MUSSOLINI NEMICO SEGRETO DI HITLER?

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Quali erano i veri sentimenti di Benito Mussolini nei confronti di Adolf Hitler, l’alleato tedesco?: invidia impotente?, stupida emulazione?, incosciente vassallaggio?…..  opportunismo diplomatico? A Venezia, il 14 giugno 1934, era la prima volta che il dittatore italiano incontrava il Fuhrer, l’uomo che lo ha incatenato al suo destino.”Quello non mi piace” ha borbottato il Duce nel momento in cui il Fuhrer si è affacciato dal portello dell’aereo infagottato in un trench color nocciola stretto in vita e con un cappellaccio marrone in testa. Se è vero che la prima impressione è quella che conta, mai, come in questo caso, tale asserzione si è rivelata più azzeccata. Ecco come Mussolini descrive Hitler: “Il tocco della sua mano timida e umida, fredda e quasi anchilosata, la sua inappuntabilità di manichino berlinese, gli occhi di vetro, la bocca rigida chiusa da due labbra sottili e gialle, con un tremito a fil di schiena mi richiamarono alla mente le maschere di cera dei grandi uomini che vidi molti anni fa nel museo di Londra”.

Quando il tiranno nazista ha annesso l’Austria nel grande Reich, il capo del fascismo non ha mostrato le unghie nonostante avesse ripetutamente affermato che i confini austriaci erano inviolabili. Commosso, Hitler gli ha inviato il seguente telegramma: “Duce, io non dimenticherò mai questo”. Ha detto Vittorio Mussolini: “E’ mia opinione che Hitler volesse più bene a mio padre che mio padre a lui. L’ammirazione e la stima per il Duce era intensa e sincera. Martin Borman mi confidò che una volta il Fuhrer gli aveva detto che il popolo italiano non era degno di essere guidato da un uomo così eccezionale”. Mussolini aveva, tuttavia, un rapporto conflittuale nei confronti del tiranno nazista. Invidiava le sue conquiste, ma temeva che le mire espansionistiche di Hitler potessero coinvolgere l’Altoadige. Ammirava la fermezza del despota tedesco, ma paventava che tale intransigenza potesse andare a detrimento dell’alleato più debole. Iconizzava emblematicamente la gloria teutonica, ma pensava, sotto sotto, che i mirabolanti successi delle armate tedesche avrebbero, prima o poi, finito con il destabilizzare definitivamente il primato degli italiani sul Mediterraneo. Esultava per le vittorie della Wehrmacth, ma simultaneamente godeva quando le truppe del Reich andavano incontro ad una cocente sconfitta.

Quando il Fuhrer ha liberato Mussolini dalla prigione sul Grann Sasso d’Abruzzo, in cui lo tenevano relegato Pietro Badoglio e Vittorio Emanuele III, il gesto da lui compiuto è stata una dimostrazione di cordiale affetto e di spontanea devozione per l’amico ostaggio dei traditori sabaudi o un calcolato espediente da cui si aspettava un tornaconto, un prestito ad personam che sarebbe stato restituito con interessi da usuraio? Certamente l’impegno profuso dai nazisti per restituire il Duce alla sua famiglia ed all’Italia era dovuto anche all’impellente necessità di garantire alla Germania la possibilità di beneficiare in pieno dei vantaggi che le offrivano le industrie e la manovalanza operaia del nord peninsulare non ancora occupato dagli angloamericani. Del pari non è da escludere che abbia influito in tal senso un fattore affettivo simile a quello che si instaura tra il maestro e l’allievo, un maestro prodigo di consigli non ascoltati ed un allievo avaro di quel poco che ancora gli rimaneva se confrontato con l’enorme potere che aveva avuto fino a pochi anni prima.

