Il mondo attendeva, diviso a metà.
Da una parte la baldoria fanfaramericana fra sperperi, libagioni, osanna e colpi bassi; dall’altra il ronzìo millenario dell’attesa, un silenzio carico di fervori e speranze che sarà compito di Barack Obama trasformare in realtà. Dear Mister President, il telegramma dal Pianeta Terra parla di grandi responsabilità e fosche nubi da levare dall’orizzonte. Nel giorno stesso del trionfo, il presidente afghano Hamid Karzai chiede un intervento per mettere fine all’uccisione di civili durante i raid militari statunitensi; il 44% degli elettori bianchi, quasi la totalità dei neo-votanti e un numero determinante di giovani reclama il cambiamento epocale annunciato: economia, sanità, lotta alle discriminazioni razziali. La marcia verso la serenità deve cominciare col piede giusto, dear Mister President, non si può deludere la Storia. Una nazione costruita sulla schiavitù, ha mandato il più limpido segnale della volontà di voltare pagina.
Enfasi, fieri aggettivi e parole imponenti per l’ex senatore dell’Illinois, che invita lo sconfitto McCain a collaborare, mostrando da subito apertura e un ottimo fiuto politico-promozionale. Le carte sono in regola, le attitudini non mancano, e dai quattro punti cardinali piovono cori d’assenso più o meno di maniera, più o meno partigiani. Il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon si è detto certo che l’opportunità storica per iniziare un’era di rinnovato multilateralismo verrà colta in pieno, e non ha nascosto l’interesse per l’idea di una partnership globale dove si condividano gli oneri per lo sviluppo. La vecchia Europa è cauta, ma sotto le spoglie della retorica gongola o quasi. Sa che la ribalta può rendere beati o demonizzare in pochi istanti, le cronache dei secoli parlano chiaro. Eppoi ha i mercati finanziari da risollevare: servono fiducia, forze fresche & grasso che cola. L’oriente (dalla Russia alla Cina) non ha sprecato un solo coriandolo, ma il telegramma di Medvedev che parla di dialogo e cooperazione, rasserena un clima peggiorato durante l’ultimo periodo dell’amministrazione Bush. E proprio dal presidente uscente arriva l’investitura che (non) ci si aspetta: “gli americani siano orgogliosi del candidato democratico”. Dear Mister President, da oggi, nessuno abbia paura di sognare non è solo parola di Nelson Mandela.