Intervista alla più alta carica americana a Bruxelles, lo Special Envoy C. Boyden Gray

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Stati Uniti ed Europa oggi stretti alleati dopo le divisioni legate all’Iraq

Ad allontanare le due sponde dell’Atlantico erano state le profonde divisioni legate alla guerra in Iraq, alla disputa sulla ratifica del Protocollo di Kyoto e alle ambizioni nucleari iraniane.

Il summit di Lubiana dello scorso 10 giugno ha riaffermato l’importanza delle relazioni transatlantiche, nella convinzione che «le sfide internazionali possono essere solo vinte o perse insieme».  Affermazioni, espresse da entrambe le parti, che chiudono uno dei capitoli più difficili dei rapporti tra Usa e Ue degli ultimi sessant’anni. Lo confermano anche le dichiarazioni dello Special Envoy americano a Bruxelles e già ambasciatore statunitense presso l’Unione europea, C. Boyden Gray che, in un’intervista rilasciata al settimanale “Le 12 stelle”, rileva come «le relazioni tra Stati Uniti e Europa siano molto buone, in particolare se  paragonate a cinque anni fa». Oggi, continua Gray, «le questioni che ponevano i maggiori disaccordi sono risolte, sebbene rimangano alcune divergenze, ad esempio, sui cambiamenti climatici».

Consapevole che molta parte degli europei ha criticato la mancata ratifica americana del Protocollo di Kyoto, volto a ridurre le emissioni di gas serra, Gray afferma che «i senatori del Congresso americano hanno votato contro il Trattato perché Cina e India, due grandi economie emergenti, non erano incluse nell’accordo». Un punto che resta determinante per Washington, come ribadito dal presidente George W. Bush nel corso del vertice euro-atlantico che si è tenuto la settimana scorsa in Slovenia. 

Nonostante la mancata ratifica del trattato sull’ambiente, sottoscritto da 160 Paesi nel 1997, Gray spiega che da quella data «gli Usa hanno portato avanti misure volte a frenare le emissioni inquinanti in maniera più efficace di quanto abbia fatto l’Ue».

Facendo eco alle parole di Bush, che si è detto pronto a scommettere che un accordo globale sul clima potrà essere raggiunto sotto il suo mandato, ovvero prima del 20 gennaio 2009, il diplomatico statunitense sottolinea che gli Usa «auspicano fortemente di trovare un trattato internazionale con l’Europa nel corso della conferenza sul clima in programma a Copenhagen il prossimo anno». Un obiettivo al quale l’Europa punta fortemente dopo l’intesa, raggiunta lo scorso anno dai Ventisette, volta a ridurre le emissioni di C02 del 20% entro il 2020, percentuale che salirà al 30% se gli Stati Uniti e gli altri grandi attori globali accetteranno le misure vincolanti.

La posizione americana resta aperta, assicura Gray, evidenziando che Washington «sta lavorando intensamente con l’Ue affinché si possa ottenere questo risultato condiviso», per il quale si prospettano numerose occasioni di dialogo, come «il summit del G8 che si terrà in Giappone a luglio».

Un mutuo confronto, quello tra le due sponde dell’Atlantico, che si può rivelare fecondo anche sulla spinosa questione dell’immigrazione che sta causando crescenti tensioni all’interno delle società europee. «Negli Stati Uniti abbiamo un programma complesso che agisce sul piano dell’educazione e punta sull’inserimento nel mondo del lavoro – spiega il diplomatico – . La nostra azione è di ampio raggio e si basa su un concetto che è pressoché assente in Europa, forse per un dato culturale, che è quello della “affermative action” (azione affermativa)», un sistema di politiche volte a promuovere l’integrazione delle minoranze etniche attraverso incentivi che coinvolgono istituzioni pubbliche come scuole, università, ospedali e le forze di polizia, affinché gli immigrati abbiano maggiore rappresentatività all’interno del mondo del lavoro e della scuola. «Si tratta di un programma che ha suscitato controversie nel corso degli anni ma che nel complesso funziona», aggiunge Gray precisando che i «servizi previsti si concentrano nei luoghi dove storicamente la discriminazione è stata presente», come ad esempio nelle selezioni professionali. In America esiste inoltre, aggiunge Gray, una legislazione in base alla quale «è possibile perseguire coloro che attuano discriminazioni». 

Il rappresentante del governo americano si dice sorpreso di un atteggiamento diffuso in Europa,  definito « positive discrimination (discriminazione positiva) », un concetto che esprime la possibilità che  le azioni anti-discriminatorie concedano trattamenti privilegiati alle minoranze causando una sorta di razzismo all’incontrario.  

Gray ammette, tuttavia, che tra gli Usa,«una nazione di migranti», e l’Europa «ci sono differenze storiche» e «può essere che il processo di integrazione  degli immigrati all’interno degli Stati Uniti proceda più velocemente e ponga minori tensioni».

Sulle relazioni commerciali tra i due continenti Gray riafferma il primato dei rapporti economici transatlantici.«Stati Uniti e Unione europea devono integrare sempre di più le loro economie per affrontare le sfide che provengono dal Pacifico», afferma in riferimento all’ascesa della Cina che suscita controversie nel mercato globale e alle quali «Usa e Ue hanno già dato una risposta comune grazie alla proposta avanzata, lo scorso anno, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che ha portato alla creazione di un Consiglio economico volto a eliminare le barriere e le inefficienze negli scambi commerciali e negli investimenti tra Europa e Stati Uniti». Attraverso il coordinamento del Consiglio Economico euro-americano (il Transatlantic Economic Council), dice ancora Gray, le relazioni commerciali tra Usa e Ue puntano ad essere il motore dell’economia globale, portando avanti strategie comuni destinate a liberalizzare gradualmente i servizi bancari, abolire gli ostacoli burocratici al commercio e coordinare i regolamenti delle borse, al fine di ridurre i costi per il business ed i prezzi per i consumatori europei e americani.

Lo Special Envoy conclude affermando che la politica estera degli Stati Uniti non segue logiche unilaterali anche se ammette che in Europa «può esserci stata questa percezione, soprattutto durante il primo mandato del presidente George W. Bush». Ma ora, sottolinea, l’atteggiamento è quello di «lavorare con l’Unione europea e gli altri partner mondiali per risolvere i problemi globali». 

Un approccio di maggiore cooperazione euro-atlantica è stato sancito nel corso del vertice in Slovenia, dove il presidente americano Bush  ha ribadito il supporto di Washington a un’Europa forte, con la quale collaborare su temi fondamentali come quello della sicurezza energetica. Da Lubiana i rappresentanti europei e americani si sono dichiarati pronti a proseguire nella realizzazione di progetti che permettano all’Europa di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento di gas. Progetto di primo piano è il “Nabucco”, il gasdotto che trasporterà il gas, fornito da Paesi dell’Asia centrale e del Medio Oriente, dalla Turchia all’Austria passando per Romania, Bulgaria e Ungheria. Washington e Bruxelles stanno lavorando insieme anche alla creazione di “tragitti energetici” che coinvolgano la Grecia e l’Italia. 

Usa e Ue stanno inoltre portando avanti azioni economiche condivise  in aree “calde”  del globo, come l’Iraq e l’Afghanistan. Nel Paese mediorientale l’obiettivo è fornire sostegno all’economica irachena al fine di aprire la strada all’ingresso di Baghdad nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).  Anche in Afghanistan è seguita una strategia comune volta a consolidare la riforma della polizia e del sistema giudiziario afghano, oltre a combattere il narcotraffico che affligge lo Stato centro-asiatico.