Le nuove servitù legali: rappresentanti, procacciatori d’affari, consulenti. Dove vanno a morire i sogni degli italiani. A cura di Leone Silvano
Anime morte erano, nella Russia di un paio di secoli addietro, quei servi della gleba per i quali i padroni continuavano a pagare l’imposta stabilita, il testatico, anche dopo il loro decesso, in quanto era necessario attendere il nuovo censimento, registrare la dipartita, per poter essere poi esentati dal pagamento della tassa.
Morti e sepolti sulla terra dunque, ma vivi e vegeti per il fisco nei registri.
“Anime morte” è anche il titolo di un romanzo di capitale importanza nella letteratura russa, e mondiale, composto da Nikolaj Vasil’evic Gogol’ ed edito nel 1842, un’opera considerata uno spartiacque, in quanto presenta una realtà sociale che iniziava allora a lanciare la sua ombra nella letteratura: la servitù della gleba, un romanzo dunque di denuncia sociale di indubbia importanza.
In tale opera il protagonista, l‘assessore collegiale Pavel Ivanovič Čičikov, giunto in un governorato dall’anonimo nome di N., inizia ad acquistare le “anime morte”, al fine poi di poter offrire in garanzia questo esercito di fantasmi per ottenere un’ipoteca e raggiungere una discreta somma di denaro…insomma: cerca di arricchirsi in maniera truffaldina.
Tale tentativo viene attuato in una regione nella quale i padroni stessi appaiono deceduti, se non da un punto di vista fisico, certamente morale, le cui anime sembrano inaridite a tal punto da un vuoto interiore tale da gareggiare quanto a vitalità con i loro servitori defunti; alla fine il piano di Čičikov viene scoperto e lui è costretto alla fuga.
Ciò che voleva fare il mefistofelico protagonista era dunque arricchirsi vendendo, offrendo in garanzia, dei cadaveri, delle “anime morte”.
Oggi, 167 anni dopo la pubblicazione dell’opera di Gogol’, sotto un’altra forma, in una differente modalità, sotto alcuni aspetti più subdola, sta avvenendo la medesima cosa in Italia nel campo dei venditori, rappresentanti ed altro.
Tengo a precisare che per la categoria degli agenti di commercio ho il massimo rispetto, e sono felice di avere fra i miei amici varie persone impegnate proprio in tali mestieri, provo invece rabbia per gli sfruttatori ed i truffatori, sia indotti che volontari.
Un dato facilmente verificabile semplicemente acquistando un giornale di annunci di lavoro è che fra le figure più richieste oggi sul mercato vi sia oggi quella del venditore: lo si voglia chiamare intermediario di vendita, rappresentante, addetto al customer care o in altre maniere, ed appare paradossale che, in un periodo di crisi, sia proprio questa la figura più ricercata.
In realtà spesso tali annunci sono specchietti per le allodole, trappole: siamo dinanzi invece ad uno sfruttamento fisico e morale, spesso volontario perché indotto, che sta facendo ritornare indietro il nostro paese di decine di anni moralmente ed eticamente, agli anni nel quale il bigottismo regnava sovrano, in cui l’apparire esisteva e l’essere decisamente no.
Iniziamo con il dire che la maggior parte dei venditori lavora a provvigione, procacciando spesso gli affari da solo. Cosa vuol dire? Che c’è qualcuno che ingrassa dietro una scrivania, aspettando che il suo esercito di servitori riporti a casa il contratto per poi offrir loro le briciole (le percentuali spesso si aggirano verso il 7%, al massimo possono arrivare al 10%), solo le briciole, mentre un rappresentante ha in primo luogo delle spese (benzina, vestiti, pranzi e cene fuori casa), spese che non vengono neppure coperte da un minimo stipendio fisso per i primi mesi. Un lavoro che dunque parte in passivo, visto che il primo stipendio è , quando arriva, se arriva e tutto va bene, a fine mese.
