In tedesco Anschluss (letteralmente connessione, collegamento, inclusione) è per antonomasia l’annessione dell’Austria alla “Grande Germania”.
L’idea era sorta ai tempi di Bismarck, ma non era mai stata realizzata. Dopo la sconfitta degli Imperi centrali nella prima guerra mondiale, era stata esplicitamente vietata dai trattati di Versailles (18 gennaio del 1919) e di Saint Germain en Laye (10 settembre del 1919). Con specifico riferimento all’Austria, il 20 maggio del 1925, Benito Mussolini aveva esposto la linea politica italiana in un discorso tenuto al Senato: “L’Italia non potrebbe mai tollerare quella patente violazione dei trattati che consisterebbe nell’annessione dell’Austria alla Germania. La quale annessione, a mio avviso, frustrerebbe la vittoria italiana, aumenterebbe la potenza demografica e territoriale della Germania e darebbe questa situazione di paradosso: l’unica Nazione ad aumentare i suoi territori e la sua popolazione, facendo di se il blocco più potente nell’Europa centrale, sarebbe precisamente la Germania”.
Quando il montare in Germania della marea nazionalsocialista fece apparire evidente il pericolo che il divieto imposto all’Anschluss potesse essere scavalcato, fece la sua apparizione, con metodi di Governo radicali, la meteora austriaca Engelbert Dollfuss. Il servizio che egli cercò di rendere all’Occidente consisteva nel tentativo di incanalare verso sbocchi di piccolo patriottismo locale il fino allora dominante pangermanesimo del popolo viennese. Dollfuss mostrò di orientarsi verso soluzioni di tipo autoritario e corporativo ed esibì i suoi ottimi rapporti con Mussolini e col Vaticano per ingraziarsi gli elementi conservatori, i gruppi combattentistici e le forze sinceramente anti-democratiche del suo Paese. I nazionalsocialisti esigettero, però, di sottoporre il suo “patriottismo” alla cartina di tornasole dell’Anschluss: non esisteva infatti in Austria altro sentimento patriottico che non fosse quello tedesco. Il ristretto folclore del ducetto austriaco non superò l’esame. Il partito nazionalsocialista venne messo allora fuori legge. Ma la strategia di Dollfuss fu decisamente più vasta: seguirono, infatti, provvedimenti come la chiusura del Parlamento, la revoca della Costituzione e la soppressione dei restanti partiti democratici. Pochi mesi prima di perdere la vita in un tentativo di sollevazione nazionale, nel febbraio del 1934, il piccolo Millimetternich (così Dollfuss era soprannominato per la sua bassa statura) impiegò addirittura l’esercito e l’artiglieria per stanare i rivoltosi lavoratori viennesi arroccati nei loro quartieri.
Questo era il campione che le democrazie occidentali opponevano al nazionalsocialismo! Un uomo i cui emissari accettavano prestiti internazionali condizionati dalla rinnovata rinuncia all’Anschluss, un uomo che concordava con lo straniero le strategie da opporre alla dichiarata volontà dell’opinione pubblica del proprio Paese, quella di essere inglobati nel grande Reich tedesco. Alla lunga i suoi tentativi erano destinati a fallire. Era logico che la prima creatura di Versailles prossima a dissolversi fosse proprio l’Austria, in quanto in essa non vi era alcuna forza autenticamente popolare che ne desiderasse un’esistenza indipendente. I Governi che avevano via via dovuto piegarsi al volere dei vincitori e al divieto dell’Anschluss, non potevano godere, proprio per questo motivo, di alcun sostegno popolare. Mancò quindi da parte della Nazione austriaca qualsiasi resistenza al suo disgregarsi. La fine della Repubblica austriaca fu accolta da tutta la popolazione come il felice risveglio da un incubo. Con il plebiscito del 10 aprile del 1938 il popolo ebbe, per la prima volta dopo la sconfitta del 1918, l’opportunità di esprimere liberamente il proprio parere pro berlinese. Bisogna però precisare che circa 200.000 ebrei, 177.000 persone “di sangue misto” e tutti coloro che erano stati incarcerati per motivi politici o razziali furono privati del diritto di voto. La scelta, nell’Austria d’allora, non fu tra il nazismo e la democrazia, ma tra le prospettive pantedesche della politica di Hitler e un regime autoritario, bigotto, attratto da segrete nostalgie asburgiche e infeudato all’Italia di Mussolini.
