Come Fiori Sulle Rovine

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Nell’emergenza, il senso di solidarietà degli italiani è insuperabile. Nella prevenzione, invece, siamo il fanalino di coda. Il popolo dello stivale campa a lungo, legge poco, si diverte, viaggia più di una rondine, paga il benessere con lo stress, e sul denaro non ha amicizie. Il terremoto in Abruzzo ha certificato quest’ultimo concetto, e il suo fantasma ulula nelle notti di vento, fra macerie senza pace. Ad Onna, l’unico edificio scampato alla distruzione è una vecchia fornace dell’Ottocento, restaurata di recente da un ingegnere rispettoso delle norme antisismiche. Non si tratta di fortuna, né di casualità, bensì di previdenza del rischio. La sua gestione, nell’intreccio fra politica e pubbliche amministrazioni è da sempre lacunosa: la catastrofe di San Giuliano non ha insegnato nulla. Il malcostume dei condoni edilizi e le reiterate proroghe sull’entrata in vigore di leggi a tutela delle abitazioni hanno dato le chiavi delle città a imprenditori improvvisati, pirati del mattone, ex mestieranti, palazzinari, attratti dai guadagni facili e dalla speculazione. Nessuna certificazione, controlli inesistenti, men che meno collaudi specifici, mirati. Non serve più nemmeno l’antica bustarella, basta un amico nel settore. Cambiano gli usi, la morale resta quella, immutabile e alquanto meschina. L’emblema di ciò è l’ospedale dell’Aquila, la prima struttura ad essersi sgretolata durante le scosse telluriche. Il 76% degli edifici è rimasto in piedi, non però un complesso iniziato nel lontano 1972, terminato ventotto anni dopo, il cui costo di undici miliardi di lire è lievitato nel tempo sino a duecento. Una scossa di magnitudo 5,8 della scala Richter indica un sisma di media entità, cosa che amplifica ulteriormente il senso di scandalo. Materiali di scarto, cemento armato allungato per dimezzare i costi e raddoppiare gli introiti, mani tese sulla Sanità, burocrazia della disfunzione, sono fattori alla base del tracollo: non esiste una cultura della sicurezza. Siamo come margherite in un bosco di sequoie, dove la luce sta dozzine di metri sopra le radici, e la grazia dei petali non può ripagare il sole con la moneta dell’incanto. La poesia della civiltà, d’altronde, marcia in direzione opposta a quella del denaro. E se in tutto il mondo i nostri ingegneri costruiscono mirabili opere, in patria non ne hanno l’opportunità. Qua non si fanno prove di evacuazione in zone a rischio, non si vagliano voci, allarmi, leggi e proposte; si preferisce attivare una catena di solidarietà a frittata fatta. Giù il cappello alle centinaia di volontari, medici e uomini semplici che, con dignità e a mani nude, hanno scavato in cerca di fiori perduti fra le rovine. Lo scaricabarile, nei superattici di sequoia, è già cominciato.