Come mai l’Italia è entrata nella seconda guerra mondiale? E perché per mesi ha evitato di mettere in campo operazioni militari di un certo rilievo? E’ possibile che l’improvvisa decisione di Mussolini del giugno 1940 avesse, tra le sue premesse, anche contatti segreti con Londra? Insomma, l’Italia nel 1940 si è mossa sulla falsariga del 1915, quando il segretissimo “Patto di Londra” ha determinato la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale? Domande che potrebbero avere una risposta nei contenuti del carteggio Mussolini-Churchill, uno degli enigmi più misteriosi della storia del Novecento. Intorno a quelle carte, per molti anni dopo la fine della guerra, si sono mossi, oltre ad agenti segreti, faccendieri, partigiani e ufficiali di varie nazionalità, personalità del calibro di Palmiro Togliatti, di Alcide De Gasperi e di Umberto II di Savoia. Ma più di tutti lo ha fatto Winston Churchill in persona.
Da diversi decenni si continua a favoleggiare sull’esistenza e sul contenuto del cosiddetto carteggio Churchill-Mussolini. Ne sembra certa l’esistenza e sembra altrettanto certo, storicamente, che Benito Mussolini lo avesse con sè durante il suo ultimo viaggio nella provincia di Como.
Pare altrettanto documentato il pignolesco zelo che, in quei giorni convulsi e drammatici, gli inglesi manifestavano per rientrare in possesso della documentazione che era nelle mani del leader fascista. Essa potrebbe offrire, per taluni specifici momenti storici (quale, ad esempio, l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno del 1940), una chiave di lettura depurata dalla inevitabile retorica dei vincitori. E’ dunque evidente che vi è un interesse specifico degli studiosi ad impadronirsi di un carteggio intercorso fra il premier inglese ed il presidente del Consiglio dei ministri dell’epoca, il Duce del fascismo.
Da più di mezzo secolo molti si domandano se negli anni che hanno preceduto, accompagnato e seguito la seconda guerra mondiale c’è stato o meno uno scambio epistolare non ufficiale tra due personaggi storici che erano acerrimi nemici: Benito Mussolini e Winston Churchill. Nel maggio 1940 Churchill assume la carica di primo lord inglese. Sono quelli i giorni più difficili per le nazioni schierate contro Hitler che ha invaso l’Europa. Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio e Olanda sono stati occupati. In Francia gli eserciti di Parigi e Londra sono alle strette e sul punto di essere circondati. Sembra che il nazismo possa trionfare, da una settimana all’altra, sull’intero continente europeo. E’ questo il contesto in cui sono intercorsi contatti segreti con Roma per impedire che l’Italia partecipasse attivamente al secondo conflitto mondiale. Gli inglesi e soprattutto i francesi, avrebbero chiesto a Mussolini di entrare in guerra a fianco della germania nazista. All’armistizio, pensavano che il Duce potesse influire su Hitler per moderarne le richieste fatte a discapito delle nazioni inginocchiate dalla pesante sconfitta. Per l’opera di mediazione, Mussolini avrebbe ottenuto grosse gratificazioni territoriali, soprattutto in Africa. Dino Campini (segretario del ministro Carlo Alberto Biggini) ha, infatti, scritto: “Se i fatti consentono interpretazioni, se è valida la catena delle cause e degli effetti, si deve ammettere che l’Italia cominciò la guerra per non farla, ma soltanto per inserirsi in un gioco politico”. La guerra, però, ha ben presto preso una andazzo del tutto diverso. L’Inghilterra con l’aiuto degli Stati Uniti è riuscita a fronteggiare la disastrosa situazione in cui si dibatteva. Già nel 1942 i rapporti di forza erano cambiati. Le promesse di qualche anno prima tornavano a discapito di chi le aveva fatte, cioè di Churchill. Chi le aveva tacitamente accolte, Mussolini, pensava, invece, di utilizzarle per ottenere favorevoli garanzie di pace.
