La relazione di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, diffusa il 31 Maggio 2008 in occasione dell’Assemblea ordinaria annuale dei partecipanti al capitale d’Istituto, ha riscosso applausi e consensi, mettendo tutti d’accordo. Da Berlusconi a Bersani, passando per Confindustria, Sindacati, imprenditori e banchieri. Nelle sue “considerazioni finali” fotografa lo stato del paese, evidenziando le difficoltà occupazionali, salariali, e l’eterna questione meridionale. Ecco i nodi da sciogliere. LA POLITICA MONETARIA UNICA E L’ECONOMIA ITALIANA – Dalla fine del 2007 – afferma Draghi – si sono manifestati i riflessi delle turbolenze finanziarie sull’economia dei paesi avanzati, soprattutto negli Stati Uniti. I maggiori rischi sorgono oggi dall’accumulo di tensioni inflazionistiche (il continuo aumento dei prezzi dell’energia e di altre materie prime) e dal progressivo rallentamento americano. «Tali rincari imprimono ulteriori impulsi recessivi alle economie avanzate e alimentano l’inflazione, condizionando l’orientamento delle politiche monetarie». La Banca centrale europea, che proprio in questi giorni ha compiuto dieci anni di vita, ha confermato la politica monetaria volta all’obiettivo della stabilità dei prezzi, mantenendo invariati i tassi d’interesse per proteggere i suoi membri dalla instabilità mondiale. «È ancora viva in noi la memoria delle periodiche crisi di cambio che colpivano la lira a ogni stormir di fronda dei mercati», afferma il numero uno di Banca D’Italia. IL MERCATO DEL LAVORO E IL NODO DELLA PRODUTTIVITÀ – Sul tema del lavoro, il Governatore si è espresso chiaramente: «occorre un ridisegno organico e rigoroso delle garanzie offerte, essenziale per un mercato del lavoro che coniughi flessibilità ed equità». L’incertezza sul reddito corrente, e quella sulle sue prospettive di crescita futura, sono un freno alla spesa delle famiglie, soprattutto quelle a basso reddito. «La competitività, la capacità di crescita del Paese dipendono dalla produttività: è su questo fronte che occorre concentrare intelligenza e azione». La produttività media del sistema interno non progredisce. E’indispensabile, secondo Draghi, continuare il percorso già iniziato di rinnovamento strutturale delle imprese. «Non è difendendo monopoli o protezioni che, alla lunga, si genera ricchezza: ma investendo, innovando, rischiando». Sebbene negli ultimi dieci anni, il numero degli occupati nell’industria e nei servizi privati sia cresciuto, e il tasso di disoccupazione sia sceso, «non possiamo accontentarci di questi risultati» prosegue. Gli obiettivi da raggiungere dovranno essere un tasso di occupazione (soprattutto quello femminile) in linea con le medie europee, flessibilità dell’intero mercato del lavoro, aumenti generalizzati della produttività. Solo così si potranno avere guadagni retributivi per i lavoratori dipendenti. SETTORE PUBBLICO: EFFICIENZA, CRESCITA, PRODUTTIVITÀ – E’ necessario accrescere la funzionalità dei servizi pubblici, aprendoli al mercato; abbattere le rendite improduttive, rafforzando la concorrenza a livello nazionale e locale; portare la scuola e l’università all’altezza di un paese avanzato; adeguare le infrastrutture; moderare la tassazione; assicurare la certezza e l’efficacia del diritto, semplificando il quadro legislativo e facendo funzionare la macchina della giustizia, per garantire ovunque legalità e sicurezza.La gravità dei problemi dell’economia italiana richiede che l’intero spettro dell’azione pubblica – dall’impianto normativo alla dimensione e alla qualità del bilancio pubblico – abbia come priorità la produttività e la crescita. Il relatore precisa che «la politica di bilancio deve restare ancorata all’esigenza macroeconomica di ridurre il debito pubblico in rapporto al prodotto. Ma se la sua articolazione sul piano microeconomico non è orientata all’efficienza e alla crescita, l’economia ne è frenata, lo stesso risanamento della finanza pubblica è reso più difficile».Nonostante negli ultimi due anni la situazione dei conti pubblici sia migliorata, le stime della Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica parlano di prospettive meno favorevoli. Il Governo dovrà intervenire per il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2011. Tra l’altro, proprio in questi giorni, l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel suo Economic Outlook (OECD Economic Outlook No. 83, June 2008) ha rivisto la previsione di crescita per l’Italia. Un esiguo 0,5%, contro l’ottimistico 1,1% del marzo scorso. PRESSIONE FISCALE: PENALIZZANTE PER IMPRESE E LAVORATORI – Se è un dato di fatto che nell’ultimo biennio c’è stata una riduzione del disavanzo, va detto che questa è stata ottenuta attraverso un forte