Nonostante i fischietti e l’invaso caliente del Tardini, a Parma c’era un silenzio irreale.
La posta in palio era altissima, e la tensione, contro ogni retorica, non si tagliava col machete; ci volevano le armi nucleari. Oppure una magia. Gli spettri aleggiavano fino all’ottavo minuto, quando un boato scuoteva lo stadio. Non era una prodezza dei padroni di casa, bensì il vantaggio della Roma in quel di Catania. Zero a uno, firmato Vucinic; una mazzata per molti, ma non per tutti. L’Inter, scafata all’apnea e abituata alla sofferenza non s’è rassegnata, ha lottato con tutti i suoi uomini nel pantano emiliano, chiudendo il primo tempo da vice campione d’Italia, dopo una stagione passata al comando. I capitolini erano davanti. L’undici giallorosso ha annusato il profumo dello scudetto per quaranta minuti più intervallo, finché Mancini non ha deciso che era ora di dare una scossa alla sua truppa. L’ora della magia. Ibracadabra, un po’ per tutti. Avversari e non, il coro di apprezzamenti è sempre stato unanime, e il giocatore non ha tradito le attese. Giusto il tempo di assestare il piedone nelle pozzanghere, un tiro malriuscito mentre ancora cercava di adattare la propria mole all’acquaplanning, e il goal è servito. I gialloblu si scuotono, cercano una timida reazione, ma il colpo è di quelli che fanno male, e il campo non lascia spazio ad alcuna velleità di rimonta. C’è soltanto lo spazio di un rigore giusto e non concesso su Cristiano Lucarelli, ma è la tassa da pagare per appuntarsi il tricolore al petto: senza polemiche, strascichi e ombre, da noi, nulla ha senso. E nulla è più goduto. Così, lo Zlatan nerazzurro, si fuma la seconda rete a pochi centimetri dal portiere avversario, in uscita disperata, prima di suggellare di sinistro il colpo del kappaò. Un match brutto, per larghi tratti noioso, senza concessioni al bel calcio e ai piedi fini, eccetto quelli dell’eroe di giornata. E forse di una stagione. “Beato l’uomo che non conosce la sua sorte” recita un passo biblico: niente di più adatto alle sorti di quello che era il campionato più bello del mondo. Sulle macerie delle nostre ex grandi squadre, gli inglesi (e talvolta gli spagnoli) hanno costruito la nuova frontiera del Soccer. Moggiopoli è conclusa, ma se Lucky Luciano era il demonio, i nuovi tabulati telefonici non hanno fatto santi gli altri. Con la fine della Triade è tramontata la lingua italiana negli stadi d’Europa, eppure col mondiale in tasca e una festa scudetto possiamo dimenticare il prestigio perduto. Almeno per ora, finché uno striscione, una cartolina o un avviso di garanzia, non proclameranno beffardi che quaggiù INTER (cet) TI AMO.