Con il via della campagna elettorale, se mai c’è stato un periodo in cui si è interrotta, le parole dei politicanti si moltiplicano e ritornano alcuni principi fondamentale della politica immancabili nei salotti buoni della televisione…
: “noi siamo i migliori”, “gli altri sono i peggiori”, “noi salviamo l’Italia”, “loro distruggeranno l’Italia”; e poi lo snocciolare di cifre, promesse e la più classica delle conclusioni.. “con noi questa volta cambia tutto”.
In questo grande show dell’ipocrisia, che per noi Italiani è uno spettacolo che se da una parte non vorremmo mai vedere almeno nelle nostre dichiarazioni, poi diventa parte del nostro dna tricolore.
Lo sappiamo che mentono, lo sappiamo che non possono che dire le cose che noi vogliamo sentire, sia che la pensiamo in un modo o in un altro. Spesso noi chiediamo ai politici di cambiare, di non fare più determinate cose, si è anche coniato un termine nuovo quanto assurdo, l’antipolitica. E se fossimo noi a cambiare, se iniziassimo una vera e propria cultura alla politica, smettendola con la logica dei tifosi, con le chiacchiere da bar, con gli insulti da “parlamentari”.
Imparare a parlarci, a discutere, a confrontarsi, a mettere sul piatto le nostre logiche, i nostri valori, i nostri fondamenti di fede senza creare quella assurda situazione attuale dove temi grandi e importanti vengono bollati come “favore al Vaticano” o “frutto dell’ingerenza vescovile”, altri temi non se deve parlare perché sconvenienti durante una campagna elettorare. Non sentirete parlare di aborto, una volta fatto fuori Ferrara e la sua provocazione, non sentirete parlare di Dico, di Eutanasia, di testamento biologico, di conflitto di interessi, di scuola e l’elenco potrebbe essere molto più lungo.
Nel balletto elettorale c’è già chi tira per la giacchetta i cosiddetti politici cristiani per stare un po’ di qui (sinistra) o un po’ più di la (destra) e naturalmente c’è chi dice che il modo giusto è quello di non muoversi (centro), peccato che poi il centro è almeno in tre, quattro punti, contro ogni teoria geometrica. Poi ti accorgi che questi spazi virtuali delle appartenenze ideologiche sono labili a seconda di colpi di vento e ti ritrovi gente di qui che sta di la e viceversa, naturalmente viaggio passando dal centro.
La Chiesa ha un compito conciliare, e ahimè lo sta disattendendo, di formare adulti nella fede con animus politico, alla scuola di La Pira, di De Gasperi, di Bachelet, di Moro, di tanti che hanno messo la loro intelligenza al servizio della Res Pubblica, piuttosto che fare comoda pubblicità al film di Moretti o di un interventismo episcopale diventato fastidioso al di là della lecita e della correttezza contenutistica, creando senza dubbio una avversità psicologica al mondo ecclesiale in toto e quindi pericolosa e poco costruttiva, anzi è diventata avversità, cattiveria, fastidio, ironia.
Diventa fondamentale il riesumare l’immenso patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa, dove laici formati, dalla fede e dallo studio, dalle esperienze e dai valori. Credere non solo parole alla laicità come patrimonio costruttivo e non burattinaio di un Vangelo che non può non passare dalla storia degli uomini.
Il cristiano che crede nel Vangelo, sente forte la necessità di una politica intelligente e aperta che, pur occupandosi del quotidiano, sappia “guardare” all’orizzonte più ampio in cui si svolge ogni attività umana.
Sarà poi questa politica intelligente e aperta a creare una specie di “contagio” che spinga tutti – non ultimi i giovani e le donne – a superare il giudizio negativo sulla politica. Che li spinga ad occuparsene, vincendo quella sorta di indifferenza, di distacco e di rifiuto nei riguardi della politica, che oggi colpisce non poche persone e le rende meno disponibili e coraggiose nel mettersi a disposizione del bene comune o nel continuare a vivere questo impegno per la costruzione della “polis” come comunità viva.
E, dunque, rimettiamo al centro la politica, allargando gli orizzonti, piantando le tende in terre idealmente lontane. Rimettiamo al centro la volontà di riflettere e di discutere con gli altri. Rimettiamo al centro la volontà di agire dopo aver attentamente pensato. Riprendiamoci i tempi per pensare.
È vero, la storia urge. Il tempo è sempre più breve e non tollera la fatica, le regole, i passaggi e i tempi lunghi della democrazia e della politica.
Non c’è democrazia senza dibattito. E il dibattito fatto con convinzione, con entusiasmo, con passione, con irruenza, non deve scandalizzare: appartiene alla natura delle cose.
Però il dibattito democratico vede un uomo di fronte all’altro impegnati su una questione, non sull’insulto reciproco, sulla vicendevole disistima, sull’idea che l’altro è un nemico da abbattere.
È un bene per tutti. È un dovere di tutti. Ritroviamo allora i modi e i toni corretti per un civile dibattito democratico, senza finzioni e “trappole”, senza strategie nascoste per distruggere l’altro. Combattiamo per un’idea, per un progetto, per scelte politiche diverse o alternative, ma per questo e solo per questo, senza usi e costumi, senza comportamenti e atteggiamenti che immeschiniscono la politica e la rendono odiosa agli uomini.
Forse la credibilità di certi politici, la si può verificare dalla giacca, se ha lembi troppo sgualciti brutto segno di una politica da dimenticare.