L’unico quarto di finale con la pelle piagata dai fischi s’è concluso, alle ventitre e trenta, con un mezzo valore al mezzo merito. Solo ispanico.
Già, perché il presunto spettacolo non s’è visto, almeno in campo. Secondo le dichiarazioni, c’erano atleti pronti al sacrificio estremo, in campo; di fatto, il non-gioco degli azzurri ha cancellato ogni velleità. Due occasioni da gol in novanta minuti, l’attesa dei rigori nei tempi supplementari. Tutto il resto, noia. La tattica “dai la palla a Toni” ha fruttato un tiro in porta su mischia furibonda, e tante pedate sulle caviglie per il generoso centroboa italiano. L’anima era in tribuna, negli occhi ansiosi di Pirlo e Gattuso, spettatori impotenti di una resa senza lotta. Le Furie Rosse hanno fatto il loro onesto compitino, tentando di costruire quel che l’Italia pensava a distruggere. Due eccezioni soltanto: Cassano, che nel primo tempo ha fatto vedere le cose migliori, e Del Piero, che preservato come fosse di cristallo e gettato in mischia a dieci minuti dalla fine, non ha neppure battuto il calcio di rigore per cui era stato schierato. Davvero cervellotiche, queste scelte, se teniamo conto dello stato di forma dei due giocatori. El pibe de Bari era l’unico in grado di saltare l’uomo, e novanta minuti li aveva nelle gambe; il capitano della Juventus godeva di uno stato di forma eccellente, aveva concluso la stagione da capocannoniere della Serie A, e nel breve scampolo di gara giocato aveva esibito un numero d’alta scuola e puntato la porta di Casillas in maniera assennata. Schierarlo prima? La colpa non è tutta di Donadoni. Certo, il tecnico non è piaciuto a nessuno, ma nel Bel Paese è noto che la panchina più ambita e rovente è quella alla guida della nazionale. La mollezza degli undici in campo è stata determinante. La “fame” di vittoria preannunciata non si è vista, se non nelle gambe dei soliti noti, troppo pochi per arginare la débacle. Buffon, Chiellini, Grosso, e attorno a loro una lunga lista di portatori d’acqua, onesti comprimari, stelle oscurate da nonsisaquale emozione. Nessuno spazio ai creativi, Quagliarella in panchina, Di Natale frenato, Perrotta spedito sotto la doccia con largo (e incomprensibile) anticipo. E lo sguardo, dal dischetto, quasi rassegnato. I calci di rigore sono affare di grinta, freddezza e carattere, ed è giusto che una squadra che non ne possiede torni a casa. Senza rimpianti. Lo spettacolo del calcio è altrove. Vinca il migliore.