Il termine integrazione, sul vocabolario, indica una serie di strategie volte ad accogliere all’interno di un determinato gruppo sociale un individuo apparentemente diverso per cultura, tradizione, abilità o altro.
La domanda, dunque, è quale sia stata la causa del repentino cambiamento di significato, e cosa si intenda adesso, per integrazione. Forse ghettizzare lo straniero che non conosce bene la lingua e le tradizioni, metterlo insieme agli altri "stranieri" quasi fosse una punizione per la sua condizione di diverso, o farlo sentire in un preciso contesto di inferiorità? eUrge anche chiedersi cosa significhi conoscere bene la lingua, visto che certi alunni, italiani per nascita e da generazioni, pare non sappiano parlarlo né scriverlo correttamente. Così è iniziato un dibattito (politico) fra destra e sinistra, tra docenti, presidi e sindacati sulla questione. La proposta della lega vorrebbe gli stranieri non italianizzati in classi differenti, al fine di aiutarli ad acquisire più in fretta quelle conoscenze linguistiche e culturali che permetterebbero un più veloce inserimento nella società, ma la proposta va contro i suggerimenti di psicologi e sociologi, che più volte si sono espressi a favore di un loro inserimento diretto negli ambienti scolastici e lavorativi, in modo da stimolarli ed aiutarli a integrarsi in senso lato. Forse la lega si avvale di studi più recenti, forse ha scoperto qualcosa su cui vale la pena sperimentare, allora perchè perdere tempo e non prendere cavie umane al fine di verificare? Bisogna provare. E perché non estendere l’esperimento ai disabili e ritornare indietro di circa cinquant’anni? Del resto, le rivoluzioni sociali e politiche, come il termine stesso indica, non sono altro che un ritorno su passi già compiuti, un "passo da gambero" tanto, troppo di moda. Improduttivo.
E il malcontento destato dalla questione sembra esagerato. Mettiamo in preallarme gli autori dei dizionari & delle enciclopedie, in modo tale da aggiustare e modernizzare il significato integrazione, se non altro per una questione di coerenza.