LA DISABILITA’”una caratteristica del genere umano”

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Il concetto di disabilità può e deve oggi essere rivisto in una nuova ottica, anche in rapporto ai dettati dell’OMS ( di Gr. uff. dr Carlo SIMILI Primario ospedaliero Ispettore sanitario nazionale del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta  CISOM) . che, dopo aver definito fin dal 1946 la salute "uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale, " "frutto della continua ricerca individuale di un appropriato stile di vita", nel 2001, in occasione dell’elaborazione della classificazione delle "funzionalità del corpo umano", ha sviluppato un’importante distinzione tra disabilità e malattia.           In essa si afferma per la prima volta che la disabilità è da considerarsi come una caratteristica di tutto il genere umano conseguente non solo a cause congenite, ma anche all’aumento dell’età media della popolazione e al crescente numero di incidenti stradali e sul lavoro.           In questa condizione, il limite imposto dalla disabilità, congenito o acquisito, permanente o temporaneo,  piuttosto che come rassegnata elencazione di ciò che manca, va letto come mezzo per la valorizzazione di ciò che si possiede. Con questa premessa allora la disabilità può divenire essa stessa una "malattia" nel momento in cui si instauri una condizione psichica di incapacità a gestire in modo libero e consapevole la propria vita, valorizzando le potenzialità di cui si è dotati. Salute e malattia sono in tal caso dei vissuti soggettivi in costante equilibrio dinamico tra loro.          .Il processo riabilitativo, che investe sia il campo medico che quello sociale, lungi dal favorire una visione efficientistica della salute conseguente ad attese irrealistiche sulle possibilità della stessa medicina, deve fare costante riferimento alla visione globale della persona in difficoltà, potenziandone le capacità operative se ha perso una o più funzioni del proprio corpo ( disabilità ), e ripristinandone il ruolo sociale eventualmente perduto (handicap).           Un’équipe plurispecialistica ed interdisciplinare di riabilitatori e psicologi, seriamente preparati e continuamente aggiornati, coinvolgendo previo consenso informato nella scelta motivata del trattamento terapeutico  i pazienti e i loro familiari, creerà, attraverso un continuo dialogocostruttivo, quel clima di fiduciosa interazione che permetterà di affrontare i tempi a volte anche molto lunghi necessari a ricomporre l’equilibrio strutturale perduto.           Qualsiasi forma di delega alla cura, seppure pressantemente richiesta dai familiari,  deve essere assolutamente rigettata dall’ équipe sanitaria: non è pensabile né utile che ai parenti ed allo stesso paziente venga riservato il solo ruolo di accettare o rigettare l’azione degli operatori sanitari stessi, come se  la disabilità fosse da ricondurre ad una generica "malattia". Ed anche l’imprevedibilità dei risultati sperati, determinati sia dal tipo di intervento, che dalle non mai completamente prevedibili risorse del paziente che deve riacquistare la propria autonomia operativa, impone un intervento rigoroso volto ad obiettivi multipli (fisici, psichici, culturali, etici e spirituali) periodicamente verificato dall’équipe e messo a punto sulla base dei risultati di volta in volta conseguiti.            Determinante per il buon esito dell’azione terapeutica è l’accettazione, da parte degli operatori, del progetto di vita delle persone con disabilità,  deciso di concerto con la famiglia di appartenenza per evitare che quest’ultima, sentendosi “disturbata” dalla presenza del consanguineo in difficoltà e priva di sostegno esterno, incorra essa stessa nel rischio di disturbi psicopatologici necessari a loro volta di cure e di interventi formativi.          Il consenso informato, oltre a spronare i disabili consensienti ed i loro familiari ad una determinante collaborazione attiva, dovrebbe anche essere efficace nell’agevolare il superamento della non accettazione del limite da parte di persone coinvolte nella disabilità, siano essi bambini, adulti o loro familiari.          Se è importante non fermarsi di fronte al limite, è anche però giusto  non persistere contro il rifiuto di collaborazione posto dal paziente e/o dai suoi parenti con un "accanimento terapeutico". In tale evenienza gli operatori quanto più versati e preparati ad affrontare in équipe tali non facili situazioni, si dovranno  adoperare affinché il paziente, nel suo status di persona con disabiltà, accolga un’opportunità di guardare alla vita in modo diverso, nella consapevolezza che "ogni limite ha sempre in sé una più grande ricchezza da rivelare" (cfr Comitato Naz. di Bioetica). 

di Gr. uff. dr Carlo SIMILI

GranCroce di gr. mag. dello SMOMPrimario ospedalieroIspettore sanitario nazionaledel Corpo italiano di soccorsodell’Ordine di Malta  CISOM.