SPORT E RAZZISMO

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Come avviene, per esempio,  nel mondo dei colori e nella culinaria, ci sono degli accoppiamenti che non solo sono sconvenienti, ma proprio urlano vendetta davanti a Dio e agli uomini, cosi avviene anche nello sport.


L’accoppiata sport/razzismo è sicuramente tra le più stridenti che si possono immaginare. Nel leggere i fatti di questi giorni, quelli che hanno coinvolto il giocatore dell’Inter Balottelli, italiano di passaporto, palermitano di nascita e ghanese di discendenza e i tifosi o pseudo tali della Juventus, non si può non fermarsi e fare qualche riflessione.

Già, prima di tutto fermarsi, perché se lasciamo che lo sport continui il suo cammino senza alcun limite e sosta benefica, ci ritroveremo presto con un giocattolo rotto, tossico e di cattiva influenza su chi lo usa (o lo guarda)

Da ogni parte cerchi di guardarla, questa vicenda ha in ogni caso dello squallido e dell’inqualificabile.

Dalla parte dei tifosi, provocati o meno, che con ripetuta indecenza, hanno solo reiterato l’idea che l’ignoranza, quella più inclassificabile, abita spesso in zone delle curve degli stadi.

Dalla parte di una società, seppur blasonata con il vanto di uno stile, che ha in più dichiarazioni tentato di mettere il discorso razzistico come un problema quantistico: sei razzista quando gli insulti sono più di un tot, sotto a quella soglia sono solo cori coloriti.

Dalla parte dei giornali, persi nelle dichiarazioni e nei riscontri storici, per una cronaca più vicina al popolare gossip che all’educazione dei lettori-tifosi verso un più che naturale interculturale.

Interessante la motivazione della squalifica del campo incriminato. Nel suo referto, il giudice sportivo ha sottolineato come i cori razzisti si siano verificati in molteplici occasioni e in vari settori dello stadio e ha sottolineato l’assenza di qualsiasi manifestazione dissociativa da parte di altri sostenitori ovvero di interventi dissuasivi da parte della società. Come dire: se non ti schieri vuol dire che sei complice.

Facciamo nostra questa logica che ha ispirato il giudice sportivo. Sempre di più avremo nelle nostre società sportive, nelle squadre di ogni categoria qualche immigrato della terza/quarta generazione, italiani dalla pelle diversa ma dalla stessa dignità e rispetto. Qualche torneo inizia ad avere squadre interamente di colore, per giocare non in qualche torneo dell’amicizia, dell’integrazione, dell’alleanza tra i popoli, della pace…. Ma semplicemente una squadra che vuole giocare a quello sport. Mettiamo subito in chiaro società, dirigenti, genitori o compagni di squadra che chiunque ama lo sport, chiunque crede nello sport, chiunque voglia proporre sport, quel binomio li, come direbbe un famoso giornalista, lo aborra.

Ogni società, dai campetti di periferia a quelli dei nostri oratori a quelli più professionali delle federazioni, ai palazzetti delle scuole o dei comuni, siano sugli spalti genitori, amici, tifosi, al primo accenno razzistico, verbale o gestuale, cartellonistico o altro, ci si ferma, si smette, perché quello, da quel momento in poi, non è più sport.

 

Don Roberto Sogni    Ufficio Pastorale dello Sport

Don Franco Finocchio  – CSI Comitato di Novara