Il Culto e la Parabola della Libertà

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Conversione e strumentalizzazione, un binomio che non dovrebbe nutrire alcuna velleità religiosa, campeggia invece sulle prime pagine di molti giornali.

Magdi Allam diventa Magdi Cristiano Allam, benedetto dal Pontefice nel giorno di Pasqua, e subito dalle colonne dei giornali d’Italia, dalle scalette dei Tg farcite di gossip e voyeurismo di quartiere si alzano cori, canti e interrogativi. Il rispetto di una fede non dovrebbe mai essere messo in discussione, non fosse altro per l’essenza sua intima, per quella platealità privata del gesto che non sottende alcuno spot, ma si limita (sempre che un limite sia!) a seguire un percorso interiore soggettivo, personale. Invece, il giornalista gira da cinque anni con una scorta personale per timore della fatwa, la terribile condanna che gli estremisti islamici potrebbero pronunciare a suo sfavore. Questione di culto, questione di vita. Questione di un problema antico quanto l’uomo, che parla per bocca degli dei quando ha bisogno di giustificare questa o quella forma del proprio agire. Generalmente sbagliata. È così che si ripete la favoletta del buon praticante che non va a vezzeggiare il suo Dio, perché è un Dio troppo giusto, troppo furbo per volersi sentire osannato, “leccato” come un docente vanitoso. E gli scrive una lettera che molti non saprebbero capire. “Scusa Dio, se a volte non entro a farti visita, ma la tua casa è già in ogni luogo; la trovo in qualsiasi granello di sabbia, chiesa o ciottolo. Le mie strade si perdono spesso da sole, e serve davvero un intervento divino per dargli una direzione. Scusa Dio, se a volte mi sento sciocco a parlarti con salmi o parole: se sei nella mia mente, se il mio cuore è lui stesso parte di te, ben conosci ciò che voglio dire. Chiedo poco io, perché in fondo stare qui mi basta per uno e un milione di sorrisi”.