Der journalist, der schriftsteller, die Information.
Marziali, come solo il tedesco sa essere, ma solidi distintivi da fissare sulle uniformi della cultura, o almeno una parte di essa. Il giornalista e la sua responsabilità di obiettività; lo scrittore (lo storyteller, il cantastorie) coi suoi doveri di reportage, di menestrello e megafono del sentire popolare; l’informazione, col suo peso facile o complesso da portare, ma sempre doveroso. Articoli, romanzi, saggi, trattati e poeti ce l’hanno ripetuto: l’insegnamento è una schulfach, una materia di scuola che a scuola non si impara. E in Italia siamo gli ultimi. A fronte di un eccezionale apporto nozionistico, le strutture e il materiale umano nel Bel Paese sono inadeguati. Molti danno la colpa alle cattive politiche di governo, altri all’invadenza dei media, altri ancora alla caduta dei valori, ma sarebbe utile varcare la soglia della frasi fatte e gli standard da “scusometro”. La denuncia non viene solo dagli istituti di statistica: il divario fra i nostri ragazzi e quelli del resto d’Europa è sensibile. I mezzi ci sono, o meglio, ci sarebbero: restano inespressi, e bussare alla loro porta è come presentarsi all’ufficio reclami e trovare il cartello “rimontare il campanello e suonare, prego”. Elio Vittorini e altri pionieri della cultura sono schegge preziose di un passato che non tornerà, le trasmissioni in cui si leggeva l’Eneide o si insegnava la scienza, la letteratura, la storia dell’umanità fanno flop in prima, seconda e terza serata. Radio e cattedre seguono a ruota. Tolti la classe politica e gli immondezzai a cielo aperto, c’è un mondo che ci studia, oltre i patrii confini. Ma benché il monopolio dello scibile sia a nostro favore, non facciamo nulla per salvaguardarlo, trasmetterlo. Sui banchi di scuola sfilano ragazzi distratti dalla distrazione altrui, perché il modello disciplinare non li appassiona, e vedere maestri professori docenti & affini già stanchi del loro mestiere alle otto del mattino, non contribuisce alla serenità. Nella squadra vincente, l’allenatore premia il merito con tempra e fiducia, in quella perdente dice all’insegnante nella prossima partita le cambierò ruolo in campo: la metterò a vendere i biglietti d’ingresso. Serve una riforma del sistema che non sia un ritorno al passato, ma che instauri un circolo virtuoso capace di offrire agli studenti ciò che sinora ha gli solo sottratto. Disponibilità, ascolto, familiarità innanzitutto. Poi, si potrà discutere della riforma degli esami, delle (inutili) antologie, dei programmi di apprendimento. In prima istanza, però, va tutelato il patrimonio interiore collettivo, in modo tale da non diseducare, o indottrinare baby gang e piccoli criminali. Suscitare interessi e passioni nei ragazzi è una missione più che un lavoro, è un’arte che si dovrebbe tornare a sviluppare.