Sul Web si legge: <<Austria 1934, è in carica un Governo clerico-fascista, molto vicino alle posizioni dell’Italia di Mussolini, presieduto dal Cancelliere federale tenente Engelbert Dollfuss che non disprezza metodi brutali e illegali. Il Paese è sull’orlo della guerra civile: da una parte le forze naziste, che in Germania stanno prendendo il potere, si sono sempre più infiltrate tra le fila dell’esercito e della polizia austriaca e dal 1930 sono inquadrate nella Deutsch Soldatenbund, un’organizzazione vicina alle SA tedesche, posta agli ordini di Glass, Holzweber, Planetta e Domes. Per opporsi ai nazisti e ai socialisti, anche quest’ultimi organizzati paramilitarmente nella Schutzbund, lo stesso Dollfuss non esita a ricorrere a squadracce, inquadrate nella Heimwehr, per compiere azioni di disturbo dell’ordine pubblico al fine di giustificare una deriva autoritaria del Paese. In questo clima fioriscono gli atti di terrorismo e la risposta del Governo Dollfuss è sempre più autoritaria: nel 1933 vengono annullate le elezioni; nel marzo 1934 alcuni partiti (tra cui il partito nazista) vengono posti fuori legge; il 30 aprile del 1934 viene abrogata e sostituita, per decreto, la Costituzione; l’11 giugno 1934 viene emanata una legge che imbriglia la libertà di stampa, due giorni dopo vengono predisposte le corti marziali per chiunque detenga materiale esplosivo. In questo clima riprende vigore l’idea di un colpo di Stato filonazista, dopo il tentativo abortito dell’ottobre del 1933>> (Engelbert Dollfuss. duebalordi.splinder.com. Reperibile per via telematica).
<<Dollfuss riteneva che per rifondare lo Stato e la società era necessario rifondare l’ordine morale, ristabilendo Cristo come Re della Nazione, secondo la restaurazione della dottrina sociale della Chiesa. E Dollfuss non era inebetito dai surrettizi laicismi che resero insignificanti e talora dannosi i democristiani di ogni nazionalità: solo il cattolicesimo avrebbe permesso la rigenerazione morale degli austriaci demoralizzati dalla sconfitta bellica, dalla disintegrazione operata dalla lotta di classe e dalla corruzione partitocratrica. Ecco le sue parole: “Colla rivoluzione francese il materialismo e il liberalismo divennero la parola d’ordine del secolo. Il concetto dell’uomo integrale andò perduto, un brutale egoismo investì la società tutta. La gente non si sentì più unita e ognuno, brutalmente, prese ad approfittare di tutte le occasioni per sfruttare gli altri. Così ebbe inizio, dall’alto, la lotta di classe; soltanto in seguito si sviluppò la coscienza di classe negli operai sfruttati. L’operaio non si sentì più legato alla sua officina, né al padrone, ma in quest’ultimo prese a vedere il nemico”>>.
