Sarebbe stato giusto processare Mussolini?

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Su uno degli ultimi libri di Bruno Vespa  è riportata una dichiarazione dell’onorevole Massimo D’Alema che abbatte un tabù consolidato dell’antifascismo:……

L’uccisione di Mussolini fa parte di quegli episodi che possono accadere nella ferocia della guerra civile, ma che non possiamo considerare accettabili. Un processo sarebbe stato più giusto. Al di là dell’acceratamento delle responsabilità individuali, un processo al Duce, come quello di Norimberga, avrebbe consentito anche di ricostruire un pezzo della storia italiana”. L’onorevole D’Alema ha poi puntualizzato: “E’ ovvio che su tutta questa materia si deve riflettere ed io per primo lo farò con serietà, ma è anche evidente che io non avevo intenzioni di natura storiografica. Ho detto con chiarezza che l’uccisione di Mussolini e della Petacci sono certamente comprensibili nel contesto della guerra civile italiana e delle sue vicende tragiche e sanguinose. Ho anche detto che mi sono ben evidenti le differenze tra chi combatteva per le libertà e chi era dalla parte dei tedeschi e della dittatura. Non mi iscrivo all’elenco dei revisionisti della storia. Resto convinto che l’uccisione di Mussolini, anche per il modo in cui è avvenuta, ha consentito che si continuasse ad alimentare il mito del Duce eroe tradito e non ha aiutato l’insieme del paese a fare i conti con l’esperienza tragica e le responsabilità del fascismo. Probabilmente hanno ragione gli storici che ritengono che un processo a Mussolini non sarebbe stato possibile perché non consentito dagli alleati. Tuttavia una Norimberga italiana avrebbe aiutato il formarsi di una memoria storica condivisa. Questo ho voluto dire nel rispetto delle opinioni di tutti e soprattutto senza mettere in discussione il valore della Resistenza e dell’eredità politica e morale che ci ha lasciato”.

Di tutt’altro tono sono state le parole di esecrazione con cui l’onorevole diessino Piero Fassino ha commentato le affermazioni di D’Alema: “Non ha senso riaprire questa pagina che si presta soltanto ad un revisionismo storico-strumentale. La guerra ha le sue logiche spietate. Non si può dimenticare quanti partigiani sono stati torturati, fucilati, morti nei campi di sterminio. A questi nessuno ha fatto mai il processo”. Gli fa eco il parlamentare comunista Armando Cossutta: “Mussolini è stato processato dalla storia e comunque è stato condannato alla fucilazione in nome del popolo italiano dagli unici organismi allora competenti, dotati di pieni poteri legali, e cioè dal Comitato di Liberazione Nazionale e dal Corpo Volontari delle Libertà. I gerarchi nazisti furono catturati dagli eserciti alleati e giustamente processati a Norimberga. In Italia provvidero gli italiani, non per odio ma per dignità”. Un altro esponente marxista, Severino Galante, ha detto: “Mussolini? E’ stato giustiziato in nome del popolo italiano su sentenza del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Per fortuna quel comitato non lo presiedeva D’Alema, né egli era tra i partigiani che eseguirono la sentenza. “Quandoquidam bonus dormitat Homerus”: anche il buon Omero qualche volta sonnecchia. La sapienza antica si può applicare anche a quei moderni che, come il buon D’Alema, non sonnecchiano ma dormono dalla grossa. Dormono e non si accorgono di parlare nel sonno improvvisandosi storici dilettanti, tranciando dall’alto della loro cattedra giudizi tanto impegnativi quanto infondati”.

Un rappresentante dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha affermato: “L’uccisione di Mussolini è stata motivata per le gravissime responsabilità, dalla soppressione violenta di ogni libertà, agli eccidi e stragi di cittadini italiani che al Duce, più che a chiunque altro, erano riferibili come capo del primo fascismo e del secondo fascismo, quello particolarmente sanguinario di Salò. L’esecuzione del capo del fascismo era reclamata da tutti gli italiani in espiazione delle enormi sofferenze che le sue decisioni e la sua politica avevano causato al nostro popolo. E anche di questo sentimento gli organismi responsabili della Resistenza si fecero interpreti. Diversa la situazione in Germania, nella quale non vi fu una resistenza armata ed i capi del nazismo furono catturati dagli alleati che organizzarono un processo a Norimberga. L’osservazione dell’onorevole D’Alema in merito non tiene conto della realtà storica”.

Lo storico di sinistra Nicola Tranfaglia si è così espresso: “D’Alema dimentica, o finge di dimenticare, che l’episodio è avvenuto negli ultimi giorni del 1945 dopo venti mesi di guerra feroce sul territorio italiano e dopo che il capo dell’illegittima Repubblica Sociale Italiana (legittimo era il regno d’Italia ormai tornato a Roma) aveva rifiutato la resa senza condizioni che gli era stata offerta dai partigiani nella riunione svoltasi all’Arcivescovado di Milano qualche giorno prima. Mussolini, com’è noto, dopo aver rifiutato di arrendersi, era fuggito con le truppe naziste in ritirata travestito da soldato tedesco e lì, vicino a Como, era stato riconosciuto ed arrestato. E’ stato dunque catturato mentre la guerra tra partigiani e nazisti era ancora in corso e giudicato dall’unico organo legittimato a giudicarlo, il Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Parlare come fa il Presidente dei Democratici della Sinistra, Massimo D’Alema, dell’opportunità, o necessità, di un processo regolare al Duce significa decontestualizzare completamente il fatto rispetto alla nostra storia e introdurre una forma di revisionismo che non ha nessuna ragione di essere, come quasi tutti gli storici e i politici interpellati hanno detto senza esitazioni”.

