Intervista al Decano della Facoltà di Filosofia dell’Urbaniana (di Antonio Gaspari)
il libro di don Aldo Vendemiati, “Universalismo e relativismo nell’etica contemporanea” (Edizione Marietti, 198 pagine, 16,00 Euro).
Il libro punta alla ricerca di senso, superando l’universalismo etico illuminista e il relativismo post-moderno e proponendo un pluralismo fondato sui doveri e sulla responsabilità.
L’autore, specializzato nelle scienze etiche e bioetiche, è docente ordinario di Filosofia morale e Decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana (Roma).
A presentare il libro di vendemiati ci sarà il Cardinale Carlo Caffarra, già docente di Teologia morale e di Etica medica, e la prof.ssa Franca D’Agostini, docente di Filosofia contemporanea al Politecnico di Torino.
Per cercare di comprendere meglio le ragioni al centro del dibattito ZENIT ha intervistato don Aldo Vendemiati.
L’illuminismo ha espresso un pensiero etico fortemente universalista: basti pensare alle dichiarazioni “universali” dei diritti dell’uomo. Come mai oggi questo sembra essere “passato di moda”?
Vendemiati: Ciò dipende dal fatto che gran parte del pensiero contemporaneo è esplicitamente scettico sulle possibilità della ragione. L’approccio culturalmente più diffuso è quello volontarista, secondo cui sarebbe possibile conoscere il bene e la virtù solo se si sapesse ciò che Dio vuole; ma essendo ciò impossibile in prospettiva ‘laica’ (che in questi contesti significa semplicemente ‘non fideistica’), non resta altro criterio all’infuori di ciò che le persone vogliono; non già il dialogo (che implica una comunicazione razionale), ma il consenso tra le persone (il loro «permesso») costituisce l’unico principio morale valido.
Ebbene, se questa è la prospettiva «laica», delle due una: o questa è una posizione razionale o non lo è. Se è razionale, è perché – non ostante quel che sostengono i suoi propugnatori – si è riconosciuto il valore universale dell’autonomia, della negoziazione e della convivenza pacifica. Se invece la proposta non è razionale, se tutto riposa sulla volontà delle persone, non si vede perché la si dovrebbe rispettare.
Il fondamento teoretico del pluralismo è invece l’affermazione che la nostra conoscenza è condizionata e che, pertanto, se da un lato nessun pensiero umano può vantarsi di possedere la Verità assoluta, d’altro lato sono possibili diversi punti di vista su una medesima materia, ciascuno dei quali è potenzialmente in grado di contribuire alla conoscenza della materia stessa.
Ma l’affermazione che la nostra conoscenza è condizionata è possibile solo attingendo – in forma larvata, aurorale e persino labile, ma tuttavia reale – all’incondizionato. Quando, con Gadamer, affermo «l’inaggirabile legame della ragione a orizzonti, a tradizioni e situazioni», mi pongo, con la ragione, al di sopra di orizzonti, tradizioni e situazioni e affermo una verità di carattere universale.
Questo significa che il pensiero non è così debole come si vuol far credere. L’affermazione stessa della condizionatezza presuppone una ragione forte, sicuramente una ragione povera e nuda – perché quel che sa con certezza è davvero assai poco, ed è piena di dubbi, di esitazioni, di errori – ma talmente forte da riconoscere la propria povertà e non arrossire della propria nudità.
Penso dunque che sia non solo necessario, ma anche possibile superare l’impasse che ci vede stretti tra le insolute aporie dell’universalismo moderno e l’“insostenibile leggerezza” del relativismo post-moderno.
Quali sono le motivazioni del relativismo odierno? Sono l’ultima parola possibile nel campo dell’etica?
Vendemiati: Il peggior servizio all’universalismo è stato reso dalle ambizioni razionalistiche ed idealistiche del pensiero occidentale, che hanno preteso di elevare la propria “ragione” al rango di “Ragione” tout court, ossia di porsi “dal punto di vista di Dio” (come direbbe H. Putnam), per altro dopo aver negato valore conoscitivo alla fede in lui.
In etica ciò si esprime assumendo la prospettiva della “terza persona”: la riflessione morale consisterebbe nella ricerca di norme, elaborate “dal punto di vista di Dio”, ma di un dio secolarizzato ed immanente, coincidente – in ultima analisi – con il legislatore o il giudice umani.
