scuola- Ulteriori analisi di errate valutazioni.

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Come scritto, il problema delle valutazioni e delle competenze persiste e, sebbene esistano indicazioni ministeriali “più severe”, tendenti ad un miglioramento dell’istruzione, in molte scuole, purtroppo, vengono ancora attuate politiche tendenti alla diminuzione dei livelli culturali, cioè vengono promossi tutti gli alunni anche senza che questi studino o abbiano le competenze richieste per il passaggio al grado scolastico successivo.

Nello specifico queste scuole abbassano il target, ovvero richiedono, nel migliore dei casi, solo il rispetto degli obiettivi minimi d’apprendimento, e spesso neanche questi, (saper leggere, saper scrivere, saper riconoscere le linee fondamentali di.., ecc.) e vogliono che, individuate le fasce d’appartenenza cui devono essere inseriti gli alunni, quelli che risultano nella fascia dell’insufficienza debbano superare l’anno affrontando una semplice unità didattica interdisciplinare, una, che in realtà va incontro alle esigenze degli alunni anche quando questi non studiano, volontariamente e indipendentemente da problemi terzi, ergo tutti verranno promossi, sottostimati, svalorizzati ma promossi.


Di più, sembra ovvio, anche per una questione etica e morale generale, progettare e richiedere il “superamento” d’una unità interdisciplinare semplice per chi ha particolari problemi nell’apprendimento o problemi di altra natura, , ma a questo si aggiunge che quelli individuati inizialmente in altre fasce, quindi dal sufficiente in poi, per il fatto che inizialmente possedevano delle abilità, nell’ottica falsata del rapporto conoscenze/competenze, non possono essere bocciati se nel corso dell’anno non studiano più. Addirittura esistono realtà in cui si afferma che le colpe sono degl’insegnanti che non motivano abbastanza gli studenti. Però, spesso vengono individuate le fasce d’appartenenza iniziali di questi alunni sulle fasce d’uscita dell’anno precedente, quindi, se sono stati promossi (anche immeritatamente) avevano delle abilità e quindi non possono essere bocciati, ovvero ci sono dirigenti che instaurano questo tipo di meccanismi evitando che in queste scuole esistano le bocciature. Ma da che mondo è mondo può capitare che uno studente non voglia studiare, soprattutto quando vede che nella scuola vengono promossi tutti indipendentemente dallo studio, e da che mondo è mondo è giusto che, verificata la mancanza delle competenze, in quel caso si bocci. Può capitare, per giunta, che ci siano ragazzi in seconda e terza media che non sanno usare “è” verbo ed “e” congiunzione, o “a” preposizione e “ha” verbo, ma che in alcuni casi i dirigenti dicano che i ragazzi in questione dovevano essere bocciati prima, per cui, verificato il problema o la mancata competenza e abilità nell’anno in corso, non possono essere bocciati nel caso in cui non migliorino (perché il loro livello, evidentemente falsato, aveva già garantito la promozione l’anno precedente). Ma i problemi e le incongruenze metodologiche non finiscono qui e può capitare di sentire che sapere la differenza tra l’ “è” verbo e la congiunzione sia una conoscenza, non valutabile per la promozione che invece, a parer di tanti, si basa sull’abilità, non capendo che se in poche righe uno studente sbaglia più volte l’utilizzo del verbo essere o l’uso delle congiunzioni, per non parlare del resto, dato che le abilità passano anche attraverso le conoscenze, in realtà non ha le abilità per scrivere in italiano, ma quindi neanche per comunicare e neanche per ragionare, dato che un buon ragionamento passa attraverso schemi mentali che si basano sulla padronanza della lingua!

In realtà è doveroso che aumenti un sentimento di preoccupazione rispetto a promozioni immeritate che favoriscono il bullismo, il disagio sociale, l’ignoranza, il divario sociale, la disoccupazione e una marea di futuri “cattivi cittadini”.

Occorre lavorare con coscienza, valutando gli alunni in base alle loro problematiche, ma anche al loro impegno e al loro comportamento e infine alle loro conoscenze, soppesando tutti gli elementi in questione, ma sicuramente è sbagliato perpetrare un meccanismo negativo su scala nazionale.

Ponendo nuovamente il dito sulla piaga, non per mortificare quanto per criticare la situazione e richiederne un miglioramento, proprio i giovani della regione sarda sono quelli, in Italia, che leggono meno, se ne deduce così che, se devono essere creati laboratori pluridisciplinari, questi dovrebbero privilegiare la lettura e l’amore per i libri, pure in funzione dello studio delle materie tecnico-pratiche

Una situazione locale: il caso sardo come esemplificativo del sistema nazionale. Molti progetti, erogazione di fondi, e bassi rendimenti scolastici.