aumento della pressione fiscale. L’incidenza delle entrate fiscali sul PIL si colloca al 43,3%, quasi 3 punti al di sopra della media degli altri paesi dell’Unione europea. Benché l’aliquota complessiva di prelievo sui profitti d’impresa sia stata ridotta nel 2008, risulta ancora superiore ai livelli europei. «Aliquote elevate penalizzano le imprese nella competizione internazionale, riducono la propensione a investire, possono determinare distorsioni nella scelta della dimensione d’impresa. Tagliano le retribuzioni del lavoro regolare, scoraggiano l’emersione di quello irregolare. L’ampia dimensione delle attività irregolari rende l’onere sui contribuenti ligi al dovere fiscale più pesante che nel resto d’Europa». Il leader di palazzo Koch cita Luigi Einaudi, quando dichiara che “solo abbassando le aliquote vigenti e diminuendo la spinta alla frode si potrà ottenere un gettito migliore per lo stato”. Questo permetterebbe di migliorare «le aspettative di famiglie e imprese», dando un «maggiore sostegno alla crescita». OCCORRE RIDURRE LA SPESA PUBBLICA – Nell’ultimo decennio la spesa primaria corrente è cresciuta in media del 2,1% l’anno in termini reali. «Per ridurre il peso del debito e alleviare la pressione fiscale non vi è altra strada che correggere questa tendenza». Per poter raggiungere il pareggio di bilancio nel 2011 e ridurre la pressione fiscale al 40% del PIL, occorre che la spesa primaria corrente scenda in termini reali circa dell’1% l’anno. Gli studi della Commissione tecnica per la finanza pubblica mostrano che vi sono margini di risparmio in molti comparti di spesa. E’ quindi possibile, anche se inevitabilmente «ogni azione di contenimento della spesa pubblica presenta difficoltà politiche e tecniche; si scontra con prassi consolidate e interessi specifici».Un cenno particolare merita il problema delle pensioni. Il 30% della spesa per pensioni di vecchiaia e anzianità è oggi corrisposto a cittadini con meno di 65 anni. Draghi sostiene che nel medio-lungo termine, un incremento dell’età media di pensionamento, accompagnata da un convinto sviluppo della previdenza complementare, può dare un fondamentale contributo alla riduzione della spesa pubblica. Si riuscirebbe così a contenere il divario che si sta aprendo fra il potere d’acquisto dei pensionati anziani e quello dei lavoratori in attività. Con uno sguardo ai numeri, in Italia solo il 19% degli italiani tra i 60 e i 64 anni svolge un’attività lavorativa, contro il 33% di Spagna e Germania, 45% di Gran Bretagna e 60% della Svezia. Afferma il Governatore «È ora di rimuovere i vincoli e i disincentivi al proseguimento dell’attività lavorativa per coloro che sono nel regime retributivo; ampliare i margini di scelta dell’età di pensionamento per coloro che sono nel regime contributivo; cancellare gli ultimi impedimenti al cumulo tra lavoro e pensione; incoraggiare forme flessibili di impiego, con orari adattabili alle esigenze individuali; permettere così a chi ha accumulato esperienza e conoscenze di continuare, se vuole, a metterle a frutto per se stesso, la propria famiglia, la società». LA QUESTIONE DEL MEZZOGIORNO – L’incidenza della spesa sul PIL nelle regioni meridionali è più elevata che altrove. L’uso delle risorse pubbliche senza criteri di efficienza, volto a soddisfare spesso interessi particolari contribuisce a mantenere il Sud in una condizione di arretratezza e dipendenza economica. «Sul ritardo del Mezzogiorno – afferma Draghi – pesa la debolezza dell’amministrazione pubblica, l’insufficiente abitudine alla cooperazione e alla fiducia, un costume diffuso di noncuranza delle norme». Mentre la spesa pubblica è in linea di massima proporzionale alla popolazione, le entrate riflettono i redditi quivi inferiori. Nonostante il grande sforzo finanziario, nella relazione definito come un “ammontare imponente”, il divario tra Nord e Sud è ancora enorme: nella qualità dei sevizi pubblici, nella sanità, nell’istruzione, nella giustizia,nell’amministrazione del territorio, nella sicurezza. «L’accento deve spostarsi dalla quantità delle risorse alla qualità dei risultati». IL FEDERALISMO FISCALE – «È importante – sostiene Draghi – che il sistema dell’imposizione e della spesa a livello decentrato sia tale da premiare l’efficienza, indirizzare le risorse verso gli usi più produttivi e le priorità più urgenti». E’ necessario un sistema di trasferimenti agli enti decentrati fondato su regole di semplicità e trasparenza: «chi riceve fondi dia ampiamente conto del loro utilizzo», un sistema fondato sulla funzionalità e non sul criterio della spesa storica. Serve una «stretta corrispondenza tra esborsi e tassazione: ogni onere aggiuntivo dovrebbe idealmente trovare finanziamento a carico