Lo Scompenso Cardiaco

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Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica caratterizzata dall’incapacità del ventricolo sinistro di riempirsi con/di espellere una quantità sufficiente di sangue per soddisfare le necessità metaboliche dell’organismo.

L’aumento della prevalenza dello scompenso cardiaco è secondario al progressivo invecchiamento della popolazione e alla riduzione della mortalità per infarto miocardico acuto, con sopravvivenza di un maggior numero di soggetti con ridotta funzione miocardica.

L’eziopatogenesi dello scompenso cardiaco è da ricondurre principalmente a cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa e valvulopatie. La cardiopatia ischemica provoca un danno al tessuto muscolare miocardico riducendone la contrattilità. L’ipertensione arteriosa costringe il cuore a pompare il sangue contro una resistenza maggiore: inizialmente il muscolo cardiaco reagisce con un aumento "compensatorio" della massa muscolare (ipertrofia), con aumento degli spessori parietali. Tuttavia l’aumento della massa muscolare non è accompagnato da un adeguato sviluppo di ramificazioni vascolari. A lungo andare, il cuore ipertrofico va incontro a progressiva dilatazione e sfiancamento, fino allo scompenso. Allo stesso modo, le valvulopatie possono provocare sovraccarico di volume e/o di pressione a carico delle camere cardiache che evolve nel tempo verso l’insufficienza di pompa.

Sintomo chiave dello scompenso cardiaco è la dispnea associata a riduzione della capacità funzionale dell’individuo. Le principali alterazioni della funzionalità respiratoria sono la riduzione della capacità vitale, della capacità polmonare totale, della capacità di diffusione alveolare e della compliance polmonare, con conseguenti ipossiemia e ipocapnia. In base alla sintomatologia clinica, si distinguono 4 classi funzionali o classi NYHA (New York Heart Association):

L’attività fisica ordinaria non causa eccessivo affaticamento, palpitazione, dispnea o dolore anginoso.

Lieve limitazione dell’attività fisica ordinaria, assenza di sintomi a riposo.

Marcata limitazione dell’attività fisica ordinaria; assenza di sintomi a riposo.

Incapacità ad eseguire qualsiasi attività fisica senza sintomatologia che è presente anche a riposo.

La prognosi dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca è generalmente severa, e correla con la classe funzionale: la mortalità a 5 anni per tutti i pazienti con insufficienza cardiaca è approssimativamente del 50%. Oltre il 90% dei decessi è dovuto a cause cardiovascolari, in particolare alla progressiva insufficienza di pompa cardiaca e alla cosiddetta morte improvvisa, legata all’insorgenza di un’aritmia maggiore, quale la fibrillazione ventricolare. In particolare, le frequenti extrasistoli ventricolari, la tachicardia ventricolare, il blocco di branca di sinistra e la fibrillazione atriale si sono dimostrate fattori predittivi di mortalità globale e di morte improvvisa.

Inoltre, l’ipertensione arteriosa, oltre a rappresentare un importante fattore eziopatogenetico, gioca un ruolo fondamentale nella progressione dell’insufficienza cardiaca. Picchi ipertensivi possono indurre riacutizzazioni della sintomatologia, fino all’edema polmonare acuto, e peggioramento della aggravare la sintomatologia clinica. D’altra parte, un calo eccessivo dei valori pressori può portare all’ ipoperfusione di un miocardio già compromesso.

Il trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco si pone tre obiettivi principali: miglioramento dei sintomi, della classe funzionale e della qualità di vita; riduzione della mortalità e morbilità; prevenzione dello sviluppo di insufficienza cardiaca.

L’intervento precoce di correzione dei fattori di rischio modificabili (trattamento di ipertensione, diabete, dislipidemia, cardiopatia ischemica) comporta una riduzione dell’incidenza di scompenso cardiaco con conseguente miglioramento della qualità di vita e riduzione dei costi sanitari e sociali sia in termini di risorse umane che economiche. La terapia dello scompenso cardiaco prevede l’utilizzo di più classi farmacologiche (polifarmacoterapia) che agiscono su più tappe del processo patogenetico che portano allo sviluppo di insufficienza cardiaca. In particolare, Ace-inibitori, beta-bloccanti, diuretici, sartani e antagonisti dell’aldosterone rappresentano i farmaci di scelta e che hanno dimostrato la maggiore efficacia nel ridurre morbilità e mortalità dello scompenso cardiaco.

Quando la terapia farmacologica ottimale, cioè completa di tutte le classi farmacologiche e con dosaggio adeguato di ciascun farmaco, non è più efficace per controllare la sintomatologia del paziente, può essere necessario impiantare cardiovertori-defibrillatori impiantabili (ICD) nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e tachicardia ventricolare sostenuta sintomatica o tachicardia ventricolare inducibile. Nei pazienti con ritardo di conduzione intraventricolare (15-30% dei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra avanzata) e conseguente contrazione ventricolare dissincrona, la resincronizzazione ventricolare mediante l’impianto di elettrocateteri stimolatori ha permesso una significativa riduzione (35-40%) delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e una moderata riduzione della mortalità.

In conclusione, nei pazienti con scompenso cardiaco, soprattutto nelle classi funzionali più avanzate, diventa fondamentale un attento monitoraggio elettrocardiografico, emogasanalitico e pressorio in modo da intervenire tempestivamente per correggere eventuali alterazioni che possono causare una ulteriore riduzione della capacità funzionale cardiaca e minacciare la sopravvivenza del paziente. Nei pazienti appartenenti alle classi funzionali I e II è essenziale ottimizzare la terapia al fine di prevenire o almeno di rallentare la progressione verso gli stadi più avanzati della patologia.