<<Il 7 Luglio del 1934 a Mariazell aggiunse: “Nonostante la Costituzione cristiana, il Concordato e le belle manifestazioni, non siamo ancora diventati uno Stato cristiano. Dobbiamo dimostrare che vogliamo essere veri buoni cristiani. Da ciò deriva che per ciascuno il duro, bello e umano dovere di convertire, ciascuno nella cerchia di attività che gli è propria, prima se stesso e poi la propria famiglia, nello spirito della Chiesa, è l’opera primaria!”. A Vienna specificò meglio: “Noi non dobbiamo essere uno Stato cristiano soltanto secondo le forme esteriori e secondo la Costituzione, ma dobbiamo giustificare questo titolo d’onore con la nostra condotta interiore. Noi vogliamo restaurare i principi cristiani nella vita pubblica: a questo scopo abbiamo stipulato il Concordato con la Santa Sede. La mia capacità di governare l’ho appresa dal catechismo. Nella nostra Patria noi vogliamo rinnovare lo spirito nello stesso simbolo nel quale, 250 anni or sono, l’Occidente cristiano fu liberato dal giogo turco: nel segno della Croce di Cristo. La fede che allora animò il nostro popolo è stata custodita intatta nei nostri cuori quale retaggio prezioso dei nostri avi. Il nostro popolo divenne grande e forte soltanto quando abbracciò il cristianesimo. Anche per l’avvenire noi ci sforzeremo di guidare il popolo secondo le leggi cristiane”>> (M. Castagna. Engelbert Dollfuss, l’esempio di uno statista veramente cattolico! Goups.google.com. Reperibile per via telematica). A ben guardare, Dollfuss, il cattolico, predicava bene, ma, autoritario com’era, razzolava male.
<<Il 1938 lo ricorderemo sempre con una punta di rabbia, con il rimpianto delle occasioni perdute. E’ l’anno di Monaco, della grande rassegnazione pudicamente battezzata “appeasement” (pace in cambio di concessioni, ndr), delle elargizioni a Hitler nell’illusione di appagarlo, dell’aggressività tedesca, dell’acquiescenza italiana, della passività britannica. Sotto un cielo immacolato, sereno, di un colore pasquale, la Germania inghiotte l’Austria. Il 12 marzo la Wehrmacht attraversa la frontiera, il 13 l’annessione diventa effettiva e la svastica sventola su Vienna. Hitler cancella una Nazione e porta i confini della grande Germania al Brennero. Invano il Governo austriaco ha cercato l’appoggio del duce: Mussolini non è più l’uomo del ‘34, quello che aveva garantito l’indipendenza austriaca. Soprattutto Hitler non è più quello di allora. L’Austria è rimasta sola e sarà ridotta a una provincia tedesca, con il nazista Arthur Seyss-Inquart come Governatore>>.
<<L’austriaco di Braunau (A. Hitler, ndr), il 13 marzo, torna nel suo Paese da padrone, fra incredibili manifestazioni di gioia. I gerarchi nazisti, stupiti, chiamano l’annessione la “guerra dei fiori”. L’esercito austriaco non oppone resistenza e trecentomila viennesi inneggiano al Fuhrer, il 15, nella grande parata sul Ring, fra bandiere, musiche, canti e lanci di fiori. “Non sono venuto come un tiranno, urla Hitler nella Piazza degli Eroi, ma come un liberatore”. La gente, elettrizzata, è con lui: non percepisce che quell’uomo è pericoloso e che, di azzardo in azzardo, porterà il Reich tedesco alla disfatta>>.
<<La Germania incorpora senza colpo ferire sette milioni di uomini, l’Austria diventa la Marca orientale e sul tavolo della storia nulla per Hitler è più vietato. L’intellighenzia viennese, cui tanto deve la cultura contemporanea, è colpita duramente. Settantamila persone sono arrestate in pochi giorni e fra gli ebrei austriaci serpeggia, nascosto e tragico, il brivido del suicidio. La diaspora si sparge nel mondo, subito, prima che sia troppo tardi. Il Paese spalanca le porte al Fuhrer ma le sue teste migliori se ne vanno: Sigmund Freud, Karl Popper, Arnold Schoenberg, Fritz Lang, Otto Preminger>>.
