cap 2 il processo di Verona

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Galeazzo Ciano: è facile a posteriori difenderlo, chiamando in causa la sua ingenuità. Ciano non era solo l’ex Ministro degli Esteri o il brillante carrierista del regime. Era anche il genero del Duce, avendone sposato la figlia Edda, l’unica persona verso cui Mussolini provava un vero affetto e una delle pochissime anime realmente in grado di condizionarlo. Il 27 agosto di quel 1943 Ciano era fuggito in Germania, aiutato da Wilhelm Hottl, Capo dei Servizi Segreti tedeschi in Italia. Hitler lo aveva accolto a braccia aperte, almeno formalmente, e gli aveva messo a disposizione una sontuosa villa sul lago di Starnberg. Ciano aveva espresso il desiderio di rifugiarsi in Spagna o in Sud America, ma il Führer gli aveva garantito la massima “protezione”. Approdato anche Mussolini in Germania, Galeazzo aveva recitato col suocero la parte del pentito e il Duce, notoriamente sensibile ai richiami dei vincoli familiari, sembrava disposto a dimenticare il recente “tradimento” del genero che si era ravveduto. Poi il Duce era tornato in Italia dove aveva fondato la RSI. Il 19 ottobre Ciano era stato prelevato dalle SS e imbarcato su un aereo con destinazione Verona. Qui l’uomo, anni addietro considerato addirittura il delfino di Mussolini, era stato arrestato dalla Polizia fascista e rinchiuso nel Carcere veronese degli Scalzi. Si sa di certo che Mussolini non voleva la morte di Ciano, marito della figlia, ma era ben conscio che, attizzando il fuoco della vendetta, la prima vittima sarebbe stata proprio il padre dei suoi nipotini. Più complessa era la posizione di Alessandro Pavolini il Segretario del Partito Fascista Repubblicano. Insieme al dittatore fascista, Pavolini sfruttava quel pò di potere che i tedeschi avevano concesso ai fascisti di Salò. Di Pavolini si è detto, a ragione, che una lucida follia avesse contraddistinto la sua partecipazione alla RSI. Era alla ricerca di una sorta di purificazione del fascismo mediata dal sacrificio di quanti l’avevano indebitamente profanato. Nel caos che contraddistingueva in quei giorni l’esercizio dell’autorità saloina, era comunque Mussolini il solo ad avere vox in capitulo in tutto: poteva decidere o non decidere a suo piacimento. Quanto ai tedeschi, il loro interesse principale era quello di impossessarsi dei Diari di Ciano. Erano diversi quaderni su cui l’ex Ministro degli Esteri aveva annotato fatti e personaggi, con relativi giudizi, che si riferivano ai rapporti politici intercorsi tra Italia, Germania e Regno Unito. Certamente Hitler aveva fatto sapere a Mussolini che avrebbe considerato come un atto di debolezza il fatto di non saper punire i “traditori” solo perché uno di questi era un suo parente stretto. Comunque sia, i nazisti hanno lasciato ai fascisti di Salò l’intera gestione del Processo. Non sono intervenuti direttamente né nella fase istruttoria, né in quella successiva del dibattimento. La speciale sorveglianza che per un certo periodo le SS hanno esercitato su Ciano, detenuto in attesa di giudizio, era esclusivamente legata alle trattative per avere i suoi Diari. Manovre ad alto livello che a un certo punto avevano anche previsto l’evasione di Ciano dal carcere. Ma, come noto, questa soluzione è naufragata malamente per il diretto intervento censorio del Fuhrer che ha bloccato lo scambio Diari-libertà per Ciano, un progetto, sponsorizzato da Heinrich Himmler e da Ernst Kaltenbrunner, la cui attuazione era nelle mani del loro fiduciario veronese, generale Wilhelm Harster.