Mussolini era per Hitler quello che è un padre adottivo per il figlio adottato: al genitore si deve riconoscenza non per un fattore genetico, ma per semplice convenzione gerarchica familiare, lo si può amare, a seconda delle circostanze, ma lo si può anche ripudiare se non c’è una tangibile convenienza, lo si può citare ad esempio, quando le cose vanno bene, ma simultaneamente lo si può esecrare se i fatti non rispecchiano le aspettative desiderate, lo si può emulare, nel caso in cui rifulgano le sue virtù, ma nel contempo lo si disprezza se si appalesano nel capofamiglia quei difetti che la prole non tollera.

Al luciferino collega tedesco, Mussolini era legato da rapporti tutt’altro che lineari e limpidi. Le parentele ideologiche, il più delle volte, generano nell’imparentato più debole la sudditanza e non l’equipollenza legalitaria. L’alleato in questi casi da sinergista si trasforma in padrone, da coéquipier in intollerante capo fila, da fraterno amico in simoniaco eresiarca. Due corolle di una stessa pianta finiscono per darsi fastidio l’un l’altra, per farsi ombra a vicenda, per farsi bella la prima a discapito della seconda. Tra il Duce ed il Fuhrer è stato un matrimonio d’interesse. Come succede in tutti questi casi ha prevalso la logica spietata del tornaconto e non l’afflato amoroso. Si è badato alla sostanza e non al cameratesco o, se vogliamo, allo spirituale connubio. Le diffidenze ed i rancori hanno finito per prevalere sulle dichiarazioni di eterno amore e di fedeltà perinde ac cadaver. Così Mussolini è finito per diventare un’ingombrante ipoteca nelle mani degli interessi della Germania nazista.

Quando l’ex dittatore italiano, recluso nella “più alta prigione d’Italia” (il Gran Sasso d’Abruzzo), ha visto che gli alianti piovuti dal cielo vomitavano paracadutisti tedeschi assatanati ha esclamato: “Avrei preferito che a liberarmi fossero stati gli italiani”. Gigante dell’opportunismo, al suo liberatore, il capitano delle SS Otto Skorzeny, ha confidato: “Lo sapevo che il mio amico Hitler non mi avrebbe abbandonato”. Nel frattempo, il Fuhrer, emozionato fino alle lacrime per l’avvenuta liberazione, firmava un decreto che affidava la gestione del Trentino e della Venezia Giulia a due gauleiter nazisti, quello del Tirolo e quello della Carinzia. Pietro Carradori, l’attendente del Duce ha detto: “Mussolini non fu “liberato” dai tedeschi sul Gran Sasso, come si dice da oltre mezzo secolo, ma fu “catturato”. Era cioè un prigioniero senza vie d’uscita. Questo era il suo stato d’animo quando lo rividi dopo il suo rientro in Italia dalla Germania”.

Mentre i russi arrivavano alle porte della Cancelleria di Berlino, Hitler si è rinchiuso nel suo bunker sotterraneo e si è suicidato, rompendo tra i denti una capsula di cianuro o sparandosi una rivoltellata alla tempia. Mussolini, odiando i rifugi antiaerei (non era mai sceso in uno di essi) ha scelto di andare a Como, prima tappa dell’itinerario che aveva come meta finale la Valtellina, l’ultima Thule del regime. Morire sì, ma all’aria aperta. Anche nella scelta della morte ha avuto il sopravvento la matrice ideologica. Ma si sa il Fuhrer ammirava Wagner, mentre Mussolini adorava Verdi. E’ una questione di Dna. Diverse da quelle del nazismo, le responsabilità del fascismo rimangono a prescindere dalle alleanze stipulate, dalle simpatie più o meno ricambiate, dalle antipatie e dalle amicizie di convenienza. Non è separando i due regimi che si ottiene, automaticamente, l’assoluzione dell’uno e la condanna dell’altro.

