Era l’inizio di Aprile, quando contro di lui tuonò la fetta femminile del Parlamento. Il Ministro Brunetta aveva puntato il dito contro l’assenteismo rosa nella pubblica amministrazione, scatenando onorevoli ire. E non solo. Eppure la sindrome da shopping non è l’unico male che affligge la ragnatela statale, poiché ve ne sono di assai più gravi, ed ermafroditi. Nessun sessismo presunto o dichiarato, quando a tener banco sono le paghe. Si intende prolungare l’età pensionabile delle donne a sessantacinque anni, per conformarsi al trend europeo, senza però ritoccare le spettanze del futuro vitalizio. Ma se è vero che il dettaglio non fa l’intera opera, quantomeno ne delinea la qualità; e allora perché pagare in tanti il privilegio di pochi? Già, perché un dipendente dei Palazzi intasca una rendita quindici volte superiore alla media Inps dei “comuni mortali”. Un semplice commesso del Senato al termine del proprio rapporto, con una somma anagrafica di età, contributi e anzianità di servizio pari a quota 109, può andare in pensione a 53 anni e percepire settemila euro netti per quindici mensilità. Che corrispondono all’ottanta per cento dell’ultimo stipendio, calcolato col decaduto – e proibito, ai non addetti ai lavori – sistema retributivo puro. Sorvolare sui princìpi, facendo finta che le buone regole siano pregiudizi o frasi fatte, è indice di un profondo discrimine a vantaggio dei privilegi. Che puntualmente passano di bocca in bocca con indignazione, fino al nulla di fatto. E intanto, il bilancio di previsione annuale approvato da Palazzo Madama, evidenzia l’impressionante incremento dei costi di tale settore: novanta milioni, oltre centosettantotto miliardi del vecchio conio. Ma non è finita, poiché un altro fiume di soldi prenderà la via delle pensioni dirette (80 milioni di euro), da cui esulano reversibilità & non della Camera, 190 milioni di vergogna. Nessuna morale giustifica l’uso dei mezzi, leciti o meno, quando il fine raggiunto è il disastro. D’altra parte, lo squilibrio non è un reato, da noi, dove alla fine tutti se ne infischiano. Ad ognuno il suo orticello, erbacce e mugugni inclusi. I disoccupati non hanno voce, né peso politico, e la cassa integrazione attenua anche gli slanci idealistici.