Arrestati sei ricercati su diciannove, pubblicato il decreto che bandiva il Processo, bisognava nominare i giudici e i pubblici accusatori. Antonio Tringali Casanuova, Ministro della Giustizia, era morto per un attacco cardiaco il 30 ottobre 1943. Gli era succeduto nella carica Piero Pisenti, fascista fedelissimo, ma anche un giurista di chiara fama. Per validi motivi legali si rifiuta di porre la propria firma in calce al decreto di nomina dei giudici. Esso viene pubblicato solo con le firme di Pavolini e quella di Mussolini. Il rifiuto di Pisenti era dovuto a due motivi: l’illegalità della costruzione giuridica nel suo complesso, viziata dalla retroattività penale, ed il fatto che i giudici erano così palesemente di parte che non era possibile definire quella Corte come una Corte di “Giustizia”.

Un altro che si defila, almeno in parte, è l’Avvocato Vincenzo Cersosimo. Designato quale Pubblico Ministero, obietta che la complessità della materia richiede una istruttoria formale. Per il suo espletamento occorre molto tempo. In verità Cersosimo, come avrà in seguito a dichiarare, si rende conto che manca la sostanza per imbastire un’accusa. Lui, però, non ha il coraggio di prendere una posizione netta come quella assunta dal Ministro Pisenti. Pavolini, che non vuole perdere tempo in questioni ritenute “inutili”, decide di sistemare a modo suo le cose: gli Avvocati Vincenzo Cersosimo e Andrea Fortunato vengono designati entrambi quali pubblici accusatori “con possibilità di sostituzione reciproca”. In verità Cersosimo, già Giudice Istruttore del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, svolgerà gli interrogatori in carcere e non presenzierà mai in aula, mentre Fortunato, un invalido privo di una mano, superfascista, oratore tribunizio e astioso contraddittore, sosterrà in aula la parte feroce della pubblica accusa.

I giudici designati sono quanto di meno imparziale si possa pensare: il Presidente, Aldo Vecchini, ex Sovrintendente del Consiglio Nazionale Forense, riconosciuto per le vie di Roma, era stato assalito dalla folla che per poco non lo linciava. Al tempo del Processo di Verona, il Vecchini portava ancora addosso ben visibili i segni delle percosse subite. Altri cinque giudici sono ufficiali della Milizia fascista e tutti sono stati perseguitati nei quarantacinque giorni di Badoglio. Uno di questi, il generale Renzo Montagna è stato sottoposto, in carcere, ad ogni genere di umiliazioni. Un altro giudice a cui non si potrebbe assolutamente chiedere l’imparzialità è Celso Riva: torinese, fascista accanito, dopo il 25 luglio ha visto il proprio figlio, fascista come lui, assalito per strada dalla folla dei dimostranti. Celso Riva, a sua volta aggredito ed immobilizzato dagli antifascisti, ha dovuto assistere impotente alla persecuzione del figlio.

Il Tribunale Speciale Straordinario si insedia nel Castelvecchio a Verona, nella stessa grande sala dove si è svolto il Congresso del Partito Fascista Repubblicano. Vicino a questo salone, che in tempo di pace ospitava i concerti, il Presidente Vecchini si fa allestire una stanza da letto: non uscirà più da Castelvecchio per tutta la durata del processo. Il Ministro Pisenti, restio ad essere implicato in tutta la faccenda, fa un ultimo tentativo (siamo ai primi di Dicembre del 1943): ricevuto dal Duce, gli fa presente che, dopo uno studio dettagliato di tutta la materia processuale, è giunto alla conclusione che non esiste nessuna prova per incolpare di complotto i firmatari dell’ordine del giorno Grandi e che comunque il comportamento degli imputati, durante la seduta del Gran Consiglio, era stato assolutamente legittimo. Mussolini (come racconterà il suo segretario, Giovanni Dolfin) ascolta in silenzio Pisenti. Poi di scatto così apostrofa il suo interlocutore: “Lei vede la faccenda solo sotto l’aspetto giuridico. Io invece devo vederla sotto l’aspetto politico, po-li-ti-co, mi capisce? Ormai il Processo si farà, niente più può fermarlo”.

