Una Gestazione Senza Parto

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Un esperto di parole non condivisibili, Leonardo Sciascia, avrebbe detto, restando fermo sulle sue decisioni, che “siamo arrivati qui, malgrado tutto”. Dopo urla e stridori, vesti squarciate e qua e là qualche cervello in panne, danze tarantolate e scioperi, sulle piazze è sceso il silenzio. Rimangono il solito smog e i caroselli d’automobili, le bancarelle di improvvisati mercatini, cartelloni pubblicitari sbiaditi e cassonetti coi rifiuti della civiltà: la grande protesta è già finita. La scuola come oggetto del contendere è sempre al centro di ogni strumentalizzazione, sia essa politica o meno. La prima fa baccano sui giornali, propala invettive abilmente distorte attraverso i media, il popolo (dis)unito segue o si dissocia in massa, secondo i propri interessi. E stavolta ce n’erano davvero tanti, di varia natura. In primo luogo quelli di fannulloni, imboscati e perdigiorno, che a ranghi compatti hanno ululato contro la Gelmini e i tagli all’istruzione; in seconda istanza gli studenti stessi: un giorno, due, anzi no, una settimana senza lezioni: che pacchia! Anche il più indomito crumiro sarebbe caduto in tentazione. E nella confusione la gran parte non ci ha capito nulla. Tanto berciare s’è fatto che gruppi di destra, sinistra, anarchici, e mille sigle improvvisate si son trovate coese sulle strade. Finalmente un briciolo d’unità? Neanche a parlarne, chiedere ai diretti interessati per il riscontro. Nove ragazzi su dieci hanno bruciato il fantoccio della Mariastella nazionale come fosse una strega di Triora, senza conoscere i punti della legge contestata; nessun docente ha saputo elencare uno per uno i passaggi della riforma.  E neanche ora saprebbero farlo, perché da sempre in Italia non c’è cambiamento senza protesta, senza una sommossa sterile, un’opposizione disordinata e infeconda, con cui alimentare la danza dei numeri, il mugugno e altre parole vane. Comizi, conferenze, blocchi, sit-in, invettive e manifesti: la fantasia popolare si arresta sulla soglia dei problemi, più avanti si rischia la faccia, ed è meglio qualche coro da stadio nell’anonimato che l’irresponsabile ludibrio. Eppure, nel bene e nel male, ci vuole coraggio. Se il maestro unico e la riduzione del fiume di soldi pubblici per sfamare un’istituzione scenograficamente alle soglie dell’indigenza sono discutibili, se la ghettizzazione dei bimbi stranieri in classi separate è un’insostenibile fesseria – giusto per citare due esempi -, bisogna reagire con le idee. E per quanto impossibile intervenire a monte, sarebbe il minimo imporre la forza della ragione come costante “biologica” antitelevisiva, antimassiva, antiomologazione. Altrimenti le leggi verranno promosse proprio grazie alla mancanza di un senso morale/ideologico globale, che ad oggi resta improntato su un goliardico, costoso e onnivoro parassitismo che non sale (guarda caso) mai in cattedra, e che nel suo proliferare attori e slogan per conto terzi non sposa cause né sociologie.