<<L’Austria muore e Hitler tira diritto. Avanzerà senza pudore, strappando a una a una come a un carciofo le foglie dell’Europa. “I nostri avversari, dice, non chiedono che di coltivare i loro fiori, pescare con la lenza e passare le serate accanto al fuoco. Loro riflettono, noi agiamo”. Dopo l’Austria, toccherà alla Cecoslovacchia. Nell’estate del 1939 la parola Danzica rimbalzerà di bocca in bocca. E Hitler, invadendo la Polonia, innescherà la miccia che farà bruciare il mondo>> (M. Innocenti. Il 12 marzo 1938. L’annessione dell’Austria al terzo Reich. historiaeblog.blogspot.com. Reperibile per via telematica). Dopo essere entrato a Vienna, il primo pensiero del Fuhrer è stato quello di andare a scovare i suoi ex professori. Tutti coloro che lo avevano bollato agli studi dell’Accademia, dandogli del “mediocre”, o quelli che l’avevano volgarmente disprezzato e trattato come un pezzente. Furono ostracizzati persino i singoli negozianti che gli avevano rifiutato un lavoro quando faceva il barbone. Fece loro intorno terra bruciata e li osteggiò affinché perdessero l’impiego ed anche la casa. Di alcuni non si seppe mai che fine abbiano realmente fatto.
La macchina propagandistica a favore dell’Anschluss fu mastodontica. Manifesti, bandiere e striscioni in tutta l’Austria: 200.000 ritratti di Hitler soltanto a Vienna. Martellante la propaganda per il sì sui giornali e la radio (la televisione non c’era ancora): quella per il no non era formalmente proibita, ma semplicemente non aveva spazio sui media. Persino l’annullo postale in quei giorni riportava la frase: “Am 10. April dem Fuhrer Dein Ja” (“Il 10 aprile il tuo sì al Fuhrer”). Nelle dichiarazioni di voto brillò particolarmente la gerarchia cattolica. Il cardinale Theodor Innitzer si dichiarò pubblicamente a favore dell’annessione e siglò una dichiarazione dei vescovi austriaci con il motto Heil Hitler. La cosa più (tragicamente) comica fu la scheda elettorale. Il testo da del “tu” all’elettore e combina due quesiti in uno (“Sei d’accordo con la riunificazione dell’Austria con il Reich tedesco avvenuta il 13 marzo 1938 e voti per la lista del nostro Fuhrer Adolf Hitler?”). La casella del sì era centrale ed enorme, quella del no era situata in basso a destra ed era ben più piccola. La piazza degli eroi (Heldenplatz) fu il simbolo dell’Anschluss. E’ stato su questa vasta spianata di fronte alla Hofburg, il palazzo imperiale ora sede della presidenza della Repubblica, che Adolf Hitler, austriaco, pronunciò uno storico discorso dopo essere stato acclamato da una folla di 200 mila persone: “In qualità di Fuhrer e Cancelliere della Nazione tedesca e del Reich, annuncio davanti alla storia l’entrata della mia Patria nel Reich tedesco” (Nella piazza degli Eroi il simbolo dell’Anschluss. Corriere della Sera, 20 Febbraio, 2000). Nelle sei settimane successive sarebbero stati arrestati 76 mila austriaci di cui la maggior parte fu spedita nei campi di concentramento. Alla fine della seconda guerra mondiale, dei 200 mila ebrei che abitavano nel Paese ne sarebbero rimasti solo 8 mila.