dei cittadini cui l’amministrazione risponde». IL SISTEMA BANCARIO E LA VIGILANZA – La turbolenza dei mercati finanziari internazionali non ha avuto una forte ripercussione sulle banche, ed è stata comunque minore rispetto a quelle di altri paesi. Le svalutazioni si sono contenute, la redditività moderatamente ridotta. Il merito di un sistema finanziario più stabile va ad un legislatore avveduto e a una vigilanza che ha saputo coniugare innovazione e prudenza. Regole rigorose non agiscono contro il mercato, ma a vantaggio di esso. Già prima delle perturbazioni, la Vigilanza aveva avviato un profondo ripensamento dei propri interventi, dei principi regolatori e della sua organizzazione. Le ispezioni sono aumentate, eliminando i comportamenti irregolari. «Ho più volte richiamato l’attenzione – precisa il Governatore – sulla necessità che le banche, nel proporre alla clientela prodotti innovativi e complessi, assicurino la correttezza formale e sostanziale delle transazioni, la trasparenza delle condizioni, l’aderenza scrupolosa alle norme; si accertino della piena rispondenza di tali prodotti alle esigenze e ai profili di rischio del cliente. La banca si espone altrimenti a rischi legali e di reputazione».Per difendere i risparmiatori bisogna garantire un sistema bancario stabile. Da un lato, il sistema legislativo deve proteggere i risparmiatori, dall’altro, la Banca d’Italia deve vigilare sulla trasparenza delle condizioni contrattuali di depositi, prestiti e strumenti di pagamento. QUESTIONE APERTA SUI MUTUI – Rimangono aperte alcune problematiche connesse ai mutui: difficoltà nell’applicazione delle norme sull’estinzione anticipata e la loro portabilità. «In aprile – ha dichiarato Draghi – la Vigilanza ha sollecitato le banche ad adeguarsi in pieno, riducendo tempi e adempimenti necessari, e ha prescritto specifici obblighi di informazione al cliente sull’esercizio dei propri diritti; l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato indagini per verificare l’esistenza di pratiche commerciali scorrette».Si sta attuando un’iniziativa volta facilitare la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile. Questo permetterebbe di stabilizzare l’importo delle rate, arrecando sollievo alle famiglie. Non solo, anche le banche otterrebbero il beneficio di ridurre gli stati di insolvenza. CONTI CORRENTI – In base a indagini condotte dalla Banca d’Italia, è emerso che le banche offrono condizioni particolarmente competitive soprattutto ai nuovi utenti; vi è, invece, una sorta di inerzia nei confronti della clientela esistente. Vanno incoraggiate le iniziative volte a semplificare la struttura e le condizioni dei contratti offerti. Una parola viene spesa anche sulla commissione di massimo scoperto: «un istituto poco difendibile sul piano della trasparenza. Va sostituita, dove la natura del rapporto di credito lo richieda, con una commissione commisurata alla dimensione del fido accordato, come avviene in altri paesi». IL RISPARMIO GESTITO – Il declino dei fondi comuni non si è arrestato. Spesso i risparmiatori si trovano di fronte a una moltitudine di prodotti di “difficile valutazione”. E’ indispensabile – spiega ancora Draghi – un’attività di consulenza e un aiuto nelle scelte. La Banca d’Italia ha creato un gruppo di lavoro, con la partecipazione di autorità e società del settore, che formulerà “proposte di intervento urgente”. Alcune di queste proposte saranno di competenza delle stesse autorità tecniche, in altri casi si tratterà di iniziative da proporre al Governo e al Parlamento. Il gruppo di lavoro “ha visto un’ampia convergenza nell’identificare i principali problemi: chiara distinzione tra attività di collocamento e consulenza, indipendenza dei consigli di amministrazione rispetto al capogruppo, condizioni uniformi di trasparenza informativa per tutte le categorie di prodotti finanziari, eliminazione delle distorsioni fiscali a danno dei fondi comuni italiani”. CONCLUSIONI Il governatore chiude le sue considerazioni con un pensiero alla crescita dello Stato, e uno rivolto ai giovani: «Il Paese ha desiderio, ambizione, risorse per tornare a crescere. I protagonisti della ripresa devono essere coloro che hanno in mano il futuro: i giovani, oggi mortificati da un’istruzione inadeguata, da un mercato del lavoro che li discrimina a favore dei più anziani, da un’organizzazione produttiva che troppo spesso non premia il merito, non valorizza le capacità». In ricordo di un grande economista, Federico Caffè, scomparso il 15 aprile del 1987, diciamo che non è accettabile l’idea che “una intera generazione di giovani debba considerare di essere nata in anni sbagliati e debba subire come fatto ineluttabile il suo stato di precarietà occupazionale”.