A tale pretesa si oppongono le “ragioni” della democrazia liberale, dell’antropologia, dell’ermeneutica, dell’epistemologia e della stessa etica contemporanea, che – in vario modo – mostrano la condizionatezza della nostra conoscenza, la vana inconsistenza di chi pretende di possedere la Verità assoluta, l’Intero, il Tutto.
Da tali ragioni, il pensiero autentico deve lasciarsi impoverire e denudare, per giungere ad una corretta visione del pluralismo: sulla stessa materia sono, di fatto e di diritto, possibili diversi punti di vista, ciascuno dei quali potrebbe contribuire ad una migliore comprensione della realtà.
Tuttavia bisogna guardarsi bene anche dagli “eccessi di correzione” in cui le prospettive relativistiche vengono a cadere. Il relativismo, lungi dal garantire i valori del pluralismo e del dialogo tra le civiltà, livella tutti gli approcci etico-culturali in un’equivalenza teoretica e pratica, dalla quale si esce unicamente con la violenza della manipolazione o del terrorismo.
Qual è il senso e il ruolo della ricerca etico-razionale per chi vive nell’orizzonte della fede cristiana?
Vendemiati: La conoscenza razionale ha una sua specificità che non può mai venire meno. E questo è particolarmente evidente oggi, nella società complessa e secolarizzata in cui ci muoviamo.
Nel dibattito sui temi che dilaniano la coscienza delle nazioni e del mondo intero (ad esempio sui temi dell’eutanasia, dell’aborto, della politica economica, ecc.), noi cristiani non possiamo portare i nostri argomenti a partire dall’autorità del Vangelo, giacché ci troviamo a discutere con persone (e sono la maggioranza) che non riconoscono questa autorità.
Dobbiamo fondare razionalmente i nostri argomenti. La tradizione cristiana, a questo proposito, ha insegnato che la filosofia è “al servizio” della teologia (philosophia ancilla theologiae). E si tratta di un servizio reso su due fronti: da un lato la filosofia scopre alcune verità che facilitano l’accoglienza del Vangelo; dall’altro lato la filosofia smaschera alcuni errori che impediscono l’accoglienza del Vangelo.
D’altra parte, ci sentiamo invitati dalla nostra stessa fede ad esercitare fino in fondo la ragione. Un assioma teologico classico dice: «La grazia non distrugge la natura, ma la suppone»; nel nostro campo questo può essere tradotto così: «La fede non distrugge la ragione, ma la suppone».
La fede non sostituisce la ragione, bensì la completa e la eleva: quindi è necessario che ci sia qualcosa da completare ed elevare: un’attività razionale a cui la fede non si sostituisce. Posta questa distinzione metodologica, è ora possibile sottolineare che per l’etica è necessario porsi in ascolto delle grandi tradizioni religiose e, nel nostro caso, del cristianesimo.
E’ possibile impostare un’etica che consenta di rendere ragione alle istanze dell’autenticità, della diversità sociale e del riconoscimento? O siamo costretti a soggiacere alla “dittatura del relativismo”?
Vendemiati: Per la salvezza del pianeta e dell’umanità che lo abita è necessario fornire delle basi etiche di confronto che possano garantire il dialogo e, se non la convivenza pacifica, almeno una equa risoluzione dei conflitti.
Se non è possibile considerare alcuna civiltà concreta come se fosse la cultura universalmente valida, non è neppure possibile negare che vi sono dei valori universalmente validi ai quali tutte le civiltà possono (con maggior o minore sforzo) in ultima analisi richiamarsi.
Questo è il senso di una ricerca sull’universalismo morale. Per far ciò è necessario che l’etica si ponga in ascolto delle grandi tradizioni religiose: esse costituiscono un orizzonte interpretativo universale, capace di offrire un senso ultimo alla vita e alla morte. In esse, effettivamente, i valori, le norme e le motivazioni risultano garantiti incondizionatamente, concretizzati, resi capaci di creare sicurezza spirituale, fiducia e speranza.
Laddove invece la secolarizzazione taglia il cordone ombelicale fra le grandi tradizioni della fede e la ricerca razionale, o laddove il fondamentalismo esclude la possibilità della ricerca razionale stessa, i rischi sono evidenti. Il fondamentalismo, quando non conduce all’isolamento e all’incomunicabilità, sfocia nel conflitto e nel terrorismo.
Il secolarismo radicale tende a sostituire la verità con il consenso, e – come nota Ratzinger – ‘quanto fragili siano i consensi e quanto rapidamente, in un certo clima intellettuale, gruppi partitici possano imporsi come gli unici rappresentanti autorizzati del progresso e della responsabilità è davanti agli occhi di noi tutti’.