“Il mio ricordo più infelice è quando vivevo in mezzo a questa gente felice”, seguitò a ripetere Hitler, mentre ora tutti l’acclamavano e l’applaudivano come se fosse il Salvatore. A Braunau, dov’era nato, andò a togliere il confine di persona, tronfio, appagato, osannato e divinizzato. Mussolini non approvò l’Anschluss. Forse questa sconfitta degli austriaci era l’unica soddisfazione che si prese il leader fascista, evocando quanto gli era accaduto nel suo soggiorno a Trento (1909) dove, umiliato, era stato ospite nella patrie galere del Kaiser con un’accusa infamante (sovversivismo). Dopo aver accettato passivamente l’annessione dell’Austria alla Germania, il capo del fascismo s’impegnò con l’Inghilterra a ritirare ufficialmente le truppe fasciste dalla Spagna (che erano giunte a 50.000 unità) e gli inglesi riconobbero all’Italia la definitiva annessione dell’Etiopia. Lo stesso atteggiamento assunse la Francia. Inspiegabilmente davanti ai fatti austriaci che sancirono la preoccupante volontà espansionista di Hitler, troviamo i due Paesi quasi sulle stesse posizioni di Mussolini. Risultato: le due potenze vanno ad assecondare le velleità del Fuhrer che naturalmente ora pensa già ad altro: all’incorporazione della Cecoslovacchia. L’Europa si interroga preoccupata. Gli inglesi mobilitano la loro flotta. C’è una vibrante tensione di nervi in alcuni capi di Stato, grande arroganza in altri. Ma non è nient’altro che un ipocrita atteggiamento davanti all’opinione pubblica perplessa.
Si legge nel Diario di Ciano: <<Quando Hitler aveva occupato l’Austria, ne aveva dato comunicazione a Mussolini soltanto a cose fatte. Un sistema che poi avrebbe adottato per tutte le sue altre imprese. L’ingordigia di Hitler non aveva più freni. Il 15 marzo del 1939 ingoiò sotto diverse forme tutta la Cecoslovacchia. Il 7 maggio l’Italia e la Germania firmavano il Patto d’Acciaio, una vera e propria bomba a orologeria con la miccia all’articolo tre: “Se malgrado i desideri e le speranze delle parti contraenti dovesse accadere che una di esse venisse impegnata in complicazioni belliche con un’altra o altre potenze, l’altra parte contraente si porrà immediatamente come alleato al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari per terra, per mare e nell’aria”>> (G. Ciano. Diario 1937-1938. Cappelli, 1948). Non sapremo mai che accordi furono stipulati sotto banco tra Hitler e le democrazie occidentali.
Nel 1933, quando andò al potere, Adolf Hitler orientò la Germania in tre direzioni. Rilanciare l’economia fiaccata dal vergognoso trattato di Versailles, ricostruire l’esercito che il trattato aveva limitato a 100.000 unità, riunire i tedeschi che il trattato aveva disperso in vari Paesi europei. L’economia riprese con il rilancio delle spese militari, l’esercito venne formato da 100.000 ufficiali, molti tedeschi rientrarono entro i confini germanici. Quando venne il momento di annettersi l’Austria, il dittatore nazista, trovò un ostacolo imprevisto e praticamente insormontabile: Benito Mussolini, il duce del fascismo italiano.
Il focoso romagnolo aveva rilanciato l’Italia, alimentando il “mito del fascismo”. A quel modello si era ispirato Hitler nella propria ascesa politica verso il cancellierato. Non si sarebbe, quindi, mai messo contro l’amico-maestro di Roma. E quando Hitler parlò per la prima volta di Austria, Mussolini aveva immediatamente mobilitato quattro divisioni e le aveva mandate al confine italiano con la Repubblica austriaca. Messaggio chiaro e forte che Hitler comprese perfettamente. Nel 1938 l’Anschluss venne favorito dagli appelli demagogici di Adolf Hitler ai nazisti austriaci. Costoro agirono quasi totalmente indisturbati, istituendo un “regno del terrore” che peggiorò dopo le elezioni vittoriose dell’aprile del 1932. Nel 1938 gran parte degli austriaci erano stanchi dello Ständestaat, lo Stato corporativo, un regime fin dall’inizio autoritario, ma non sostenuto dalla maggioranza della popolazione. Molti, preoccupati per la crisi economica, volgevano lo sguardo verso la Germania dove Hitler aveva creato posti di lavoro e un benessere piuttosto diffuso.