Tra l’autunno 1943 e l’aprile 1945 Mussolini risiedeva a Gargnano, sul lago di Garda, a villa Feltrinelli. Negli ultimi mesi di vita il dittatore fascista cercava di portare avanti una trattativa occulta con gli inglesi. Ci sono molti indizi che lo fanno pensare. Intercettazioni telefoniche e postali effettuate dai tedeschi, numerose dichiarazioni dello stesso Mussolini e testimonianze di suoi più stretti collaboratori: sono molte le tracce a riprova che ci sono stati dei contatti segreti tra il Duce ed emissari degli alleati. Mussolini, il 10 settembre 1944, così scriveva al Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani: “Soltanto il carteggio, ormai voluminoso, in caso di bisogno, parlerà e spezzerà ogni lancia puntata verso di noi. Il solo conoscere dell’esistenza dei miei incartamenti fa paura a troppi, sia a Vittorio Emanuele sia a Badoglio. Ma anche lo stesso Churchill e lo stesso Hitler saranno obbligati ad attenersi ad una linea veritiera. Anche questo scopo verrà raggiunto”. In un’altra lettera di Mussolini al Graziani si legge: “Al momento ritengo di grande importanza portare al sicuro questi incartamenti, in primo luogo lo scambio di lettere e gli accordi con Churchill. Questi saranno i testimoni della malafede inglese. Questi documenti valgono più di una guerra vinta, perché spiegheranno al mondo le vere, le sole ragioni del nostro intervento a fianco della Germania”.
Questo è il tono di una terza missiva mussoliniana inviata al canuto e longilineo Maresciallo d’Italia (7 marzo 1945): “Caro Maresciallo, Churchill sa che io ho le cartucce pronte. Certamente si mangia le unghie per la sua lettera dell’ottobre 1940, ora che si trova nelle grinfie dell’orso rosso. E se io agissi? La sua posizione diverrebbe insostenibile, sarebbe la fine, potrebbe avere come conseguenza il suo siluramento. No, non sono di tale avviso. Per noi è un ponte, un appiglio in caso di estrema necessità. Tutto questo Churchill lo sa benissimo. Parlare di tutto questo a Hitler? Guai! Lui agirebbe subito, forse pregiudicando definitivamente tutto, con il suo temperamento, il suo caratteraccio. Si perderebbe con atti inconsulti. Vi ripeto Maresciallo, queste ultime armi morali devono essere custodite gelosamente. Dovessimo soccombere materialmente, moralmente saremo imbattuti, saremo invulnerabili. Gli stessi eventuali vincitori saranno i compromessi”. Parlando al telefono con Alessandro Pavolini (segretario del Partito Fascista Repubblicano) il capo del fascismo repubblicano ha detto: “Al momento ritengo che la cosa più importante ed utile sia il portare al sicuro le nostre carte, soprattutto la corrispondenza e gli incartamenti sugli accordi segreti con Churchill”. Il 15 aprile 1945 Mussolini si rivolgeva al suo vecchio amico Nicola Bambacci con queste parole: “Allo stato attuale poco mi resta. Solo le nostre carte possono essere la nostra salvezza materiale e morale. Dovessi essere assassinato o morire in combattimento, sfruttate i documenti: è in gioco l’interesse della nazione”.
In una telefonata del 22 marzo 1945, Mussolini si confidava con Claretta Petacci, esprimendosi in questi termini: “Lui (Pavolini) non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la conoscono solo cinque persone”. Il 14 marzo 1945, il Duce scriveva all’amante: “Claretta mia cara, hai ragione. Si avvicina il giorno in cui Hitler si convincerà della necessità di trattative dirette con l’Inghilterra. Lui conosce le mie possibilità. Però, agire d’accordo con Hitler significa rischiare di correre il pericolo di compromettere la nostra situazione e la nostra possibilità di salvare il salvabile. Agire di nostra iniziativa da soli? Non è consigliabile. Ma a chi rivolgerci?”. Telefonando al ministro dell’Interno Paolo Zerbino (25 marzo 1945), il leader fascista gli ha ordinato: “Fate meglio che potete. Sono già pronte tre fotocopie. Mandate subito il materiale a Milano. Le altre copie fatele portare qui, con gli originali. Per gli ultimi il luogo di destinazione è già scelto. Io stesso terrò poche carte. Non si sa mai a cosa si può andare incontro, e bisogna in ogni modo impedire che anche una piccola parte degli incartamenti possa cadere in mano a gente che abbia interesse a distruggerli o a nasconderli”.
