La Parabola Improduttiva [Looping Generation]

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Dalla pay-per-view al satellite, fino al digitale terrestre.

Cosa ci aspetta nelle stagioni a venire non si sa; forse divi e veline potranno uscire dallo schermo come ologrammi e interagire con gli spettatori, comodamente spoltronati in poltrona. Ai quotidiani saranno allegati iPod e dvd che nessuno usa più, Telebubbole ci offrirà il meglio del meglio del Grande Fratello Novantanovesima Edizione, e su quotidiani, riviste e programmi si eliminerà la finestra della cultura in favore di Britney Spears in coma etilico, il rimpasto del glitter, l’Oscar per il più trendy dei blog. Lo scrittore austriaco Karl Kraus sosteneva che gli artisti hanno il diritto di essere modesti e il dovere della vanità, ma nelle odierne sabbie mobili è difficile che l’arte metta piede. Specialmente, se intesa come apertura spirituale. Come può, una generazione cellulare-dipendente, dirsi in preda al sacro fuoco letterario, a quello della comunicazione o del mutuo soccorso? Il primo ha pagine elettroniche facili da reperire, tanto quanto da cassare; il secondo ha profeti dell’estetica e politici cocainomani, che rispondono alla crisi del paese lievitando i propri stipendi come un calzone napoletano; l’ultimo corre dietro a effimeri ideali: il culto di sé. La società del bisogno insegna a prendere e non lasciare, a trattenere e non dividere, ché ogni lasciata è persa. Viva lo stress e le vacanze a tutto gas, avanti & indietro con l’auto anche per comprare il giornale, e se l’Asian Brown Cloud copre ormai dieci milioni di km quadrati ci penseranno i protocolli di Kyoto e di Copenaghen a depurare il cielo sopra Cina, Malaysia e mezza India. Le foto dal satellite mostrano un magma nerastro e gassoso che sembra un aerosol, ma senza poteri curativi.

Filosofi e pubblicitari dicono non è compito mio, e milioni di soldatini ripetono le frasi fatte a comando. Signorsì, signore. Full me(n)tal racket. Formulare un ragionamento autonomo è fuori moda, pecca di “presunta presunzione”, quasi fosse un delirio anarchico ostinato, masochista. È più comodo dirsi vili, impreparati, sfiancati, abbattuti dalle prove della vita, dai dispetti della sorte; si fugge altrove e si declina ogni responsabilità. “Non ho le qualità, né il coraggio. Pensaci tu”, va per la maggiore. Per chi ama il bon ton, invece, i suggeritori hanno qualcosa di più lirico. “Ci sono e non ci sono, come un fantasma relegato ai confini del tempo, dentro un castello mai visitato, circondato da poster, cuscini e pensieri incolti. Ci sono di rado perché il lavoro lo studio i problemi le paranoie i complessi le turbe le bollette e il parentado premono, e poi internet non va, il poco tempo libero lo passo sul mio forum, o a fantasticare di come sarà la mia prossima storia d’amore, di quanto voglio bene a quel cornuto del mio ex, di quanto ne voglio a chi non mi merita. Priorità, insomma. Il mondo può aspettare una formica come me, intanto io leggerò IT, cercando di mettere in fuga il clown pronto a staccarmi a morsi i desideri dalla pelle. Ognuno ha il suo clown dietro una porta incerta, pronto a sbranarti se ti mostri troppo curioso e tenti di aprirla. Provi e riprovi, pensi d’averla scampata, ma prima o poi ti becca. E se dovesse beccarmi vorrei avere la certezza di aver lasciato ogni cosa al suo posto: le relazioni personali, le imposte di casa chiuse, l’ultimo lavoro portato a termine. Perché il lavoro è tutto, alla fine. Potrei trovare tempo per tutto il resto, ma va bene così. Torno al mio dovere, prima di sentirmi troppo in colpa”.

Dicesi vita? Quella vera è impegnata a sfrattare tutti i richiami insensibili della società, a partire dal non è compito mio. Quella vera non gironzola per il mondo come un parassita, calcando un suolo che a volte rivendica suo, e altre pretende perfino di vendere. Costruire per sé è un esercizio improduttivo; la libertà conosce un solo linguaggio, chiamato armonia. E l’armonia non accumula, non trattiene ma dispone, regala, si presta in nome della civiltà.