Mussolini non era certamente uno sprovveduto. Non voleva che un Paese grande e potente come la Germania portasse i propri confini a ridosso dei nostri. Sicuramente prima o poi avrebbe messo gli occhi sui tedeschi del Sud Tirolo…E dato che il Cancelliere di Vienna era un fascista amico personale del Duce, non aveva perso un solo minuto per mostrare i muscoli a Hitler. L’amico si chiamava Engelbert Dollfuss. Costui era nato a Texing il 4 ottobre del 1892 (morirà a Vienna il 25 luglio del 1934). E’ stato Cancelliere d’Austria durante l’austro-fascismo. Piccolo proprietario terriero, Dollfuss era entrato in politica dopo la sconfitta austriaca nella prima guerra mondiale a cui era conseguita la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico.
Di formazione cattolica, era stato uno dei maggiori esponenti del Partito Cristiano-Sociale che era in decisa opposizione al Movimento Social-Democratico. Le sue concezioni politiche non erano contrarie all’autoritarismo, al quale improntò la sua azione di Governo una volta raggiunta, nel 1932, la Cancelleria. Dopo aver stroncato con una dura e sanguinosa repressione la rivolta dei quartieri operai di Vienna, aveva orientato la propria politica ad assomiglianza di quella italiana (condotta da Mussolini). Ovviamente era fortemente contrario alla crescente ingerenza nazista che stava sviluppandosi in Austria per la semplice ragione che in una Nazione tedesca non ci sarebbe stato posto per due leader. Gli storici non attribuiscono al Cancelliere Dollfuss il ruolo di grande uomo politico, considerandolo anzi personaggio debole e fisicamente limitato (a Vienna, come sappiamo, lo chiamano Millimetternich) ed affermano che senza Mussolini non sarebbe mai arrivato alla Cancelleria. Comunque sia, il duce userà il Cancelliere per contrastare la pressione del partito socialista austriaco e quelle del nazionalsocialismo che erano favorevoli all’annessione dell’Austria alla Germania nazista.
I contatti fra i due statisti furono frequentissimi. Nell’aprile del 1933 Mussolini si reca a Vienna e induce Dollfuss a formare il Fronte Patriottico, una falange fascista al di sopra dei partiti. Nella seconda metà dell’anno i contatti fra Mussolini e Dollfuss saranno ancora più frequenti. Alla fine di giugno del 1933 Dollfuss, in seguito all’acutizzarsi della tensione con i nazisti, si reca a Roma per conferire con il duce. Successivamente, una lettera del capo fascista lo rassicura che qualsiasi cosa possa avvenire, l’aiuto italiano non verrà mai a mancare. Ma il 19 agosto Dollfuss è nuovamente in Italia, precisamente a Riccione. Ha un primo colloquio con il capo del fascismo nell’appartamento del Grand Hotel dove soggiorna. Mussolini da al Cancelliere austriaco precise direttive. Il duce era entrato minutamente negli affari austriaci perché voleva contrastare il progetto nazista dell’Anschluss, essendo ancora molto diffidente nei riguardi del movimento tedesco e del suo capo Adolf Hitler. Con l’avvento di quest’ultimo al potere in Germania, avvenuta in quel periodo, la posizione del Cancelliere austriaco si fece sempre più difficile. Come sappiamo, Dollfuss mise in atto i suggerimenti di Mussolini, istituendo un regime autoritario e mettendo fine al parlamentarismo, cioè instaurando l’orientamento ufficiale dell’Italia fascista. Ma se l’ostacolo all’Anschluss era Dollfuss, non restava che un’unica soluzione.
