Sarà quel che sarà?

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Primo Gennaio Duemilaotto, buoni propositi e parole che svaporano nell’etere, veloci come le bollicine che evaporano dai brindisi, dalle bottiglie vuote, rotolate a terra e lì lasciate, in attesa che qualcuno le degni di attenzione. Primo Gennaio da una nuova prospettiva sempre uguale; nessuna differenza sostanziale coi precedenti, se non dal profilo delle tasche della gente. La stangata, infatti, non sarà conforme alle passate abitudini, bensì molto più secca, tignosa. Gas, luce, acqua, e poi la solita benzina, le autostrade, l’irragionevole 15% delle ferrovie, gli alimenti, i generi di prima necessità. Il popolo dei pensionati, delle ragazze madri con figli a carico e miserrimi aiuti da uno stato-antistato, dei disadattati, degli immigrati onesti ma sopraffatti, vessati, grida con un filo di voce la propria lotta quotidiana. Signorilmente, senza retorica e senza il noioso berciare dei potenti, senza la commedia di chi ha il pane ma è privo di denti (per sua scelta e, appunto, per meglio recitare una scena madre). Primo gennaio 2008 in numeri, dunque, perché sulle cifre in troppi balleranno una danza a rischio di inedia, fame e depressione. E mentre gli italiani regrediscono alle condizioni del dopoguerra, il governo si dice scarsamente preoccupato (e interessato) della cosa; il premier in allegra vacanza scherza sul tarantolato Dini, sicuro che la seggiola sarà un ottimo mezzo per ridurlo a miti consigli; smorza le polemiche sull’Alitalia venduta al peggior offerente e sul PIL in caduta libera. “Ce la caveremo ancora una volta”, finché tutti seguiteranno a lamentarsi senza agire. Le arnie del potere gusteranno il miele dell’altrui lavoro, continuando a battagliare per un posto al sole o per una caramella. Certo il vittimismo non è la soluzione, ma per reagire serve una volontà collettiva che – considerato il pubblico disinteresse – pare ancora al di là dal nascere.