Tibet, la protesta arriva in Europa

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Il governo in esilio: «Almeno ottanta morti a Lhasa». Il Dalai Lama contro Pechino: «È genocidio culturale»

LHASA – In Tibet è in atto «un genocidio culturale». È questa la dura accusa del Dalai Lama. Dal suo esilio in India, il leader spirituale dei tibetani è tornato a condannare gli scontri e le violenze a Lhasa, invocando ancora una volta un’inchiesta internazionale per appurare cosa stia realmente accadendo nella zona. Secondo il Nobel per la Pace, nella regione himalayana è in atto «una discriminazione sistematica» e «i tibetani nella propria terra sono trattati da cittadini di seconda classe». Contrariamente a quanto auspicato da più parti il Dalai Lama non ha lanciato un appello per il boicottaggio dei Giochi Olimpici che si terranno in Cina in estate. Il capo spirituale dei buddhisti ha comunque aggiunto che è al momento «impossibile l’armonia nella zona». «Noi vogliamo autonomia, non separazione», ha aggiunto il Dalai Lama, sottolineando come in Tibet ci sia al momento uno «stato di terrore».

Ancora incerto e confuso il bilancio degli scontri a Lhasa tra manifestanti pro Tibet e forze della polizia cinese. Da Dharamsala, nel nord dell’India, il governo tibetano in esilio conferma che «i morti sono almeno ottanta». Sabato lo stesso governo in esilio aveva parlato di 30 morti, anche se riferiva di voci di oltre cento vittime, mentre il governo cinese ha confermato solo 10 morti. Il nuovo bilancio arriva all’indomani dell’ultimatum del governo di Pechino a quelli che le autorità cinesi chiamano i «ribelli»: consegnatevi e sarete trattati con clemenza, altrimenti sarete puniti «severamente». L’ultimatum scade lunedì sera.

corriere italoeuropeo