Il 25 luglio dell’anno successivo, Dollfuss stava presiedendo il Consiglio dei Ministri. Ad un tratto un corteo di automobili entrò nella sede della Cancelleria. A bordo vi erano uomini che indossavano la divisa dell’esercito austriaco. Dollfuss pensò che i nuovi arrivati fossero i rinforzi della guardia. Si trattava invece, dei congiurati: 154 uomini che occuparono facilmente il palazzo. Colpito al collo, Dollfuss chiese un prete, un medico e pregò di avvertire Mussolini affinché potesse prendersi cura della moglie e dei figli (che grazie a Dio erano in Romagna). I nazisti lo schernivano deridendolo. Alcuni di loro s’impadronirono della stazione radio e annunciarono le dimissioni di Dollfuss morente.
Nessun medico lo soccorse. Nonostante la morte di Dollfuss, il moto golpista fallì.
Alle prime notizie, Hitler esultò, ma immediatamente declinò ogni responsabilità circa l’accaduto. Sostituì l’ambasciatore a Vienna con Franz von Papen e impedì ai congiurati, che dopo la sconfitta avevano ripiegato verso il confine tedesco, di entrare in Germania. Mussolini non ebbe esitazioni nell’attribuire l’attentato al dittatore nazista. La notizia lo raggiunse a Cesena dove stava esaminando i progetti per un ospedale psichiatrico. Il Duce diede personalmente l’annuncio alla vedova che come abbiamo detto si trovava sull’Adriatico con i figli piccolini. Partì quindi in aereo per Vienna e ordinò che quattro divisioni raggiungessero il Brennero (“l’Italia vigila con l’arma al piede», fece intitolare i giornali). “L’indipendenza dell’Austria per la quale egli (Dollfuss) è caduto, dichiara Mussolini, è un principio che è stato difeso e sarà difeso dall’Italia ancora più strenuamente”. Poi annunciò al mondo (a Hitler) che “L’Austria non si tocca”. Per rabbia fece sostituire nella piazza di Bolzano la statua di un trovatore germanico con quella di Druso. E’ questo il momento di maggior attrito tra il fascismo ed il nazionalsocialismo. Lo stesso Mussolini scese più volte in campo per ribadirne le differenze.
A Dollfuss succede Kurt von Schuschnigg. Kurt Alois von Schuschnigg era nato a Riva del Garda, il 14 dicembre del 1897 (morirà a Mutters il 18 novembre del 1977), da una famiglia nobile. Partecipò alla prima guerra mondiale e giovanissimo si iscrisse al Partito Cristiano Sociale d’Austria. Nel 1922 divenne avvocato a Innsbruck e fu Ministro della Giustizia dal 1932 al 1934 nel Governo di Engelbert Dollfuss al quale successe dopo la sua morte, restando Cancelliere federale fino al 1938. Nel 1936 un patto sottoscritto con la Germania riconoscerà l’indipendenza dell’Austria, ma la Nazione si dovrà comportare, in politica estera, come uno Stato tedesco. Agli inizi del 1938 Kurt Schuschnigg sposò la ricchissima Vera Fugger. La serenità durò poco dato che quello stesso 12 marzo Adolf Hitler, alla testa delle truppe naziste, invase l’Austria. L’annessione venne dichiarata il giorno successivo e Schuschnigg, nonostante non fosse un vero e proprio anti-nazista, venne perseguitato perché cercò in tutti i modi di difendere l’indipendenza del proprio Paese. Gli austriaci giubilanti speravano in un miglioramento della loro situazione economica e si rallegravano del fatto che l’annessione non avesse comportato spargimenti di sangue. Nella potenza tedesca essi vedevano anche l’occasione per un riscatto dall’umiliazione subita in seguito alla sconfitta del 1918. Infine i non pochi anti-semiti austriaci scorgevano la possibilità concreta, e di fatto già in molti vergognosi episodi attuata, di estrinsecare liberamente il loro sentire xenofobo.
