L’ Aquila. Dopo il terremoto il silenzio…. ma per qualcuno c’e il rumore dei ricordi

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DOPO   L’APOCALISSE: Sotto i portici noi aquilani ci scambiavamo notizie, commentavamo i fatti del giorno con amici  incontrati  in modo più o meno  casuale, insomma noi elaboravamo  una bella fetta di cultura cittadina, quella che si trasmette  parlando e ascoltando…

. Oggi tutto questo ci è stato negato dalla natura che si è manifestata in modo  crudelissimo per noi, ma l’abitudine si conserva, lo scambio di saluti e chiacchiere avviene altrove, in luoghi prima impensati. In città, è l’incontro casuale con una amica sulle panche di un ristorante improvvisato, oppure con il fioraio del cimitero, quello che resiste ancora con rifornimenti di fiori freschi. Fuori città,  gli incontri avvengono soprattutto negli hotel o durante le passeggiate sui lungomare delle città della costa, dove aquilani in soggiorno obbligato a tempo indeterminato fingono di stare in villeggiatura.

Ciò che colpisce di più in questi brevi incontri è la constatazione della frantumazione non solo delle mura più o meno antiche fatte di pietra, o di quelle più recenti fatte di cemento, ma anche degli esercizi commerciali, di tutte quelle svariate attività, insomma  della trama dei rapporti  che ci hanno accompagnato da sempre. Ed ecco alcune notizie raccolte qua e là. 

Apprendo chiacchierando che un piccolo proprietario terriero che da generazioni trae il vivere suo e della sua famiglia con produzione e commercio di fiori e prodotti ortofrutticoli, parte la mattina da Alba Adriatica per andare a curare terreni, piante ed animali. Lo fa per abitudine,  perchè non può non lavorare, ma ancora non  sa dove andranno a finire i suoi prodotti, sparito il mercato in piazza,  chiusi i negozi e molti supermercati. Spariti anche i clienti, che consumano cose diverse, altrove.

I grandi negozi di abbigliamento con una clientela benestante amante di capi di buona e duratura qualità, svendono con sconti del 50%, in capannoni di periferia, articoli che facevano la loro bella figura in vetrine del centro città. La farmacia all’angolo della piazzetta svuota i locali, la gente che passava tutti i giorni ora non passa più, semplicemente.

Quel po’ di movimento che creano le persone che vanno a lavorare, e vivono fuori,  si esaurisce verso il tramonto, mi dicono che di sera la città diventa un deserto muto fatto di polvere e macerie, tutto buio.

I più sfortunati dei sopravvissuti, quelli che hanno perso tutto, casa, mobili e ricordi, sono assillati dal pensiero dell’incertezza del domani, pensiero che unito ai disagi di vita prolungata in tende, camper e quant’altro è stato inventato per la sopravvivenza più o meno provvisoria, si manifesta in modo straziante. Si è sgretolata una delle colonne portanti  del vivere abruzzese, la fiducia nel mattone, che sostiene per la vita famiglie intere, e parecchie generazioni.

Quando l’abruzzese fa o compera una casa, non la fa solo per sé, lo fa anche per i discendenti,  nelle nostre tradizioni la casa è ciò che supera l’arco del  tempo di una vita. E questa perdita è matrice prima di sfiducia e depressione. Parecchie volte mi è capitato di sentire discorsi tristissimi, disperati. Nonostante le continue promesse di stampa e televisione, la sfiducia nel ritorno alla normalità in tempi prevedibili comincia a manifestarsi in modo pesante.

Va difeso con orgoglio  il nostro  piccolo mondo antico, difeso dall’impoverimento e dallo spopolamento. Non tanto piccolo il nostro mondo, in  verità, visto che ha aperture e realtà grandi, come l’Università, il Conservatorio musicale, l’Accademia dell’Immagine, l’Accademia delle Belle Arti, non solo grandi per numero di iscritti, di Aquila, provenienti da fuori sede ed anche dall’estero, ma per lo scambio continuo di esperienze culturali con il resto del mondo che conta.

L’Aquila città di congressi, si diceva una volta. L’Aquila città degli studi per i discendenti dei nostri emigrati che vogliono imparare l’Italiano, si progettava di recente. Quando? Come? Dove? Chi saranno i nuovi operatori, i nuovi proprietari, i nuovi dirigenti che nasceranno dalle nostre macerie?

Le forme di saluto: “ Vediamoci sotti i portici”, oppure “Facciamoci una passeggiata per il corso”,  prima diffusissime  forme di un impegno non troppo formale per orario, ma sentito, di rivedersi presto, oggi assumono un significato ben più profondo, sono l’augurio della rinascita dell’intera città,  sono il saluto verso  una realtà nuova, ignota ancora ai più. Con un atto di fiducia molto forte verso  noi stessi  e  verso l’attuale classe dirigente dobbiamo credere che sarà una realtà migliore,  benestante, solidale, accogliente, rispettosa della natura, ricca di spazi verdi, e sempre più aperta verso il mondo esterno.