Il futuro che non c’è

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Un caffè con il tenente Drogo e Dino Buzzati per comprendere come la gerontocrazia ideeivora stia divorando la “meglio gioventù” italiana.  

Gerontocrazia vuol dire letteralmente governo oligarchico di anziani e, per associazione e similarità, un qualcosa (un impiego, una carica, ma soprattutto una forma mentis) che passa da una persona ad un’altra semplicemente con lo scorrere del tempo, una tradizione italiana secolare, vera cancrena di questa lingua di terra fra Africa ed Europa, che impedisce spesso al paese di progredire realmente. Gli attori di questo procedimento sono spesso quelli che in passato furono vittime di tale processo, persone che sono passate tramite la gerontocrazia divenendo ora loro stessi dei dinosauri ceralaccati, dall’immobil pensiero, in attesa di passare la staffetta alle nuove leve, talpe che intanto sono divenute anche loro vecchi dinosauri. Questa pratica feudale va avanti ormai da tempo immemore nel paese di Pulcinella.

Se sotto un certo punto di vista per molti questo sistema poteva risultare un qualcosa di positivo, cioè un tacito accordo che, passando di padre in figlio o di amico in servo non lasciava mai un posto di lavoro vuoto ed offriva in passato una sistemazione per tutti, l’altra faccia della medaglia non è rosea, ed una buona lente di ingrandimento per comprendere meglio il fenomeno ce la offre un autore italiano: Dino Buzzati.

In un romanzo pubblicato nel 1940, dal titolo il “Deserto dei Tartari”, Buzzati  descrive la vicenda di un militare, il tenente Drogo, il quale, inizialmente per costrizione e successivamente per scelta, spende l’intera sua vita in una onirica fortezza di frontiera, che si affaccia verso nord su un deserto, rappresentante il confine con il territorio nemico, in attesa di una fantomatica invasione. Quando infine l’atteso attacco, del quale si erano perse le speranze, avviene, Drogo, ormai stanco e vecchio, è dispensato ed obbligato ad andare via dalla fortezza. 

Vi è una figura in questo romanzo, quella del sottufficiale Tronk che ci dà modo di riflettere: “Dopo 22 anni di Fortezza, che cosa era rimasto di quel soldato? (…) No, (a guardarlo lo si capiva bene), degli altri uomini Tronk si era dimenticato, per lui non esisteva più che la Fortezza con i suoi odiosi regolamenti. Tronk non ricordava più come suonassero le dolci voci delle ragazze, né come fossero fatti i giardini, né i fiumi né altri alberi se non i magri rari cespugli sparsi nei dintorni della Fortezza…” .

Tronk, privato della sua identità come persona, è divenuto un pezzo, un ingranaggio, un oggetto della fortezza, come può esserlo un muro o un bicchiere; inoltre, cosa realmente atroce, la sua forma mentis, il suo pensiero è divenuto limitato alla fortezza. Tronk è addirittura il simbolo, l’incarnazione della fortezza, della persona divorata, avatar di un sistema fattosi uomo: egli non vive nella fortezza, piuttosto è lui la fortezza. Ogni fattore esterno gli è indifferente; a essere corretti l’esterno non esiste, solo la fortezza ed i suoi regolamenti sono reali, per quanto illogici ed astrusi.

Qual è il collegamento di questo romanzo con la gerontocrazia italiana? 

Tornando al bandolo della matassa, la figura di Tronk, che compare all’inizio del romanzo, ma anche l’intera sorte di Drogo, che diverrà simile a Tronk, ci permette di comprendere appieno il futuro di coloro che sfruttano e sono sfruttati da questo sistema (rappresentato dalla fortezza, simbolo dello stato e del sistema che vige in tale stato): una persona, può essere piena di voglia di fare, di idee valide, ma, nell’enorme, eterna ed assurda attesa di una posizione che gli permetta di mettere in pratica ciò che ha in mente, perde ogni stimolo, le idee divengono vetuste, anacronistiche spesso, e una volta ottenuto il tanto agognato posto, (impresa, negozio, posto statale etc etc…) la forma mentis di quella persona è divenuta, perché imprigionata in anni e anni di schiavitù ideologica, realmente confinata esclusivamente a quel mestiere nel modo in cui veniva svolto prima.

Nulla rimane delle sue idee, della sua voglia di cambiare, della sua iniziale apertura mentale; tutto è stato svilito dai dinosauri ideeivori, mangiatori di idee.

Perché cambiare comporta riconoscere errori fatti in precedenza, ammetterli e recitare un mea culpa, e in Italia nessuno ha voglia di fare questo, in primis i politici.

Immaginate un uomo rinchiuso per tre decenni in una cella senza finestre: non sarà più capace di fare alcuna azione costruttiva, solo di lasciar passare il tempo, seguendo il corso degli eventi.

Leggere “Il deserto dei Tartari” oggi, a sessantanove anni dalla prima pubblicazione, vuol dire leggere il destino dei ragazzi italiani nel 2009, condannati allo svilimento dei loro sogni, delle loro idee, della loro voglia di fare, in uno stato che non offre nessuna speranza, uno stato che ha la forma di una fortezza mentale, la parola chiave regnante sovrana nel regolamento della quale è omologazione; Buzzati lanciava un monito con questo libro, un monito che è oggi più che mai attuale.

Eppure una via di fuga c’è.

In Italia certamente lo stato delle cose non accenna a cambiare, nei prossimi decenni a dinosauri ideeivori anziani si sostituiranno dinosauri ideeivori giovani (personalmente ne conosco diversi, persone con poco più di trent’anni che ragionano come paesani settantenni dediti solo al gioco delle tre carte ed alle sigarette “Nazionali”, per i quali cambiamento è sinonimo di pericolo, che preferiscono porre i piedi sulle orme dei loro predecessori piuttosto che tracciare altre vie), e tutto continuerà come prima; eppure vi è una via di salvezza se vogliamo, ed è costituita da internet, dalla rete web, che permette a chiunque di mettersi in contatto con persone anche fisicamente distanti, di ascoltare e valutare opinioni e pareri diversi, nuovi punti di vista, di mettere in pratica le proprie idee al di fuori della fortezza.

La speranza è nel web.

Facciamoci una domanda: se Drogo avesse avuto una connessione internet nella sua fortezza, se avesse avuto modo di confrontarsi con qualcuno di esterno, sarebbe stata così rapida e semplice la sua omologazione al pensiero della massa?