A differenza di quanto accadde nel 1934, questa volta Benito Mussolini non intervenne in aiuto dell’Austria. Erano accadute molte cose nel frattempo. Il duce aveva continuato ad aiutare sul piano personale la famiglia del povero Dollfuss, ma nel 1935 si era impegnato nella guerra d’Etiopia e successivamente in quella civile Spagnola, inimicandosi Francia e Inghilterra e trovandosi così costretto, suo malgrado, ad avvicinarsi al Fuhrer. La situazione venne colta al volo da Hilter che non perse un solo attimo per annettersi l’Austria. Schuschnigg, allora, in un ultimo tentativo, cercò d’indire un referendum per bloccare le mire di Hitler, ma la Wehrmacht invase prontamente la sua Patria. Mussolini manderà giù il rospo e dirà pragmaticamente a Ciano: “Dalla carta geografica d’Europa è stata eliminata un’ambiguità”. Disse inoltre: “Quando un evento è fatale deve verificarsi è meglio che si verifichi con te , o senza di te, piuttosto che contro di te”.
Finalmente Hitler era libero di risolvere la faccenda rimasta in sospeso con il suo Paese di nascita. Il 12 febbraio del 1938 invitò il cancelliere austriaco Kurt von Schuschnigg al suo rifugio di montagna di Berchtsgaden, a sud-est di Monaco. Lì lo sottopose ad una diatriba di due ore, avanzando le sue pretese che nel Governo austriaco venisse incluso un gruppo di nazisti e che tutti i suoi epigoni fossero rilasciati dalle carceri in cui erano stati rinchiusi. Poi presentò un ultimatum: Schuschnigg doveva firmare un accordo, che era già stato redatto, con il quale si accettavano le richieste di Hitler. Se non avesse firmato, la questione sarebbe stata risolta con la forza. “Rifletteteci, Herr Schuschnigg, rifletteteci bene, Aspetterò solo fino a oggi pomeriggio. E farete meglio a prendere le mie parole per buone. Non ho l’abitudine di bluffare e il mio passato lo dimostra”. Dopo averci riflettuto, l’intimidito Schuschnigg firmò. Tuttavia, tornato a Vienna, il suo coraggio si risvegliò e, come anzi detto, indisse un plebiscito popolare per stabilire se, o meno, l’Austria dovesse restare indipendente. Fuori di sé, Hitler gli intimò di revocare subito il plebiscito, pena l’invasione. Schuschnigg capitolò e poi si dimise. Il suo successore provvisorio il Ministro degli Interni Arthur Seyss-Inquart, informatore nazista alle dipendenze di Berlino, prontamente sollecitò l’invasione tedesca per “ripristinare l’ordine”. Prima di agire, però, Hitler si preoccupò di chiarire la sua decisione con Mussolini che nulla eccepì al riguardo.
Hitler entrò trionfante alla città dove tanto tempo prima moriva di fame all’ombra dei monumenti che si divertiva malamente a dipingere. Un mese dopo, con un plebiscito, il 99,75 per cento degli austriaci approvarono l’Anschluss. Iniziò la repressione contro gli anarchici, contro i socialisti, contro i comunisti, mentre la popolazione ebraica veniva umiliata pubblicamente. Schuschnigg fu mandato, per punizione, in un campo di concentramento.
Anche questa volta nessun Paese si mosse. Così come aveva fatto per la Renania, Hitler, mentre pubblicamente affermava il suo impegno per la pace, fidando sulla riluttanza degli altre Nazioni ad arrivare alla violenza, prese tutto quello che voleva lui senza colpo ferire. Il primo sulla lista dei suoi tanti propositi era stato conseguito senza che fosse stata sparata una sola fucilata. Da quel momento cominciò a dedicarsi al suo prossimo obiettivo. Durante il volo di ritorno da Vienna, Hitler mostrò al suo capo di Stato Maggiore Wilhelm Keitel un ritaglio di giornale. Era una carta muta delle nuove frontiere del Reich. Esse circondavano la Cecoslovacchia su tre lati. Poggiò la mano sinistra sulla carta, posando l’indice e il pollice sulle frontiere cecoslovacche. Fece l’occhietto a Keitel e strinse le due dita.