Il Cersosimo, Giudice Istruttore di un processo in cui la stessa accusa (tradimento dell’Idea) è quanto mai aleatoria, inizia gli interrogatori dei sei detenuti. Ha subito grosse difficoltà per poter parlare con Ciano. Intorno a lui le SS hanno steso una sorta di cordone sanitario. Ciano non può parlare con nessuno perché (come si saprà in seguito) sono in corso i negoziati per la cessione dei suoi Diari. Il Giudice Istruttore, in teoria la persona sotto la cui responsabilità si trovano gli imputati fino all’apertura del dibattimento, deve ricorrere, per poter interrogare Ciano, ai buoni uffici di Frau Beetz, falso nome di Felicitas Burkhardt, spia di mestiere, segretaria del tenente colonnello Hottl, capo del Servizio Segreto tedesco in Italia. Giovane e graziosa, Frau Beetz è l’unica persona che può entrare e uscire quando vuole dalla cella di Ciano. Il suo compito originario era quello di impossessarsi dei famosi Diari. Non solo la giovane nazista non è riuscita nel suo intento, ma anzi ha aiutato Edda Mussolini, moglie di Ciano, a mettere in salvo in Svizzera i preziosi quaderni del marito. Forse, come vogliono alcuni giornalisti più dediti al romanzo rosa che alla Storia, Frau Beetz si è innamorata di Ciano e questo l’ha spinta a voltare la faccia e a trasformarsi da subdola spia in caritatevole benefattrice. Sia con Ciano che con gli altri imputati detenuti nel Carcere degli Scalzi (salvo De Bono, agli arresti domiciliari), il giudice Cersosimo ha il suo bel daffare perché scopre, innanzitutto, che il verbale della riunione del 24/25 luglio del Gran Consiglio è introvabile e quindi deve ricostruire quanto è accaduto in quella circostanza facendo ricorso “Ai giornali e alle dichiarazioni degli stessi imputati”.

Non essendo sostenibile l’accusa di complotto monarchico, l’istruttoria può in pratica basarsi solo su un fatto: la riunione del Gran Consiglio era stata interrotta, per una breve pausa, prima di mettere ai voti l’ordine del giorno Grandi. Alla ripresa, prima di iniziare la votazione, Mussolini aveva detto ai presenti che quell’ordine del giorno poteva mettere in gioco l’esistenza stessa del regime. Gli imputati avevano ben recepito quella frase del Duce? E se l’avevano afferrata, come mai avevano votato “sì”? Dal punto di vista strettamente giuridico la situazione era insostenibile perché, volendo accreditare questa linea d’accusa, si doveva concludere che il gran Consiglio poteva deliberare solo e unicamente su questioni che, ad esclusivo giudizio del Duce, non mettessero in discussione alcun equilibrio politico. Questo non era previsto da alcuna normativa. Ma a tutto ciò suppliva lo sbrigativo reato di “tradimento dell’Idea”, con effetto retroattivo, laddove l’Idea e Mussolini finivano per identificarsi in un tutt’uno. L’istruttoria è senza storia. Diversi gli atteggiamenti assunti dagli imputati: Ciano è sprezzante, ha ben compreso che tutto è finito. Marinelli, pur avendo capito, ma non ha il coraggio di Ciano. Piange e si dispera, sentendosi male più volte. Diviene praticamente impossibile interrogarlo. Pareschi e Gottardi cercano di trincerarsi dietro la loro posizione di tecnici che non capivano nulla di politica. L’unico che sa di avere delle chanches per salvarsi è Cianetti. Ha ritrattato il suo voto, scrivendo una lettera al Duce poche ore dopo la riunione del 25 Luglio. Agli imputati non è concesso ricevere visite in carcere. Neppure Edda Mussolini, pur circolando con un lasciapassare firmato dal padre, potrà vedere il marito. All’apertura del processo il giudice Vecchini respinge tutte le richieste fatte dagli imputati per far testimoniare persone a loro favorevoli. Non ci sarà nessun teste a carico della difesa.

ULTIMA PARTE…