Big Brother: fra George Orwell e Mediaset, come viene demolito il capolavoro che anticipò internet e la collettivizzazione del pensiero.
“La morte non è nel non poter comunicare,ma nel non poter più essere compresi.”Le Ceneri Di Gramsci Pierpaolo Pasolini
E’ probabilmente all’indifferenza, a questa intangibile assenza costantemente presente, che dobbiamo l’inesorabile crepuscolo dell’interesse intorno all’argomento di una determinata opera, l’incipit della sua lenta agonia e della sua decadenza.
Un’opera vive e muore nei suoi lettori, di secolo in secolo, questo è indubbio, tuttavia un capolavoro, un masterpiece, è molto più tenace di un’opera qualunque, un capolavoro è qualcosa di eterno, perché costantemente attuale, di sublime, perché inarrivabile da un punto di vista stilistico, e, soprattutto di non invidiabile, in quanto espressione talmente profonda, intima e privata di una personalità, tale da poter essere apprezzato senza essere tuttavia invidiato: un’opera unica e, come ogni cosa unica, meravigliosa.
L’indifferenza uccide le opere dunque, ma come muore un capolavoro?
Basterebbe la citazione in apice come incipit per dare una risposta esauriente alla domanda posta nel titolo di questo articolo.
Certamente l’intangibile assenza, l’inesorabile declino nel “mattadimenticatoio”, tenta di aggredire un masterpiece da ogni parte, senza tuttavia giungere ad un esito completamente positivo di distruzione totale, di totale damnatio memoriae : un capolavoro è un’emozione che non tace, eterna, mentre l’indifferenza varia spesso di generazione in generazione, e ciò che non piace oggi, ma viene comunque rispettato perché considerato emblema del passato, emblema della vita e dell’uomo, certamente un domani, in altri contesti, vivrà una seconda giovinezza.
L’indifferenza intacca, rode come un tarlo, ma non uccide i capolavori: un capolavoro muore quando il suo significato, o anche semplicemente una parte di questo viene fraintesa, e soprattutto, quando viene svilita, quando perde il suo significato reale, e viene imprigionato in un luogo comune, come in una segreta senza aria dal nome “Incomprensione”, e lasciato a morire lì in solitudine (a tal proposito buona parte della classe docente italiana, universitaria e scolastica, dovrebbe chiedere scusa agli autori da loro decantati infatti).
Come lo chiamerebbe Curzio Malaparte, George Orwell è oggi un “cadavere squisito”, o meglio, non tanto l’autore, quanto il suo masterpiece: 1984.
Grande Fratello è arrivato alla nona edizione nel 2009, e quello che poteva apparire interessante nove anni addietro anche a persone con un briciolo di rispetto per il loro cervello, oggi risulta essere un infame coacervo di volgarità del tutto fuori luogo in una prima serata su una rete a diffusione nazionale, realmente diseducativo, regno del pecorismo qualunquista e specchio di un’Italia di bifolchi debosciati, nella quale il turpiloquio domina incontrastato: l’apparire è tutto e l’essere non conta, anzi, storpiando J. P. Sartre possiamo dire che ormai “L’essere è il nulla” (da “L’etre et le néant” a “L’etre e(s)t le néant”!).
Tuttavia, considerazioni personali a parte per i programmi da “Caffè Peppino” che la televisione italiana ci continua a propinare, compresi i telegiornali, Grande Fratello, Big Brother è, come forse ancora un po’ di persone ricorderanno, uno degli, anzi il principale antagonista del romanzo “1984”, l’opera di Orwell edita nel 1948 che anticipò buona parte del futuro divenuto oggi presente (a conferma di ciò basti notare l’avvento di internet, la distruzione della privacy attuata da facebook e, dulcis in fundo, l’attuale divisione del mondo in tre blocchi, fortunatamente non in guerra fra loro, i quali invece di chiamarsi Oceania, Eurasia ed Estasia si chiamano America, Europa ed Asia).
Da un lato abbiamo dunque il romanzo di quella che poi sarebbe stata definita “utopia del negativo”, opera premonitrice e monito contro ogni totalitarismo, uno fra i libri nei quali ad una forma pressoché perfetta corrisponde un contenuto altrettanto denso di emozioni e messaggi. Dall’altro abbiamo un programma che, a voler essere buoni e comprensivi, si rivolge ad un pubblico che neppure Vitaliano Brancati ne “Gli anni perduti” o “Il bell’Antonio” avrebbe osato concepire.
Si comprende facilmente dunque come possa essere svilita l’opera di Orwell: oggi il Grande Fratello (che a ben vedere non è proprio grande, poiché in inglese “big brother” vuol dire “fratello maggiore”), che per associazione equivale a “1984” è divenuto un programma di bassa lega, condotto da donne rifatte da capo a piedi, simbolo del conformismo di un’Italia capace di involuzioni culturali e sociali da brivido.
Certo, mi si potrebbe obiettare, il Grande Fratello è nato e vive anche in altri paesi come programma: bene, questo mio messaggio infatti può essere rivolto anche ai vari programmi di altri luoghi, ma nello specifico io lo rivolgo al Grande Fratello italiano, poiché, essendo italiano e vivendo in questo paese, ho avuto modo di vedere di persona gli squallidi effetti di questo programma, che sta ad Orwell come l’oceano pacifico sta al deserto del sahara.
Eppure, forse, a ben vedere, qualcosa di “1984” c’è in Grande Fratello, o meglio, nella rete che lo manda in onda, e, ancor meglio, nel padrone della rete che lo manda in onda…mancano i baffi che figurano nella descrizione del volto sui grandi manifesti visti da Winston, il protagonista, ad inizio libro….ma del resto i tempi cambiano, ed anche le mode.