LA GRANDE STORIA:I tedeschi hanno tradito Mussolini

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Il 26 aprile del 1945 i tedeschi dovevano consegnare Benito Mussolini agli uomini dell’OSS (Office of Strategic Service) americano appartenenti alla missione Chrysler

. Gli agenti OSS erano stati paracadutati sul rilievo montuoso del Mottarone (Coiromonte, una frazione di Armeno in provincia di Novara) all’inizio dell’autunno del 1944. Avevano il compito di coordinare i rapporti tra i partigiani del CLNAI operanti nell’ossolano e nel novarese ed i comandi alleati che lanciavano per via aerea rifornimenti, armi e denaro. Il comandante della missione Chrysler, il maggiore William V. Holohan, è stato assassinato il 6 dicembre del 1944 presso il lago d’Orta (villa Castelnuovo) in circostanze rimaste sino ad ora oscure (il cadavere, riemerso dalle acque del lago, aveva due ferite mortali in testa e l’autopsia ha dimostrato tracce d’avvelenamento da cianuro, almeno così si dice). Il sospettato numero uno del delitto è stato per anni il tenente Aldo Icardi, colui che aveva preso il posto del maggiore Holohan come comandante sul campo della missione alleata.

L’accusa era quella di aver ucciso il suo capo per impadronirsi dei 100.000 dollari che questi aveva con se. Secondo gli inquirenti l’Icardi li voleva distribuire ai comunisti delle Brigate Garibaldi e non, come avrebbe desiderato il maggiore Holohan, ai partigiani delle formazioni cattoliche (a detta del New York Time del 23 ottobre 1953, il maggiore americano era un fervente antibolscevico). In un clima di acceso anticomunismo, l’Icardi, accusato da un suo presunto complice, il telegrafista sergente Carl G. Lo Dolce, è stato condannato all’ergastolo, in contumacia, da un tribunale italiano. In un processo svoltosi negli Stati Uniti è stato, viceversa, assolto, con formula piena, dall’accusa infamante d’omicidio (il Lo Dolce ha ritrattato la sua confessione). Sembra ormai assodato che dietro il delitto Holohan ci sia il comandante “Cinquanta”, un infiltrato fascista messo a capo di un’intera brigata di garibaldini inquadrata nei reparti agli ordini di Cino Moscatelli, l’infervorato comunista da tutti additato come il “mitico” (e discusso) leader della resistenza valsesiana e novarese. Il “Cinquanta” è stato successivamente fatto fuori dai partigiani filomoscoviti. L’Icardi ha pubblicato un libro intitolato: “Aldo Icardi: American Master Spy” (Stalwart, 1954) in cui spiega come il Moscatelli sia stato coinvolto nell’omicidio del suo superiore e nella sottrazione del denaro che costui si portava appresso.

Il giorno in cui l’Holohan è stato ucciso, un grande rastrellamento nazifascista aveva provocato lo sbandamento dei partigiani che si erano dati alla macchia sul monte Mottarone. Per lo stesso motivo, nelle settimane successive, l’Icardi aveva trasferito il comando della missione Chrysler a Busto Arsizio, una scelta azzeccata in quanto molti bustocchi avevano combattuto come partigiani nell’Ossola e dintorni. Mario Colombo, un ex partigiano del raggruppamento “bianco” (cattolico) Alfredo Di Dio, ha detto (notizia del 16 novembre 2005): “Icardi presto ci invierà (dagli USA, ndr) documenti riservati in suo possesso da sessant’anni nei quali si evince che nelle trattative segrete di pace con i tedeschi era inclusa la consegna di Mussolini. Essa non andò in porto per un quarto d’ora”. Secondo il Colombo, l’Icardi, il giorno in cui avrebbe dovuto recarsi al campo sportivo di Como per prelevare Mussolini ed il maresciallo Rodolfo Graziani dalle mani dei tedeschi (26 aprile), è stato trattenuto a Busto Arsizio dall’arrivo di agguerriti reparti nazisti che non si erano ancora arresi. Per alcuni le truppe del Reich, provenienti dal Piemonte, erano un contingente della colonna agli ordini del famigerato capitano delle SS Ludwig Stamm (un feroce rastrellature di partigiani), secondo altri erano, invece, circa 600 soldati appiedati della Luftwaffe comandati dal colonnello Hans Smaller. Le carte scottanti dell’Icardi, un novantenne avvocato di Pittsburgh che il sindaco di Busto Arsizio vorrebbe omaggiare con la cittadinanza onoraria, dovrebbero essere recapitate in Italia da sua figlia Patricia (notizia del 12 settembre 2006).

