Il 27 gennaio sarà celebrato per la settima volta il "Giorno della Memoria".
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Un nodo al fazzoletto per una cultura che tende a dimenticare, a generalizzare, a vivere anche i fatti storici come il tifo calcistico, come dibattito da bar, come slogan da proclamare senza sapere neppur bene cosa si sta dicendo, spesso da chi, in quegli anni, neppure era nato.
Ogni comune, provincia, associazione culturale di settore si è dato da fare per far si che questo giorno sia animato da incontri, cerimonie e momenti comuni di riflessione e di rievocazione dei fatti, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto accadde allora al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, in modo da conservare viva la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia dell’Europa e del nostro Paese, affinché sia scongiurato per sempre il ripetersi di simili eventi.
Conoscere e ricordare la Shoah può essere di valido aiuto per meglio comprendere le ramificazioni del pregiudizio e del razzismo; per realizzare una pacifica convivenza tra etnie, culture e religioni differenti; per creare, infine, attraverso la valorizzazione delle diversità, una società realmente interculturale.
Il ricordo della Shoah permette anche la maturazione nei giovani di un’etica della responsabilità individuale e collettiva, cooperando con la promozione dell’esercizio di una cittadinanza attiva e consapevole.
Il “Giorno della Memoria”, che costituirà senz’altro per molte scuole il punto di arrivo di un lungo itinerario di studio e di ricerca, dovrà costituire, nel rispetto dello spirito della legge istitutiva, un momento collettivo, non di una formale cerimonia commemorativa, ma di una autentica partecipazione ed attenta riflessione, affinché sia reso omaggio alle numerose vittime di quella immane tragedia, conservandone la memoria per trasmetterla alle future generazioni.
Per mantenere viva la memoria collettiva della Shoah, è stata costituita a Stoccolma, nel 1998, una Task Force internazionale. Ne fanno parte attualmente 24 paesi: Argentina, Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera e Ungheria. Ognuno di questi paesi a turno, per la durata di un anno, è chiamato ad assumerne la presidenza.
Funziona? Per ora no. Non funziona per il passato, basta leggere certi muri nelle grandi città; gli slogan gridati dalle curve ultrà negli stadi; tatuaggi portati con orgoglio; gesti di sdegnosa intolleranza in nome di quei personaggi, di quelle ideologie che erano da ricordare per non viverle più.
Dobbiamo alimentare la memoria della memoria. Non è un facile gioco di parole, ma una necessità civile, qualcosa di più di una buona convivenza, ma la conquista di quella democrazia che sinceramente non è ancora nostra.
Memoria non è solo ricordo, ma anche conoscere, approfondire esprimere un giudizio, dare delle risposte con qualche radice, perché quello che è sotto (il passato) diventa linfa per quello che si vede ora (il presente) e ci rende pieni di speranza per i fiori che verranno (il futuro).
La memoria deve essere alimentata, ha bisogno del click per aprirsi, per rigenerare ciò che la frenetica quotidianità e l’inconsistenza del debole pensiero così in voga oggi tende a sotterrare tra le cose inutili, anzi deleterie per la conquista della propria identità.
Se c’è quel passato che urla, pur di essere ricordato, tutta la sua barbarie, il disgusto di uno sterminio avvenuto in quel modo così abominevole, c’ anche un presente che può aiutare a far memoria e che ha bisogno dello stesso nodo al fazzoletto. Sono le stesse urla, gli stessi volti, le stesse assurdità anche se pronunciate con altre lingue, altri idiomi, ammesso e non concesso che certi dolori possono avere nazionalità.
Sono gli stermini di oggi, le torture di oggi, le prigionie primitive di oggi. Un numero impressionante che coinvolge non uno stato, non una etnia. L’oggi è fatto di 57 guerre combattute sul suolo di 45 paesi. L’oggi conta circa 3,3 milioni di morti in combattimento. Secondo le fonti di Amnesty Torture e maltrattamenti inflitti da agenti di stato sono stati riscontrati in oltre 150 paesi; in più di 70 sono assai diffusi. In oltre 80 paesi queste torture hanno provocato morti. Ma le cifre non riescono a dire i bambini torturati (stupri e abusi sessuali, sia da parte delle guardie che degli altri detenuti), le donne torturate(costrette a prostituirsi e tenute in schiavitù sessuali dalla milizia, o dagli ufficiali dell’esercito, violentate e altre assurdità sessuali), i metodi di tortura (c’è l’elettroshock in 40 paesi, sospensione del corpo in oltre 40 paesi, colpi di bastone sulla pianta dei piedi in 30 paesi, soffocamento in 30 paesi), finte esecuzioni e minacce di morte e detenzioni in isolamento prolungate per oltre 50 paesi).
La giornata della memoria non può e non deve essere lo sfogliare un album delle fotografie terribile della grande famiglia umana, per rimetterlo al suo posto per almeno un anno, sperando di ricordarci dove l’abbiamo messo, ma il riprenderci in mano la dignità di essere uomini, il coraggio di guardarci allo specchio, la non paura di stringere una mano. La giornata della memoria è e deve essere quell’acqua del mattino che ci apre gli occhi e ci permette di vedere senza arrossire dalla vergogna per tutti gli altri 364 giorni della nostra giornata che si chiama vita.