Che nella scuola italiana esistano problemi legati alla diminuzione dei livelli culturali è cosa nota, poi, che ai problemi dell’istruzione sia direttamente correlato un aumento del divario tra chi sta meglio e chi sta peggio è altra cosa nota. Purtroppo è tutto vero e per giunta, nella nostra isola, anche dall’indagine elaborata dalla rivista Tuttoscuola, con la conseguente notizia apparsa nel sito ANSA il 12/6/2007, che confermava la scuola sarda all’ultimo posto di una graduatoria nazionale, già in coda rispetto alla “classifica” europea, il fenomeno risulta allarmante e crea ulteriore disagio in una regione con alti tassi di disoccupazione o occupazione stagionale. Del resto, comunque, la notizia non è una “scoperta”, quanto piuttosto la constatazione di una situazione di fatto già annunciata più volte da più voci e in differenti spazi mediatici nazionali e locali. Per dirla alla Gregory Bateson, l’informazione è tale se viene percepita come differenza che produce una differenza, e allora le ipotesi sono due: o la stampa, in questo caso, da un evento ha creato una notizia che non doveva essere tale, oppure le informazioni che “giravano” in merito alla scuola sarda non venivano percepite come tali dalla maggior parte dei sardi. Ovvero si gridava al lupo perché il lupo c’era, ma nessuno interveniva!


Nonostante i numerosi e meritevoli interveti del ministro Fioroni (indirizzo più severo nei confronti della scorretta condotta scolastica, interventi mirati sul bullismo, finanziamenti per lo studio dell’Italiano e della matematica, ecc..) nelle scuole italiane esistono ancora meccanismi che non vertono sul miglioramento dei livelli culturali dei nostri giovani studenti, sia per quanto riguarda l’applicazione dello studio vero e proprio, sia per il perseguimento di una condotta educata e rispettosa nei confronti degli insegnanti, di tutti i compagni e di se stessi in generale, all’insegna di quella massima etica, morale e giuridica che indica la grandezza della nostra libertà entro quei limiti che non travalicano la libertà degli altri.

Nello specifico, analizzando alcuni problemi dell’istruzione italiana in modo semplice, si può dedurre che spesso molti istituti, appunto nonostante le indicazioni ministeriali verso una scuola più severa, dove per severa in realtà s’intende giusta, ovvero una scuola in cui per essere promossi si richiede l’impegno, lo studio e l’educazione, con l’uso di provvedimenti come le sospensioni e l’allontanamento da scuola, se dovuti e nei casi opportuni, adottino delle politiche contrastanti tendenti alla quantità dei promossi e non alla qualità di queste promozioni.

Ne consegue direttamente un effettivo svilimento dello studio come processo di maturazione e di crescita, personale e sociale, e come strumento per la ricerca del lavoro. Ma i casi nazionali non sono altro che l’insieme dei casi locali e così, proprio giovedì 27.12.2007, sul sito insardegna.eu, veniva pubblicato un articolo di Marco Pitzalis (Il silenzio degli incoscienti, seguito da Il silenzio degli incoscienti /2 – N.d.R) che analizzava lucidamente la situazione scolastica regionale sarda in merito alla dispersione scolastica e all’erogazione di finanziamenti regionali per progetti mirati contro il fenomeno citato.

Nell’articolo, Pitzalis, evidenziando l’erogazione di ulteriori fondi regionali, scriveva che: “… quello che dovrà ancora scoprire l’assessore è che le scuole non sono un tutto unitario che agisce e si auto-governa come sistema. Si tratta di un arcipelago attraversato da contraddizioni strutturali, conflitti per il dominio e in qualche caso per la sopravvivenza e in cui si sviluppa un vero e proprio mercato interno dei progetti che dà luogo ad un’economia scolastica la cui finalità principale non è il raggiungimento dei risultati ma l’accesso alle risorse e la loro distribuzione.”“Per inciso, gli alti tassi di dispersione nella scuola sarda sono accompagnati da un’alta densità di progetti contro la dispersione: nel 2006 ogni scuola secondaria ha realizzato in media 1,5 progetti sulla dispersione per scuola, meno di quanti ne siano stati finanziati: 1,7.

Nessuno conosce i risultati – in termini di ricerca e di effetti sul fenomeno – di tale messe di progetti.”“Purtroppo è già da ora prevedibile che la grande quantità di soldi che la Giunta si appresta a mettere a disposizione (senza saper bene come spenderli) non permetterà di realizzare quei cambiamenti strutturali di cui la scuola sarda ha bisogno.”

