La curiosità del pubblico di aquilani e non, anche di gente proveniente da fuori regione, è stata tanta ed anche ben ripagata. In tanti si sono messi pazientemente in fila, per parecchio tempo sotto il sole cocente di metà luglio, all’inizio del parcheggio delle caserme della Guardia di Finanza per vedere dal vero gli ambienti dove si è svolto il G8:
il salone col tavolo rotondo e le poltrone bianche con la scenografia panoramica della catena del Gran Sasso tanto per ricordare ai partecipanti la natura dei luoghi in cui si trovavano, i saloni dei pasti e gli hotel con gli appartamenti privati per il giusto riposo degli illustri partecipanti.
L’allestimento della scenografia specifica del G8 ha richiesto due mesi di tempo, all’interno di una struttura preesistente, già largamente adatta e sufficiente per accogliere tanta gente in assoluta sicurezza. Infatti l’insieme delle caserme, auditorium, ristoranti, saloni per attività didattiche è costruito in un posto accessibile solo da una strada, dunque facilmente controllabile, e circondato da mura con posti di controllo. La visita del megashow ha inizio con la visita agli appartamenti reali, per cosi dire, arredati con elegante semplicità, seguono i punti strategici per le foto ricordo di gruppo, con il logo di questo G8, le visite ai saloni galleria, dove sono esposti i tesori d’arte salvati dal museo situato nel forte Spagnolo. Assente il mammuth, che è rimasto a suo posto, perchè non ha subito danni ed è difficilmente trasportabile.
Particolarmente toccante la lunga serie di gigantografie definita dal Presidente del Consiglio, con discutibile leggerezza, “lista di nozze”. Sono 45 luoghi de L’ Aquila e dintorni, palazzi, chiese e monumenti mostrati prima come erano e poi come sono ridotti adesso. Francamente stringe il cuore vedere tanto sfacelo, tante macerie, offerte come corpi martoriati, agli illustri visitatori perchè decidano di partecipare alla ricostruzione con risorse materiali ed umane. E’ una specie di cancellazione di sentimenti di appartenenza, dell’annoso vissuto di migliaia di persone, della loro storia e della fitta trama di tutte le relazioni umane che lì si sono svolte per centinaia di anni, ora esposti semidistrutti al miglior offerente, insomma l’asta-mercato delle macerie, con il miraggio della ricostruzione.
E così L’Aquila e dintorni che hanno sempre mantenuto una sobria dignità lontana dagli eccessi e volgarità degli arricchiti recenti, uno stile di vita e dignitoso, direi nascosto, schivo di chiassosi palcoscenici e fragori mediatici, improvvisamente evacuata e svuotata dei suoi abitanti mandati in tende o in soggiorno obbligato a tempo indeterminato sulla costa est dopo una notte di terrore, è stata esposta agli occhi del mondo, distrutta, ed in polvere.
Particolarmente coinvolgenti le piattaforme per la simulazione dei terremoti, il cui funzionamento, che ha stranamente divertito molte persone che hanno vissuto la realtà, ha l’evidente scopo della promozione delle più recenti e sofisticate tecnologie di costruzioni antisismiche.
Oltre il megashow rimane il fatto che solo per fare una innocua ed innocente fotografia in piazza ci vuole il permesso del comando dei Vigili del Fuoco, i lavori sono incominciati solo nella metà delle zone previste per la ricostruzione, la gente comincia giustamente a protestare ed a mettere in dubbio tante promesse strombazzate ai quattro venti, nelle riunioni di condominio si apprende che bisogna pagare in proprio e per intero i lavori di ricostruzione di case A, B, C e D, in quanto i soldi disponibili per questo tipo di lavori sono solo la centesima parte del necessario.
Per terminare cito la nascita del gruppo Yes, We Camp, che ha un originale punto di vista, vede la forte, massiccia ed insistita presenza estranea a L’Aquila come una azione di colonizzazione da parte di poteri forti, e paragona l’invasione della città alla penetrazione dell’uomo bianco in territorio americano. Ed ecco il nuovo movimento: Aquilan Indian Movement, nato per denunciare la gestione scellerata del post-sisma, per smascherare le mancate promesse del Presidente del Consiglio, per affermare che tutti gli aquilani debbano tornare a l’Aquila, per constatare che si sono persi tre mesi, nessuna opera di ricostruzione, per il G8, per denunciare il processo di devastazione ambientale e sociale del territorio con la localizzazione del piano CASE. Un esempio di intelligente e consapevole dissenso, con la speranza che abbia la forza di diventare azione e fatti, nonostante tutto.