LA DEPRESSIONE E IL SUICIDIO DEGLI ANZIANI

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La decadenza psichica dei soggetti anziani è dovuta a disidratazione del parenchima cerebrale con

espansione dei circuiti liquorale, dilatazione dei ventricoli cerebrali, delle cisterne e degli spazi subaracnoidei.

In realtà, i deficit neurologici e psichici non sono dovuti tanto a fenomeni di arteriosclerosi ma alla atrofia cerebrale. Nell’atrofia cerebrale vi è una corrispondente ipotensione liquorale. L’atrofia cerebrale con dilatazione degli spazi liquorali ed ipotensione liquorale si può verificare anche nei giovani. Le principali cause sono i gravi traumi cranici seguiti da coma prolungato, le droghe e alcuni farmaci come i tranquillanti. Con il progredire dell’età, alle variazioni anatomiche cerebrali, si accompagna l’indebolimento del tono psichico e dell’attività fisica.

Anche in età giovanile può comparire la depressione psichica, quasi sempre con segni di atrofia cerebrale e dilatazione dei ventricoli cerebrali.

Il depresso si riconosce per l’attività ridotta, lo sguardo spento, il viso atono e triste. La sua rima palpebrale tende ad abbassarsi ai lati, come quella di chi piange, non è capace di compiere uno sforzo intellettuale, ha un indebolimento dell’attenzione,  della memoria e della volontà.  I suoi sforzi sono ridotti a tentativi. Ha perduto l’interesse alle attività preferite negli anni precedenti la depressione. Fisicamente è diminuita le forza muscolare, il metabolismo e la potenza sessuale.

E’ fisiologico che, con l’avanzare dell’età, esistano segni di depressione, ma in molti soggetti non si giunge a livelli patologici. Il vero depresso è ossessionato dal pensiero della morte, finisce per desiderarla perché non si sente in grado di affrontare le azioni più semplici che si compiono ogni giorno.

Dal libro “Cause di morte” pubblicato dall’ISTAT nel 2002, riferito all’anno 1999, risultano morti di ambo i sessi per suicidio 4115 persone. Il numero più alto dei morti si trova fra quelli con età compresa fra i 75 e i 79 anni con la cifra di 396 casi, seguono i morti con età compresa fra i 70 e i 74 anni (390 deceduti)  Il mezzo di morte più usato è stata l’impiccagione (1722 casi) sempre per ambo i sessi. La seconda causa di morte per suicidio è dovuta alla precipitazione (895 casi).

Per la depressione degli anziani i farmaci più usati sono gli antidepressivi triciclici , insieme agli ansiolitici,  in particolare le benzodiazepine, che danno dopo 20 giorni l’assuefazione, che costringe all’aumento delle dosi. Gli antipsicotici come la clorpromazina e l’aloperidolo possono dare nell’anziano stato confusionale e delirante. Casi di suicidi indotti dalla reserpina sono stati pubblicati da diversi decenni. Nel 2004 la F.D.A. ha ordinato di indicare sulle scatole degli antidepressivi che essi possono causare suicidio nei bambini e negli adolescenti. Solo dopo 8 mesi è stato scritto che possono causare suicidio anche negli adulti. Inghilterra, Giappone, Australia, Canada hanno pubblicato questo avvertimento. E’ interessante notare che i suicidi legati all’uso degli antidepressivi si verificano durante le crisi di astinenza dal farmaco.

L’autore di questo articolo si è occupato per decenni del coma cerebrale traumatico e delle conseguenti atrofie cerebrali. Ha svolto indagini sui tranquillanti e sugli ormoni postipofisari: Le conclusioni a cui è giunto riguardano anche le depressioni e i suicidi che purtroppo costituiscono la tappa di arrivo di molti anziani depressi. In una indagine riguardante soggetti che si erano suicidati, è risultato che, su trenta di essi, ventisette erano affetti da depressione.

La brevità di questo articolo, soltanto introduttivo al problema , sconsiglia al momento di entrare nei dettagli delle indagini scientifiche. Al momento verranno enunciate soltanto alcune conclusioni delle indagini che spiegherebbero l’insuccesso delle terapie della depressione con l’uso degli ansiolitici e degli antidepressivi. Una delle indagini svolte dall’autore negli anni settanta ha evidenziato l’inibizione esercitata dai tranquillanti sulla vasopressina con la conseguente diminuzione della pressione endooculare.

Gli ansiolitici e gli antidepressivi sono farmaci in grado di alterare l’omeostasi che caratterizza l’equilibrio fra gli ormoni dell’ipofisi anteriore e quelli dell’ipofisi posteriore.

Gli ansiolitici, inibendo la produzione della vasopressina, ormone postipofisario, determinano un aumento della produzione di prolattina, che è prodotta dall’ipofisi anteriore.

Uno dei compiti della vasopressina è quello di ricaricare le cellule nervose degli ioni potassio e di acqua durante il sonno fisiologico. Se questo non avviene,  l’effetto inibente dei tranquillanti sulla vasopressina, determina, a lungo andare, l’atrofia cerebrale per disidratazione.

Vi è una notevole differenza fra il sonno fisiologico e quello provocato da questi farmaci.

In questo tipo di sonno “farmacologico”, per il deficitario passaggio degli ioni potassio all’interno della cellula, la scarica elettrica, che caratterizza la sua attività, è meno intensa, di conseguenza il soggetto al risveglio è più stanco e confuso di prima.

L’organismo reagisce a questo processo innaturale con l’insonnia che costringe il paziente all’aumento delle dosi.

Una delle proprietà della vasopressina è quella di modulare la pressione venosa e in particolare il tono delle valvole venose. Il tranquillante, bloccando la vasopressina, determina un’ipotensione venosa e liquorale.

La modulazione della pressione venosa e liquorale sarà trattata di seguito.

La mancanza del tono venoso è causa di molte disfunzioni psichiche e neurologiche.

Da molti anni è conosciuto l’aumento della prolattina circolante dovuto all’assunzione di tranquillanti. Un alto tasso di prolattina può determinare delle sindromi psicotiche come quelle che si manifestano nella depressione post-partum.

Purtroppo queste sindromi vengono curate con gli antidepressivi che aumentano progressivamente il tasso di prolattina, aggravando la sindrome psicotica. Basterebbe fare dei controlli sul tasso di prolattina per ovviare a questo errore terapeutico. E’ evidente che questi controlli dovrebbero essere eseguiti a maggior ragione nei pazienti anziani depressi che sono spinti, oltre che al suicidio, anche all’omicidio per l’aumento della prolattina che provoca anche un aumento dell’aggressività.

Il controllo della prolattinemia ha un valore maggiore della ricerca diretta nell’organismo di molte sostanze psicotrope proibite ai soggetti che svolgono compiti particolari, perché rivela il danno reale prolungato nel tempo e non potenziale sulla psiche dato dalle stesse sostanze.

LA DEPRESSIONE E IL SUICIDIO DEGLI ANZIANI PARTE II per approfondimeti vedi pagina del prof Cinquemani

La potenza sessuale in un soggetto sano può rimanere integra sino a tarda età, ma un eccesso di prolattinemia può determinare l’impotenza (Harmann e collaboratori 1966).

L’inibizione del testosterone endogeno ha notevoli conseguenze negative.

Per ulteriori approfondimeti vedi pagina del prof Cinquemani