Di contro, vi è dall’altra parte un esercito di schiavi disposti a qualunque cosa pur di concludere un contratto; viene spontaneo allora domandarsi perché, per pochi euro, relativamente, un ragazzo, spesso laureato, sia disposto a scendere moralmente sino alla truffa.
La ragione è più triste di quella che si possa immaginare.
Il padrone, il datore di lavoro, the boss, inculca spesso nella mente di un suo dipendente come una mancata vendita non sia una possibile eventualità, ma esclusivamente un errore del rappresentante, un suo indiscutibile fallimento (e si noti bene l’aggettivo “indiscutibile”); questi viene umiliato, offeso in riunioni pubbliche o private, trattato come un inetto. E perché? Perché il padrone non ha guadagnato, perché il padrone non crede che possano esserci persone al mondo che non desiderano acquistare qualcosa, perché è sempre più facile incolpare una persona che un prodotto: la persona infatti la si sostituisce, il prodotto no.
Il risultato è amaro, amaro e squallido per un paese europeo nel 2009; passati alcuni mesi il ragazzo ha due possibilità di riuscita: o divenire una persona falsa, la maschera della quale è il sorriso, un uomo squallido, privo di una reale etica e di una propria morale, oppure licenziarsi, decretare un fallimento che spesso non è da addurre a lui (sarebbe corretto addurlo al sistema di governo e regolarizzazione del lavoro che vige in questo paese, alle possibilità di realizzazione di un progetto, all’inesistente mobilità sociale) ma che altrettanto spesso egli vivrà come proprio, seme di una mancanza di stima in se stesso che lo condurrà ad un deprezzamento delle sue qualità, della sua persona, delle sue capacità..e per cosa? Perché il “capo” non ha guadagnato qualche spicciolo (in quanto i neofiti partono sempre con contratti piccoli).
Umiliazioni e truffe, ecco il nuovo mestiere dell’agente di commercio in molti casi, ecco la gogna che buona parte degli odierni laureati è costretta a portare.
In passato non era così, certamente, ma in passato l’agente di commercio aveva un’altra funzione, non era la persona inopportuna, che invade la casa cercando ad ogni costo una firma su un contratto.
Rinuncia della morale, rinuncia anche dell’etica, prostrazione al dio denaro, all’avanzamento di carriera, all’ “essere meglio di…”, ma quando fermarsi?
Raramente ho assistito ad uno svilimento maggiore dell’essenza di un individuo come quando mi sono trovato in colloqui (o anche a svolgere la mansione) con rappresentanti.
Omologazione, essere tutti uguali per rendere tutti uguali, con gli stessi bisogni, gli stessi sogni. Strategia, un modo per vendere qualunque cosa a qualunque persona, che viene vista sempre come un oggetto che pensa. Intervista, indagare cosa piaccia ad un ipotetico cliente per poi sfruttarla a proprio vantaggio. Sorriso, forzato, obbligato (non importa se oggi non ti va, oggi DEVI sorridere anche se hai la morte nell’anima), eterno.
E chi saranno spesso i clienti di queste “apprendiste faine”?
Tordi, persone deboli, che non sono in grado di rispondere un secco “no”, pochi realmente interessati, molti ingannati dalle (spesso false) agevolazioni che il rappresentante propone.
E chi invece ne trarrà giovamento? Il padrone, il capo di questo esercito di “anime morte”, che sulla carta universitaria della laurea, dei loro curriculum sono ancora vivi, vivissimi per le tasse che hanno pagato per i loro studi, ma decisamente morte come persone, come individui.
Un celebre mito greco, il mito di Zagreo fa risalire la nascita degli uomini all’uccisione dei Titani da parte di Zeus, alla loro riduzione in polvere per aver assalito ed ucciso Zagreo, suo figlio, al quale era stato assegnato il comando dell’universo.
Quanti Zagrei assassinati possiamo trovare nei ragazzi che oggi cercano di farsi strada nel mondo del lavoro?
Fonti: