I più recenti interventi firmati da Barack Obama, candidato del Partito Democratico alle prossime elezioni presidenziali USA, o da David Plouffe, direttore della sua campagna elettorale presentano ripetutamente l’espressione broken system, riferito all’attuale sistema politico americano ed alla politica di Washington. Vari sono i significati per l’aggettivo broken: rotto, danneggiato, rovinato, ferito, indebolito da malattie. Dalla lettura dell’intero testo, dedicato all’organizzazione della campagna elettorale, l’equivalente italiano di quella frase è “sistema politico rovinato”. Ad esempio e sostegno di questa definizione del sistema politico sono citati John McCain, candidato del Partito Repubblicano, ed il presidente uscente G.W. Bush. Apprendiamo da queste note che John McCain, il Republican National Committee ed i loro alleati organizzati in 527 gruppi, raccolgono e spendono contributi illimitati, usano questo sistema rovinato per raccogliere la maggior quantità di danaro possibile. Ed hanno effettivamente raccolto e speso cifre stellari.
In risposta a tutto questo, Barack Obama ed il suo gruppo di sostenitori e consiglieri, hanno preso una decisione nuova, senza precedenti: rinunciare al danaro pubblico, ovvero a quello proveniente dalle tasche dei contribuenti per la campagna elettorale, e rivolgersi, invece, soltanto a sostenitori e simpatizzanti. Questa decisione aggiunge una caratteristica particolare a quello che finora è stato soltanto un movimento di base a sostegno della candidatura di Obama e lo fa diventare un movimento per l’indipendenza da un sistema politico logoro e corrotto. Lo slogan in inglese dice: “Independence from a broken system”, seguito da un invito ai sostenitori: sostieni la prima elezione presidenziale veramente fondata sulla gente. Per ora fissano un certo obiettivo per la raccolta di fondi entro la storica data del 4 luglio, giorno che ricorda e celebra la dichiarazione d’indipendenza americana dalla corona inglese.
I sostenitori e simpatizzanti ricevono una promessa solenne: “As a president I will work to fit this broken system” (Come presidente lavorerò per mettere a posto, riparare, questo sistema rovinato). Mancano in questi testi indicazioni o elenchi di provvedimenti specifici per raggiungere lo scopo. Dunque, finora siamo solo al fortissimo impatto emotivo delle parole, dell’oratoria che promette un rinnovamento ed un cambiamento possibile, Change, yes, we can, particolarmente forte in zone poco popolate, come North Dakota, Montana ed Alaska, luoghi dimenticati da sempre, che solo ora acquistano cruciale importanza, a causa della presenza di questo movimento di base a favore di Barack Obama.
Si ha l’impressione che il fenomeno Obama per ora sia un bell’esempio di politica spettacolo, tutta fondata sull’incantesimo di parole che promettono cambiamenti radicali del sistema a gente da sempre estranea ad ogni partecipazione politica e che per la prima volta sta vivendo questa esperienza. Politica spettacolo fondata anche sull’aspetto dei protagonisti, da stelle di Hollywood. Ambedue, lui e sua moglie Michelle, esibiscono linea invidiabile, da top model, testa alta e sorriso accattivante, stile impeccabile, disinvolto, linee sobrie nel vestire, colori tenui, sfumature e non contrasti. Donatella Versace, in una recente intervista, ha dichiarato che le piacerebbe tanto vestire Barack Obama.
Novembre è ancora lontano. Vincerà la politica delle emozioni, delle belle parole, degli slogan, della promessa di cambiamenti radicali, del coinvolgimento nella politica di gente finora ad essa estranea? O invece vincerà la politica più tradizionale, quella dei provvedimenti elencati con cura, materia per materia, che promettono sicurezza, prosperità e cambiamenti nel rispetto della tradizione? Solo qualche mese di pazienza per la risposta.