culto fu drasticamente sospeso e oggi l’abbazia è chiusa al culto e il paese di Cadouin non esiste quasi più

3. Cambiamento in Occidente dopo la presa di Costantinopoli: il re di Francia fonda la Sainte Chapelle come affermazione del prestigio regale.

Come ci raccontano i cronisti, con la presa di Costantinopoli da parte dei Crociati nel 1204, ci fu una particolare attenzione da parte degli europei nel procurarsi reliquie: in gran quantità esse affluirono ai vari centri europei, soprattutto a San Marco di Venezia. Al nuovo imperatore latino rimase una cospicua parte delle reliquie: tutte quelle della passione, che furono da lui date in pegno per ottenere finanziamenti.
Il re di Francia Luigi IX il Santo manifestò un estremo interesse per queste reliquie, le acquistò dall’imperatore, le riscattò da chi le tratteneva in pegno e le accolse con grande onore a Parigi, dove giunsero con tre spedizioni tra il 1239 e il 1241. La più apprezzata di esse fu la corona di spine, che ebbe il posto d’onore nella nuova chiesa costruita appositamente, la Sainte Chapelle del palazzo reale di Parigi. Il re Luigi IX e poi anche i suoi successori organizzavano delle grandiose ostensioni di queste reliquie, generalmente conservate chiuse dentro una cassa, chiamata ‘la grande chasse’, e facevano dono di frammenti a persone ed enti che volevano onorare.
Attraverso gli inventari della Sainte Chapelle, a partire dal primo del 1247 fino a quello del 1793, noi possiamo constatare la presenza continua di queste reliquie nella Sainte Chapelle. Fra di esse ricordiamo che vi era anche un pezzo dei teli funerari di Gesù, chiamato a volte sindone e a volte sudario, e il Mandylion di Edessa. Con la Rivoluzione francese, a parte la corona di spine e un pezzetto della vera croce, tutte le altre reliquie sono andate perdute.

4. Storia delle sindoni dalle origini.

I teli sepolcrali di Gesù (la sindone, il sudario del volto e le fasce) sono argomento di riflessione per i cristiani fin dal momento della stesura dei primi vangeli (vangeli canonici, Vangelo degli Ebrei) e possiamo sospettare che un culto di queste reliquie, insieme a qualche leggenda che le riguardava, fossero esistenti fin dal II secolo d.C. Comunque la prima testimonianza dell’esistenza di una specifica sindone venerata dai fedeli risale all’anno 580 d.C., quando il pellegrino Antonino da Piacenza ricorda che in Palestina, in una caverna vicino al Giordano, si conservava il sudario del capo di Gesù. Dopo la conquista araba di Gerusalemme nel 638, i nuovi governanti permisero la continuazione dei pellegrinaggi cristiani in Terrasanta. Nell’anno 670 un sudario del capo, un lenzuolo di circa 2 m di lunghezza, era conservato e particolarmente venerato in una chiesa di Gerusalemme.
Nonostante la continuazione del culto in Gerusalemme, contemporaneamente si sviluppò la leggenda che il sudario del capo fosse stato messo in salvo da alcuni cristiani in fuga dalla Terrasanta per approdare, dopo alcune vicissitudini, ad Oviedo nell’anno 810, dove ancora oggi si conserva. La datazione col metodo del C14 per questo telo ha fornito una data attorno all’anno 680 d.C.
In seguito, dal X secolo in poi (la prima attestazione è dell’anno 959), i teli funebri di Gesù, la sindone, il sudario del capo e le fasce sono attestati tutti presenti a Costantinopoli. I pellegrini che hanno lasciato descrizioni della città e delle reliquie non mancarono mai di nominare i teli funebri, anche se non sempre distinguendoli l’uno dall’altro. Questi teli si conservavano nella cappella del palazzo imperiale, detto di Bucoleon, la stessa sede dove era conservato il Mandylion di Edessa. Nessuno dei pellegrini che hanno parlato delle reliquie omette mai di nominare il Mandylion e insieme uno o più dei teli sepolcrali.
Prescindendo dai teli sepolcrali di Gesù conservati a Costantinopoli, con la I Crociata (1096-1099) sindoni e sudari cominciarono ad affluire nelle città e nei monasteri dell’Europa. A volte queste reliquie erano accompagnate da leggende che facevano risalire il loro arrivo in Europa ai tempi di Carlo Magno, appoggiandosi a un fantasioso racconto che voleva Carlo Magno liberatore di Gerusalemme dai saraceni o comunque soggetto di un viaggio in Oriente, che in realtà non aveva mai compiuto.
 Le sindoni: storia e leggende parte 35. Storia del Mandylion

