La tensione in Ciad resta altissima. Stando al governo del presidente Idriss Deby i ribelli sarebbero stati sconfitti, ma secondo alcune fonti indipendenti nel Paese la coalizione degli insorti sarebbe ancora alle porte della capitale.
L’altro ieri Deby, forte dell’appoggio aperto garantito da Parigi, è apparso in pubblico smentendo così le voci che lo volevano riparato all’estero.
Deby, ha lanciato "un solenne appello" all’Ue affinche’ dia il via al dispiegamento della forza di pace per soccorrere i profughi arrivati dal Darfur, sospeso a causa della recente offensiva dei ribelli. "Lancio un sollenne appello all’Unione europea e a chi e’ stato promotore di questa idea, la Francia, affinche’ questa forza sia dispiegata al piu’ presto per alleviare il fardello che stiamo sostenendo", ha affermato il presidente, mentre circolano voci di alleanze tra diverse fazioni di ribelli ciadiani in vista di una nuova offensiva sulla capitale Ndjamena.
Il presidente francese Nicholas Sarkozy, forte di una risoluzione approvata nei giorni scorsi dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha avvertito l’altro ieri i ribelli ciadiani che Parigi è pronta a “fare il proprio dovere” difendendo militarmente il governo del presidente Idriss Deby, se gli scontri dovessero continuare.
Presente con circa mille soldati nel Paese, la Francia è una storica alleata del presidente, asserragliato in una N’Djamena al momento pacificata me circondata dalle forze ribelli dallo scorso weekend. Stanziate a una trentina di chilometri dal centro abitato, le forze dei ribelli sono state bombardate ieri dall’aviazione ciadiana, che avrebbe inferto loro ingenti perdite. Il bilancio degli scontri parla di centinaia di vittime nella capitale, mentre sarebbero più di 50.000 le persone fuggite nel vicino Camerun a causa degli scontri. Già nel 2006 i ribelli avevano tentato di conquistare N’Djamena con la forza, ritirandosi però dopo tre giorni di pesanti scontri a causa dell’intervento dell’aviazione francese.
“Sarkozy – ha detto a News ITALIA PRESS Sergio Porcu esperto dell’area e collaboratore della rivista on line Equilibri.net – intende perseguire la linea dura. Si trova ad affrontare la prima emergenza internazionale che coinvolga direttamente Parigi, da quando guida il paese d’oltralpe. Il messaggio è chiaro: non saranno più tollerati altri attacchi armati contro la capitale del Ciad. Idriss Deby, storico alleato francese, gode anche in questa delicata fase del sostegno dell’Eliseo. E dal Dipartimento di Stato USA arriva pieno appoggio a Parigi, secondo le dichiarazioni di un diplomatico statunitense alle Nazioni Unite. La crisi vissuta dal Ciad negli ultimi giorni è in realtà un estendersi del conflitto del Darfur: una vera e proprio guerra internazionale architettata dal governo sudanese per rendere impossibile il dispiegamento di truppe dell’Unione europea nella zona est del Ciad, a difesa dei profughi del Sudan. Dietro l’avanzata dei ribelli ciadiani vi sarebbe, infatti, il supporto logistico delle autorità politiche di Khartoum”.
E le accuse al Sudan sono state fatte direttamente anche da Deby: “Tuttora vi sono ribelli in fuga, altri ancora a N’Djamena confusi fra i civili e altri ancora che stanno tentando di raggiungere il confine. Al-Bashir” ha continuato Deby “ha saccheggiato il suo Paese. Invece di lanciarsi in avventure che minacciano la stabilita’ della regione, avrebbe dovuto utilizzare i soldi delle esportazioni di petrolio per risolvere la crisi in Darfur”, area geografica afflitta da una grave crisi umanitaria nella quasi indifferenza della comunità internazionale.
La situazione appare quindi complessa anche perché il dispiegamento della missione UE dovrebbe considerare la nuova e diversa situazione nella regione. “I ribelli, – continua Porcu – dopo due giorni di combattimenti, lunedì 4 febbraio, hanno lasciato N’Djamena per consentire a migliaia di civili la via della fuga; diversa, invece la ricostruzione del governo ciadiano, secondo il quale sarebbe stato l’esercito a cacciare i rivoltosi fuori dalla capitale, respingendo, di fatto, il loro attacco. In base ad un comunicato diffuso nella giornata di ieri, sarebbero disposti a siglare una tregua con l’esercito, a patto che il presidente Deby si dimetta e lasci il paese. Proprio questo rappresenta lo zoccolo duro della trattativa che rischia di far sprofondare nuovamente N’Djamena nel caos, dopo i disordini recenti. L’uomo forte di N’Djamena, al potere dal 1990, non sembra in alcun modo intenzionato a lasciare il comando del paese, nonostante la sua evidente debolezza sul fronte interno: uno degli uomini a lui più vicino, l’ex ministro della Difesa, si trova ora alla guida di una delle fazioni in lotta contro l’esercito.
Idriss Deby gode dell’appoggio incondizionato di Parigi, presente nel territorio dell’ex colonia con propri truppe militari. Tanto che i ribelli accusano la Francia di aver bombardato con mezzi della propria aviazione anche numerosi civili, nel tentativo di disperdere i ribelli. Accusa smentita seccamente dall’Eliseo, pur se, in realtà, velivoli francesi hanno effettivamente sorvolato le zone degli scontri. Gli analisti ritengono che sia possibile, nei prossimi giorni, raggiungere un accordo, con ampie concessioni da parte del governo del paese africano alle truppe irregolari, in termini di spartizione del potere, senza tuttavia dover giungere alle dimissioni del presidente. Sembra al momento questa l’unica prospettiva che possa consentire a Deby il mantenimento della sua posizione, evitando altro spargimento di sangue”.
Una crisi che quindi che sembra potersi allargare ulteriormente. Oggi infatti dopo a quelle al Sudan sono arrivate le accuse alla Libia. Il primo ministro ciadiano Delwa Kassiré Coumakoye ha accusato oggi la Libia di aver “sostenuto” e “armato” i ribelli ciadiani. «Il dirigente libico Muammar Gheddafi ha contribuito ad armare queste persone», ha dichiarato il primo ministro ciadiano durante una conversazione telefonica con l’Afp. «Sono stati armati dal Sudan e sostenuti dalla Libia», ha aggiunto. Gheddafi e il suo omologo congolese Denis Sassou Nguesso sono stati nominati mediatori della crisi ciadiana dall’Unione Africana (Ua). Nella capitale del Ciad è infatti arrivata martedì sera una delegazione libica. «Non tratteremo con queste persone», ha risposto Coumakoye interrogato sulla presenza della delegazione libica nel Paese.
Relativamente al pericolo di allargamento della crisi News ITALIA PRESS ha interrogato anche Aldo Pigoli, responsabile del Desk Africa del centro di ricerca Equilibri, che ha confermato questi timori: “La crisi poltico-militare in Ciad rischia purtroppo di avere serie ripercussioni a livello regionale, considerando che i Paesi limitrofi, Sudan e Repubblica centrafricana, devono a loro volta fronteggiare gravi situazioni di instabilità e minaccie alla sicurezza di natura interna. Le crescenti tensioni tra i governi di N’Djamena e Khartoum rappresentano un chiaro segnale di come le dinamiche nazionali siano correlate e interdipendenti. Inoltre, non bisogna sottovalutare l’impatto delle migliaia di profughi ciadiani diretti in Camerun – soprattutto se le ostilità tra forze governative e ribelli dovessero continuare a lungo – coinvolgendo così un Paese che a sua volta deve fari conti con alcune sfide alla propria stabilità interna”.