Al suo ministro dell’Economia Corporativa, Angelo Tarchi, Mussolini ha confidato nel marzo del 1945: “Ho qui una documentazione della quale, data la sua estrema importanza internazionale, non ho ritenuto fare copia: io devo salvare questa documentazione e specialmente una parte di essa. Vedete in questa lettera di Churchill vi è il perché, il motivo per il quale l’Italia è entrata in guerra, è stato anzi il momento in cui tutto sembrava perduto per l’Inghilterra. Si è sperato che io potessi, nella vittoria dei tedeschi, mitigare lo smisurato potere di Hitler: questo è anche il motivo per il quale nel 1940 non riunii il Gran Consiglio per farlo deliberare sulla guerra, anche se ciò significava violazione dello Statuto”. Le stesse cose le ha riferite Pino Romualdi, un altro fedelissimo del Duce. Il 20 aprile del 1945 al direttore del Popolo di Alessandria, Gia Gaetano Cabella, Mussolini ha detto: “Io ho qui tali prove di aver cercato con tutte le lie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della storia. Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno”
La guardia del corpo del dittatore, Pietro Carradori, da poco scomparso, ha riferito di aver accompagnato due volte il leader fascista a Porto Ceresio, presso Varese, a un passo dalla Svizzera. Lì il Duce aveva appuntamento con fiduciari del governo britannico. Il Carradori sapeva, inoltre, di altri incontri riservati tra i belligeranti avvenuti sul lago di Iseo, nella casa di un noto costruttore d’armi. Mussolini, con la sua borsa di pelle da cui non si è mai separato fino al momento dell’arresto, partiva sempre da Gargnano. Qui, a guerra finita, sono arrivati detectives dei servizi segreti anglosassoni per cercare carte e documenti. Era la fase finale di una caccia iniziata già durante la guerra. Gli inglesi sapevano, infatti, che tra i dossiers del Duce c’era qualcosa che li poteva interessare, e non poco. Villa Feltrinelli è sta perquisita ed è stato stilato un lungo elenco dei documenti che vi erano stati ritrovati. Un rapporto conservato a Londra, all’archivio di Stato di Kew Garden, ci notifica quello che è stato reperito e, soprattutto, quello che non è mai stato restituito alle autorità italiane dopo essere stato opportunamente microfilmato dagli inglesi. Sempre a Gargnano, a villa delle Orsoline, Mussolini aveva fissato il suo quartier generale quando governava la Repubblica Sociale Italiana (RSI). In questa villa c’era il suo ufficio e proprio in questa sede è accaduto, nel febbraio 1945, un episodio molto eloquente. Convocato nel suo ufficio il direttore dell’Istituto Luce, Nino d’Aroma, Mussolini gli ha chiesto se poteva far riprodurre segretamente circa 200 documenti. D’Aroma ha risposto che non garantiva l’assoluta segretezza dell’operazione ed è rimasto basito quando Mussolini gli ha fatto un’insolita domanda: “Conoscono l’inglese i vostri fotografi?”. Parlando con il D’Aroma il Duce ha specificato: “Trattasi di un grosso carteggio con capi di governo e di delicati ed esplosivi documenti che in un prossimo avvenire potrebbero essere carte risolutive per il gioco politico internazionale del nostro paese”.
Da varie fonti sappiamo che negli ultimi mesi di vita Mussolini ha fatto fare varie copie di incartamenti e che ha affidato le sue carte riprodotte a varie persone (alla moglie Rachele, al ministro Carlo Alberto Biggini, all’ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka, al colonnello dei servizi segreti repubblicani Tommaso David e a giovani miliziani che le dovevano portare in Svizzera tra cui il lestofante Enrico De Toma). Alcuni fogli li ha fatti bruciare dal figlio Romano al momento dell’epilogo. Gli originali li teneva sempre con lui, in una borsa di cuoio che non abbandonava mai o in una piccola busta di pelle marrone che custodiva gelosamente in una tasca interna della giacca. A Milano, nei giorni immediatamente precedenti il 25 aprile 1945, il dittatore fascista si stabilisce nella Prefettura da dove partono gli ultimi tentativi per cercare di mediare un patteggiamento con i partigiani. E sempre nello studio milanese, il vecchio demiurgo riordina per l’ultima volta i suoi papiri. In questa stanza, la sera del 25 aprile 1945, prima di partire per Como, Mussolini si rivolge al suo attendente, il già menzionato Pietro Carradori, che così riporta il colloquio avvenuto tra lui ed il suo principale. Erano quasi le 20: “Mussolini mi chiamò e, con una espressione seria e solenne, aprì un cassetto della scrivania, ne estrasse una borsa di cuoio marrone chiaro, con cerniera e senza manico, la stessa borsa, la riconobbi immediatamente, che aveva con sé le due sere degli incontri con emissari inglesi a Porto Ceresio, e mi disse queste precise parole: <Carradori, tutto potete abbandonare, meno questa borsa. Qui dentro ci sono i destini d’Italia>”.
Continua……..