Dal 1978 non è più possibile parlare di sindoni senza trattare anche del Mandylion di Edessa. Questo oggetto miracoloso, il ritratto del volto di Gesù vivente impresso su un asciugamano, è noto come presente nella città di Edessa (odierna Urfa in Turchia) fin dal VI secolo. La leggenda che accompagnava quest’oggetto lo faceva risalire ai tempi del re Abgar, contemporaneo di Gesù, appoggiandosi alla preesistente leggenda relativa alle lettere scambiate tra Abgar e Gesù. Nel 944 il Mandylion fu trasferito da Edessa a Costantinopoli e conservato nella cappella del palazzo imperiale di Bucoleon, insieme alle reliquie della passione.
Con la conquista di Costantinopoli del 1204, il Mandylion rimase proprietà dell’imperatore latino e poi (1241) fu da questi ceduto al re di Francia Luigi IX, insieme a tutte le reliquie della Passione, e collocato, sempre racchiuso nel suo reliquiario bizantino, nella grande chasse all’interno della Sainte Chapelle di Parigi. È attestata la sua esistenza, sempre nelle stesse modalità di conservazione, fino al 1793, quando sparì nel corso delle vicende della Rivoluzione francese.
Ian Wilson nel 1978, dando per scontata l’esistenza di una ed una sola sindone, ha lanciato l’idea che sindone e Mandylion di Edessa fossero lo stesso oggetto, identificandolo anche con la Sindone di Lirey-Torino. Per il periodo di assenza di notizie tra il 1204 e il 1355, ha tirato in ballo un’ipotesi che coinvolge i Templari e i loro segreti. Questa sua ipotesi gli ha arrecato una grande fortuna come fantastorico e sindonologo e, oltre ai libri sulla sindone, ha pubblicato libri sulla vera Atlantide nel Mar Nero, sull’identità segreta di Shakespeare, sugli abitanti di Bristol che avrebbero visitato l’America prima di Colombo e molto altro. Dal 1978 in poi, l’impossibile ipotesi della identificazione sindone-Mandylion è accettata acriticamente da tutti i sindonologi e anche da alcuni fra gli scettici.

Foto:"Il reliquiario del Mandylion (S.Toile) nella Sainte-Chapelle di Parigi, in una stampa del 1647 [Da J. Durand, Le trésor de la Sainte-Chapelle, Paris 2004,p.135]".

6. Contaminazione tra le leggende delle sindoni e le leggende sui volti santi; nascita degli epitaffi.

Fino a tutto il XII secolo nel mondo cristiano circolarono due gruppi di leggende ben distinti tra loro: quelle relative ai volti santi, cioè immagini miracolose del volto di Gesù vivente (l’acheropita di Camulia, il Mandylion di Edessa, la Veronica di Roma), e quelle sui teli sepolcrali, ovvero sindoni, sudari e fasce (a Gerusalemme, Costantinopoli, in Francia), sui quali mai fino a quel momento si era descritta una qualsiasi immagine. Il primo a trattare di un telo funebre con l’intera immagine di Gesù fu il crociato Robert de Clari (1204), il quale ci descrive l’ostensione di un telo funebre (sindone) su cui era visibile l’immagine intera di Gesù. Quasi contemporaneamente a questa testimonianza abbiamo l’attestazione di due leggende che spiegano l’origine di questo tipo di immagini: nel 1211 Gervasio di Tilbury ci racconta che Gesù aveva inviato al re Abgar un lenzuolo sul quale egli stesso si era disteso lasciandovi impressa la propria immagine; secondo un altro racconto dello stesso autore, l’immagine di Gesù si sarebbe formata sul lenzuolo al momento della deposizione dalla croce. Di pari passo con le leggende, nel mondo bizantino si andava diffondendo l’usanza dell’epitaffio, cioè un telo che raffigurava per intero l’immagine di Gesù e che faceva parte della liturgia ortodossa soprattutto nella Settimana Santa; il suo uso si è conservato fino ad oggi.
A questo punto possiamo sospettare che Robert de Clari nel 1204 abbia visto proprio uno di questi teli usati nella liturgia bizantina e l’abbia interpretato in maniera erronea come una vera reliquia. Nessuna meraviglia che questo oggetto sia andato perduto, perché sicuramente non era compreso fra le reliquie della passione di Gesù, le quali invece tutte furono conservate con cura dai conquistatori crociati.

7. Passaggio dell’idea di sindone con impronta del corpo in Occidente. Nascita della Sindone di Lirey-Torino.

Se è inaccettabile la teoria di Wilson che identifica il Mandylion con la Sindone di Lirey-Torino, da dove è venuta fuori quest’ultima? I documenti medievali che ci sono rimasti e che sono stati pubblicati a più riprese e ultimamente in traduzione italiana completa nel nostro lavoro ‘La Sindone svelata e i quaranta sudari’, sono tutti unanimi nell’attestare che si tratta di un’opera dell’ingegno umano, prodotta nella zona di Troyes nella Champagne nel 1355 o poco prima. Si pone a questo punto la domanda da dove l’artista della Champagne abbia preso l’idea per creare un’opera così ingegnosa e diversa da tutte le altre analoghe reliquie che si conservavano in Francia.
La Francia del XIII secolo si era dimostrata il paese più interessato e ricettivo per quel che riguardava le reliquie bizantine. Lo stesso Robert de Clari, tornato in patria, facendosi monaco a Corbie, donava a quel monastero 54 reliquie costantinopolitane, tra le quali alcuni pezzi dei teli funebri. Nessuna meraviglia che il racconto di Robert de Clari si sia diffuso, accompagnato magari da altre notizie sugli epitaffi usati nella liturgia, che nel XIV secolo si andavano diffondendo per il mondo ortodosso.
Un geniale artista della Champagne, probabilmente uno scultore della famosa scuola di scultura di Troyes, ebbe l’idea di creare un’immagine sindonica realistica, partendo da un bassorilievo prodotto da lui stesso. Il suo prodotto passò nelle mani dei canonici di Lirey, i quali probabilmente e lo acquistarono a spese del cavaliere Geoffroy di Charny, e poi decisero di spacciarlo per una reliquia originale. Il vescovo di Troyes, il combattivo Henry de Poitiers, subodorò l’inganno e scoprì l’artista, il quale immediatamente confessò. Forse l’artista era in buona fede e la colpa dell’imbroglio era tutta dei canonici di Lirey. Comunque possiamo essere sicuri che il combattivo vescovo di Troyes proibì all’artista di ripetere la sua performance e non volle tramandare ai posteri né il nome né la tecnica da lui usata, per evitare il prevedibile moltiplicarsi di ‘vere sindoni’ con l’immagine di Gesù.