Come detto, il caso locale sardo non è altro che uno dei tanti casi nazionali, e allora sembra proprio che alla base del problema esista una grande discrepanza tra gli indirizzi e le azioni ministeriali, dove si attuano erogazioni di soldi per l’insegnamento dell’italiano e la matematica, dove si chiede più severità contro gli atti di bullismo e dove, avendo tolto l’ammissione d’ufficio agli esami, si indica chiaramente che va premiato il merito, quindi autorizzando le bocciature nel caso opportuno, e molti indirizzi dirigenziali dei singoli istituti scolastici, indirizzi, questi ultimi, che tendono ad avere un alto numero di promossi, come che a questo corrisponda automaticamente un successo delle singole scuole. Poi, come sono questi promossi e quanto in queste condizioni lavorino male gli insegnanti, tra le indicazioni ministeriali e le contraddittorie indicazioni di molti dirigenti scolastici, sembra non importare. Insomma, il problema dell’istruzione italiana è un problema che deve essere risolto per ridare l’ossigeno e l’importanza giusta alla nostra nazione.

Non si possono dare soldi alle scuole per progetti extrascolastici se poi non viene verificato effettivamente, dal ministero, in itinere e in modo costante l’operato e i rendimenti scolastici reali degli alunni, e non con dati rilevati sulla carta ma con prove del tipo “tu di questo cosa sai”, perché altrimenti l’erogazione dei fondi acquista il sapore del gelato che viene dato al bambino obeso che piange, per farlo smettere di piangere, rilassando le orecchie dei genitori ma aumentando la sua obesità. Ovviamente, osservando i fatti, il ruolo del diavolo in questa storia non è svolto da chi sta in cima all’apparato, ma probabilmente, a differenza di quel che si potrebbe pensare non è svolto da nessuno.

Forse bisognerebbe affermare che una scuola può avere successo anche se ha un alto numero di bocciati, purché operi al meglio per la diffusione dell’istruzione e per l’incentivazione del merito. Forse l’autonomia scolastica ha ulteriormente aggravato i problemi dell’istruzione, magari dando alle scuole l’idea di essere diventate imprese che devono far soldi, con la minaccia della chiusura per la “diminuzione della richiesta”, creando seri problemi anche per chi dirige le scuole, posti tra l’incudine e il martello.

Il numero degli alunni per classe.

Altro grave problema è quello del numero degli alunni per classe, che si prospetta debbano aumentare a una media di 33 per docente (già adesso siamo a medie di 26/30 alunni per classe, che in alcune statistiche risultano meno per calcoli che vengono falsati dai casi di piccole realtà o dal  computo, nel totale, degli  insegnanti di sostegno, ma le situazioni scolastiche urbane, dove si concentra la maggior parte della popolazione studentesca, non lasciano dubbi sull’elevato rapporto alunni/docente).

Inutile osservare che un  numero elevato di alunni per classe comporta un decremento della qualità della lezione. Per fare un esempio, in classi numerose, e per numerose intendo più di quindici alunni, ma in Italia abbiamo una media ben più alta, le verifiche orali, in quanto implicanti l’utilizzo di più tempo, vengono sostituite dai test, funzionali per conoscere, in breve, il grado e le competenze acquisite dagli studenti, ma a svantaggio della mancata opportunità di una comunicazione orale, “l’interrogazione”, piena di dinamiche interrelazionali fra professore e studente/i, significativo momento di formazione e chiarimenti.

A volte può capitare di sentire che i docenti, generalizzando, non prendano in considerazione la situazione contestuale di un alunno, se non anche le esigenze e le problematiche dell’alunno in quanto persona in formazione. A volte, anche, s’indicano agli insegnanti diverse strategie di lezione per coinvolgere gli studenti, riversando le problematiche dell’insegnamento sulla supposta mancanza di queste. Evidentemente si generalizza nuovamente, si sminuisce l’operato degli insegnanti, tecnici dell’istruzione che adottano le più differenti tipologie d’insegnamento, e non si coglie il nucleo centrale del problema, ovvero che, per effettuare lezioni quasi individualizzate, nel rispetto del singolo, è necessario avere classi meno numerose, di 16/18 alunni.

Comunque, anche tra i tecnici del Ministero all’Istruzione e/o degli uffici scolastici regionali tanti sarebbero favorevoli alla diminuzione numerica del rapporto alunni/docenti, magari destinando alcuni soldi per i progetti a favore dell’assunzione degli insegnanti.

Da tempo, ormai, e in diversi spazi, si chiede una riforma dell’Istruzione che veda la diminuzione degli alunni per classe e il conseguente aumento di assunzioni nel corpo docente (e tra l’altro occorrerebbe controllare le destinazioni dei docenti, ovvero se, insegnanti assunti con contratti di 18 ore alla settimana per l’insegnamento di determinate materie, vengono utilizzati per questo o per attività legate alle materie per cui ogni insegnante è tecnico), un ritorno ad un sistema meritocratico, il recupero di una educazione persa e l’innalzamento dei livelli culturali.

Ragionando onestamente risulta che questo tipo di scuola, con classi sempre più numerose, abbassamenti dei target e frammentazioni eccessive tra discipline e laboratori da una parte e riduzioni delle conoscenze negli stessi libri di testo, non rende. Evidentemente, dato che la verità è palese agli occhi di tutti, anche per riformare il sistema dell’Istruzione è urgente affrontare un problema di questione morale.