Ha scritto Indro Montanelli. “La liberazione di Mussolini sul Gran Sasso fu determinante per le vicende italiane dopo l’8 settembre. Essa restituì al fascismo il suo capo, sia pure avvilito e dimunuito dalla sconfitta e dalla prigionia, consentì a Hitler di avere in Italia un vassallo di grande prestigio, diede un simbolo ed un nome importanti all’ultima, fosca versione del Regime. Senza Mussolini, i tedeschi avrebbero dovuto affidarsi ad un qualsiasi screditato e servile Quisling locale, un Farinacci, o un Ricci o un Buffarini Guidi: con Mussolini la Repubblica di Salò potè vantare una continuità ed una legittimità; certamente potè anche opporsi con qualche efficacia a talune estreme porcherie dell’occupante, e frapporre un diaframma, sia pure debole, tra l’ira tedesca e la popolazione civile”.

Racconta Svetonio: l’Imperatore Augusto, prossimo alla morte, si è fatto portare uno specchio, vi si è rimirato e, aggiustandosi i capelli, ha domandato ai parenti che lo circondavano: “Vi sembra che abbia recitato bene la mia parte?”. Se Mussolini fosse morto nel suo letto avrebbe recitato la sua parte fino all’ultimo anelito. Con un profondo sospiro avrebbe detto: “Avrei ancora tante cose da fare”. Il professor Gaetano Salvemini lo ha definito “un commediante meraviglioso” ed il suo migliore biografo antifascita, Alceste De Ambris, ha detto di Mussolini: “Come istrione è veramente un genio”. Parlando del Duce, Cècile Sorel, nel luglio del 1931, ha affermato: “Quale grande artista sarebbe stato” ed un noto giornalista americano, Percy Wirmer, dopo averlo ben conosciuto, lo ha definito: “Un maestro della posa”. Mussolini stesso ha detto: “Io sono il primo attore di una commedia che recitiamo tutti insieme”. Maurice Bedel dedica un capitolo di un suo libro al sorriso di Mussolini e assicura che questi “quando riceve stende i suoi lineamenti, disserra i denti, si esprime con la voce più dolce del mondo in un francese leggermente modulato, canterellato, quasi cinguettato”. Va incontro all’ospite  con “l’andatura leggera un po’ danzante, le braccia aperte, le spalle dondolanti”. Quando deve recitare, Mussolini ritrova tutte le sue energie. In questa risorsa è il segreto della sua personalità.

Mussolini non è stato uno stinco di santo. Dopo che lo hanno ucciso e dopo che sul suo cadavere ha imperversato il lungo e inumano ludibrio, ancora in quella nefanda aura di scempio, il filosofo Benedetto Croce ha detto che il dittatore era “un povero diavolo”. Sua moglie Rachele Guidi Mussolini ha affermato: “Mio marito pareva un leone, ma era più mansueto di un agnello”. Altri lo hanno giudicato un “avventuriero”, un “maestro elementare da dozzina”, un “volgare demagogo”, un “Cola di Rienzo da trivio”. L’elenco potrebbe ancora continuare all’infinito. Ma a più di sessant’anni dalla sua tragica fine, Mussolini appare, agli stessi accaniti avversari, un altro uomo da quello che viceversa hanno insultato quando era nella sfortuna o già esanime Il suo bisogno di credersi forte e la volontà di diventarlo si sono quasi interamente risolti nell’illusione che aveva di essere un grande protagonista e nella volontà di dimostrarlo al mondo intero. L’attore ha ben compreso qual’era il ruolo del personaggio che doveva interpretare. La maschera è diventata a questo punto il suo vero volto. Ha cominciato ad essere veramente sincero. Non ha più avuto bisogno di serrare i denti e di prognare il mento. Poteva sorridere compiaciuto. La mascella volitiva era solo un ricordo del passato.  Il suo protagonismo è scemato ed ha prevalso il fattore umano. Quanto su questo fattore abbia influito “l’amicizia” con Hitler è ancora da tutto stabilire. L’influsso deve essere stato certamente nefasto se qualcuno l’ha definita “una brutale amicizia”.