Il Conflitto Culturale e La Crisi della Scuola

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Secondo la sentenza di Fichte, la filosofia che uno ha dipende dal tipo di uomo che è.

What Were Once Vices Are Now Habits, titolavano i Doobie Brothers quasi trentacinque anni fa: quelli che un tempo erano vizi, ora sono abitudini, in traduzione libera – non sapevano (o forse sì), quanto efficace fosse quella sintesi; quanto “succo artistico” contenesse la loro intuizione. Adattabile, peraltro, a qualsiasi realtà, oggi più che mai. Oggi che l’audience seleziona le trasmissioni, che un buon editor o un abile pubblicitario riescono a piazzare lavori mediocri a discapito della letteratura, che si legge meno di novant’anni fa, nonostante l’incremento e l’immediatezza dei mezzi. Il marketing stabilisce i programmi e determina i gusti della gente, che percepisce a sua insaputa sapere & potere come una dittatura irreversibile. Ed è una mistificazione antidemocratica su scala mondiale, che da noi ha preso piede velocemente per la stanchezza cronica dei fruitori, per la pigrizia intellettuale che dall’epoca del Sacro Impero Romano ci caratterizza. La scuola non è più il luogo deputato alla Conoscenza, poiché non mira a fornire le cose che si avranno fra le mani, ma cura gli strumenti per procurarsele. E sono mezzi lenti, obsoleti, quelli della cultura; nessuno ama logorarsi la vista, lambiccarsi il cervello, farsi venire un principio di scoliosi per apprendere una serie di nozioni che non spalancheranno le porte sulle occasioni della vita. Per quelle ci vogliono preti, politici e colonnelli, altro che master e certificati costosi. Queneau diceva, ne I Fiori Blu, che “sul fare del giorno il Duca d’Auge salì in cima al torrione del castello per considerare la situazione storica. E la trovò poco chiara”. Nel romanzo correva l’anno 1264, ma con la stessa ironia, potremmo riportare la trappola orwelliana della società ottocento anni dopo, immutata. La tv e i giornali offrono una circolarità di modelli che produce soddisfazione senza deludere: il telecomando è il potere di scelta, l’acquisto di una o dell’altra testata è a nostra discrezione; tutto ci è amico, nell’impedire il cambiamento. Nel contesto umano dominato dalla logica manageriale del business, del profitto, la ferrea analisi del Verga nel Mastro Don Gesualdo è illuminante. E lo sarebbe ancor più se sui banchi venisse spiegato per quanto quel testo rappresenta, senza farlo odiare ai più, obbligandone la lettura controvoglia, senza un minimo di approccio esplicativo. La “roba” che il protagonista adora è la sintesi della rivoluzione industriale, tecnologica e interiore del mondo attuale; la sete di possesso, di cose, di oggetti e materialità che scaccia il sapere e soverchia perfino la personalità, rispecchia la caduta verticale dei valori. Quella di allora e quella attuale. Altro che Nietzsche, Marx o Engels, anche un poeta come Joyce aveva intuito che ogni uomo ha il suo prezzo, e prima di lui molti l’avevano pagato caro. Dante Alighieri condannato all’esilio, Machiavelli torturato, Tasso rinchiuso come un folle, Galilei osteggiato e incarcerato, Bruno Giordano e Savonarola bruciati vivi, Campanella vessato sette volte e segregato per quasi trent’anni, sono esempi di un passato remoto per nulla morto e sepolto. Il terzo millennio parla più spesso di planning, di trend, di partner & leadership, screening del mercato, plusvalenze, capitalizzazione e client assistant che non di etica, di Sapere e fondamenti di esso. La convivenza sociale è più che mai sull’orlo del precipizio.