Fallita l’operazione recupero del Duce progettata dall’Icardi, ha preso campo l’iniziativa del capitano statunitense dell’OSS Emil Q. Daddario, inviato sul lago di Como dal fiduciario USA residente a Berna Allen Dulles con l’incarico specifico di prendere in consegna il Duce. Il tentativo del D’Addario ha avuto come unico risultato quello di arrestare il Maresciallo Graziani il quale, in compagnia del generale Ruggero Bonomi (aviazione) e del generale Rosario Sorrentino (esercito), il 26 aprile del 1945 aveva lasciato Menaggio, dopo essersi congedato da Mussolini, ed era giunto a Cernobbio per rifugiarsi al quartier generale delle SS capitanate dal generale nazista Karl Wolff. I rapporti tra i tedeschi e gli americani erano da tempo ottimali. Ne è un ulteriore riprova quello che è avvenuto il 27 aprile: non appena giunto a Milano, il Daddario ha condotto il maresciallo R. Graziani all’albergo Regina che era ancora occupato dal comando della Sicherheitspolizei-SD hitleriana. Anche il Daddario ha pernottato tranquillamente in quella sede.

Bruciata l’opportunità di consegnare il Duce agli alleati, il tradimento dei tedeschi ha coinvolto i partigiani comunisti. Mussolini, dopo aver abbandonato Menaggio il 27 aprile, è stato arrestato dai partigiani della 52° brigata Garibaldi alle 15,30 sulla piazza di Dongo. Il tenente delle SS Fritz Birzer (comandante della scorta personale tedesca che doveva proteggere il capo fascista), il capitano Otto Kisnat (dipendente dei servizi segreti di sicurezza del Sichereitsdienst e addetto alla persona del Duce) ed il capitano Hans Fallmeyer (responsabile di un reparto della Luftwaffe che si era aggregato alla colonna Mussolini in ripiegamento verso la Valtellina) hanno svenduto il leader fascista in obbedienza ad ordini che provenivano dall’alto ed in cambio della loro salvezza personale. Poiché il trattato di resa prevedeva il loro libero allontanamento dall’Italia, solo i tedeschi avevano libertà di movimento e di transito in quanto dovevano raggiungere la Germania minacciata dall’invasione delle orde sovietiche. Sintomatico è un fatto: pur sapendo che Mussolini era a Como dalla sera del 25 aprile, il generale delle SS K. Wolf, rientrato il 26 dalla Svizzera dove aveva perfezionato con gli alleati la resa delle truppe tedesche in Italia, si è rifiutato di incontrare il Duce.

Per la capitolazione delle truppe del Reich, gli americani hanno pagato il loro debito nei confronti del nazista K. Wolff. “Sulla base della documentazione recentemente declassificata, c’è scritto nel libro Operation Sunrise, è possibile affermare che Allen Dulles, il quale fino a quel momento sembrava essersi disinteressato di Wolff, ebbe un ruolo cruciale nella decisione presa dalla Commissione di escluderlo dalla lista di Norimberga”. In questo gioco di sottointese alleanze i servizi segreti americani hanno svolto anche altri ruoli: ad esempio, il capitano E. Q. Daddario (un buon amico del comandante partigiano bergamasco Eugenio Cefis) ha firmato un lasciapassare che autorizzava la missione comandata da Walter Audisio, il colonnello Valerio, il cui compito, impostogli dal Comitato Insurrezionale (comunisti, socialisti ed azionisti), era quello di esecutare il Duce ed i gerarchi fascisti tenuti prigionieri a Dongo.

Sulle ultime ore di vita del Duce, un’altra recentissima segnalazione (Avvenire, 2 aprile 2008) cerca di rivalutare un’ipotesi che è, a differenza del presunto tradimento tedesco, del tutto fantasiosa: il parroco dei contrabbandieri don Nemesio Farina (svolgeva il suo apostolato in una sperduta valle tra il lago di Como ed il confine elvetico, la val di Rezzo sopra Grandola) doveva far sconfinare Mussolini in Svizzera. Il cardinale Ildefonso Schuster in persona avrebbe allertato don Nemesio e suggerito al Duce, durante l’udienza tenutasi in Arcivescovado il 25 aprile, la possibilità di utilizzare questa via di fuga. Ecco spiegato il motivo per il quale il 26 aprile del 1945 Mussolini aveva abbandonato Menaggio per rifugiarsi all’albergo Miravalle di Grandola, la sede di un reparto della Milizia confinaria fascista. Si dice, inoltre, che don Nemesio, pochi giorni dopo il 25 aprile, ha ricevuto la visita di un capo partigiano della zona di Lecco che, dopo essere entrato di forza in canonica, si è messo a rovistare dappertutto, senza alcun permesso, perché voleva recuperare “l’oro di Dongo”. Un autorevole storico non di destra, Marino Viganò, ha definitivamente affossato l’inveterata mistificante interpretazione degli ultimi movimenti fatti dal capo del fascismo sulla sponda occidentale del lago di Como. Mussolini non voleva espatriare in Svizzera, ma “morire con il sole in faccia” in Valtellina dove si sarebbe consumato l’olocausto redentore iconizzato dal superfascista Alessandro Pavolini.

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