Mirco Dondi, docente di Storia Contemporanea a Bologna, ha voluto anche lui dire la sua. “Un processo tipo quello di Norimberga a Mussolini? Non capisco il senso storiografico di questa affermazione. Né della polemica che ne è sorta dopo le dichiarazioni di D’Alema a Vespa. E’ una questione fuorviante che nasce dall’errore di voler giudicare i fatti di ieri con gli occhi di oggi. C’era il fermo proposito da parte del movimento partigiano di catturare Mussolini e il desiderio di fucilarlo. Nessuno si pose mai il problema di giudicarlo. La resistenza intendeva affermare sé stessa, la sua autonomia con quel gesto, eliminando il capo della parte avversa, quello che aveva trascinato l’Italia nella tragedia. Mi pare che le dichiarazioni di D’Alema siano fuori contesto e non tengano conto del clima e delle effettive possibilità in quella situazione. Mussolini non si è arreso ai partigiani e tentò una via di fuga, cercando inutilmente un salvacondotto. Certo se si fosse arreso, riconoscendo la Resistenza, forse un processo ci sarebbe stato, magari rapido. Ma fu lui stesso a sciegliere la sua sorte. Rifiutandosi di farsi catturare, autorizzava il comitato di Liberazione Nazionale di Liberazione a chiudere i conti con lui. Fu preso mentre cercava di raggiungere la Svizzera e mentre una parte dei suoi progettava di andare in Valtellina. In realtà l’ultimo Mussolni non poteva trattare più nulla perché non controllava neppure più i suoi. Voleva solo mettersi in salvo senza arrendersi”.

Altrettanto esplicito è stato il commento di Giorgio Bocca: “Io non sto qui a sostenere che Mussolini non meritasse la fine che ha fatto. Anzi sono certo che se avessi vissuto il ventennio avrei brindato alla morte di Mussolini. E se fossi stato a piazzale Loreto avrei gridato la mia parte di insulti. Ma non è questo il punto. Bell’accoppiata di opportunisti, Bruno Vespa e Massimo D’Alema, hanno messo in piedi non una revisione storica, ma un’operazione chiaramente politica. D’Alema appartiene alla stessa specie antropologica dei Giampaolo Pansa: questi fa del revisionismo per vendere più libri, l’altro per prendere più voti o comunque per far carriera. D’Alema è un personaggio che si presta a tutti i giochi, anche a fare un governo con Berlusconi. Dal punto di vista storico il processo a Mussolini è una stupidità totale, significherebbe ignorare che cosa sono le rivoluzioni, le rese dei conti. Sarebbe come dire che fu uno sbaglio ghigliottinare Robespierre o impiccare i gerarchi nazisti. Oltretutto l’esecuzione di Mussolini era legalmente giustificata dalla dichiarazione del 25 aprile 1945 in cui il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia avvertiva che chi non si arrendeva sarebbe stato passato per le armi. La morte del dittatore era inevitabile e fu accolta con manifestazioni di gioia non soltanto da noi antifascisti. Lasciare a Mussolini la parola in un processo avrebbe significato consentirgli di chiamarci tutti in causa, anche noi partigiani che eravamo stati fascisti come tutti gli altri. Un processo a Mussolini avrebbe significato mettere sotto accusa l’intera nazione. Ed era quello che noi partigiani, interpreti di un radicale rinnovamento nazionale, volevamo evitare. Anche per questo fu giusto uccidere Mussolini”.

Personalmente condivido quanto ha sostenuto sulla “Stampa” Gian Enrico Rusconi: “Un processo a Mussolini sarebbe stato sommariamente imbarazzante sia per i contatti che lo stesso Duce avrebbe avuto con alcuni grandi nomi inglesi (Wiston Churchill), sia per le persone che Mussolini avrebbe potuto indicare come complici (la Monarchia, Badoglio, la burocrazia, la magistratura). Ma l’imbarazzo più grande sarebbe potuto derivare dalla formulazione delle accuse dal momento che la grande politica non è materia di codice penale. E certamente non lo è una guerra perduta. Al processo di Norimberga i gerarchi nazisti furono accusati di aver scatenato una guerra d’aggressione (come quella di Cesare in Gallia), ma a Mussolini non si sarebbe potuto neanche addebitare una responsabilità ugualmente grave. L’Italia entrò in guerra un anno dopo che questa era combattuta e, essendovi impreparata, per così dire, vi entrò con la precisa intenzione di non combatterla. Fu solo una scommessa politica perduta. Divenire dittatori non è materia da codice penale. La dittatura è un regime che è giusto disapprovare, magari vivacemente, ma che non dà luogo di per sé a responsabilità giuridiche. Diversamente bisognerebbe rimpiangere che non sia stato possibile processare Ottaviano Augusto Un dittatore deposto può essere processato solo se colpevole di reati comuni. Quanto all’essere stato, Mussolini, il complice di Hitler è certo un accusa molto più seria e più grave: l’unica per la quale avrebbe potuto essere processato. Ma valeva la pena di processarlo per essa, con il rischio di tutte le rivelazioni imbarazzanti che avrebbe potuto fare e perfino con il rischio di accentuare l’instabilità politica dell’italia di allora? A conclusione di una guerra o di una rivoluzione, non è raro che si reputi opportuno uccidere il perdente, senza tante storie e magari senza fingere un processo ridicolo come quello a Ceasescu. Ma questo significa che si giustifica l’assassinnio di Mussolini? Non esattamente. Infine un conto è far sparire un cadavere (per evitare il culto del defunto), un altro è appenderlo per i piedi ad un distributore di benzina. Insomma in quell’occasione l’Italia riuscì a trasformare una necessità della politica ed una ferrea e spietata legge di guerra in un comportamento infame, barbaro ed incivile. Un episodio che pesa ancora oggi sulla coscienza delle persone per bene”.