Come un gatto, il governo cade in piedi, dopo due anni di agonia.
Del legittimo voto degli italiani si era persa traccia quasi subito, mentre cambiavano nomi, gusti, ruoli e convenzioni, senza intaccare la morale. Lo “scherzetto” dei senatori Udeur costa caro al Professore, costretto a rimettere il mandato di (s)fiducia e a chinare il capoccione. La coesione è impossibile, non vi è coagulante capace di tenere a freno l’impulso al divorzio che ci condanna ad essere parodia di noi stessi: gettiamo dalla torre ora l’uno ora l’altro secondo convenienza, campanilismo, umoralità. Ci difendiamo dalle critiche ma restiamo sconfitti per nostra mano. Questa è l’eredità che lascia ogni crisi, dopo il suo epilogo. Eco perché come un gatto, Prodi arruffa il pelo e ritrae gli artigli, mentre incassa l’unghiata del Senato, che con 161 voti a 156, gli fa perdere il primato nel branco. Dini, Fisichella, Cusumano, i rivoltosi comandavano una compagine che poteva dare al Professore una speranza, dissoltasi nel duro confronto con la realtà. La destra festeggia in piazza, e dal maxischermo piazzato in Largo Goldoni i sostenitori di Alleanza Nazionale, riuniti col direttivo al gran completo, hanno inneggiato come ultrà. Tutti vogliono le elezioni. Brusio e sottili inquietudini, riunioni improvvise e febbrili consulte: il Partito Democratico ribadisce il rifiuto al ricorso alle urne, l’Udc è propensa a un governo istituzionale; della stessa opinione sono anche Rifondazione Comunista e gran parte della maggioranza-che-fu, pronta a chiedere formalmente a Giorgio Napolitano, durante le consultazioni, di avviare anche il procedimento per riformare la legge elettorale. Romano Prodi aveva auspicato agli alleati e non di “continuare ad operare per un futuro di riforme e sviluppo”, qualunque fosse stato l’esito del confronto, promettendo anche una riduzione della pressione fiscale e un aumento dei redditi dei lavoratori, ma il convoglio era ormai al capolinea. Il capo dello Stato, uomo prudente ed equilibrato, approfondirà il dialogo coi rappresentanti di partito e valuterà se affidare un incarico esplorativo o se, nel più drastico dei casi, lasciare ai cittadini la rieducazione delle poltrone tramite il voto. L’arena politica, del resto, ha un prezzo che gli italiani pagano caro e salato. Lo Stivale è una penisola bagnata dal mare e dalle lacrime, e quando le cose non funzionano si riversa la speranza nei palazzi romani, in un Credo troppe volte abusato ma che ancora si fida dei seggi, segnando a matita un simbolo amico. I travasi da una lista all’altra sono gli scongiuri dei coerenti e la certezza, per chi non ha problemi di coscienza, dell’opportunità. Non sarà facile scegliere da che parte stare, per chi battersi, in questo quadro a tinte glabre; serbiamo salde comunque la ragione e la voglia di lottare, di crederci ancora. Quando le cose non funzionano serve attenzione per le forze genuine, e diffidenza verso chi ha la presunzione di possedere la verità. Noi tutti siamo viaggiatori e cerchiamo l’Italia, diceva Goethe in un tempo da non dimenticare.