LA GRANDESTORIA : Il Patto d’Acciaio italo-tedesco (22 maggio 1939)

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Pacta sunt servanda

(Benito Mussolini)

Una volta salito al potere Hitler dimostrò apertamente la sua volontà di attuare una politica estera aggressiva basata sulla teoria dello spazio vitale. In Germania l’adesione all’espansionismo bellicista hitleriano fu altissima.

 La conferenza tra Inghilterra, Francia e Italia (Stresa, 1935), volta a contrastare le mire del Fuhrer, non ebbe alcun seguito diplomatico. Con la guerra d’Etiopia, l’Italia di Mussolini perseguiva una politica imperialista simile a quella del dittatore nazista. Le ideologie del fascismo e del nazismo, inoltre, erano in parte simili. Era quindi prevedibile una probabile alleanza tra le due Nazioni. Il 24 ottobre del 1936 nacque l’Asse Roma-Berlino. Le due potenze, Italia e Germania, si impegnavano nella loro lotta contro il bolscevismo e a sostegno dei militari spagnoli che si erano ribellati al Governo democratico e che ubbidivano agli ordini del generalissimo Francisco Franco.

La Germania strinse poi con il Giappone il patto anti-comintern in funzione anti-sovietica (1936). L’anno dopo vi aderì anche l’Italia. Si era così creato l’Asse Roma-Berlino-Tokyo, uno degli schieramenti della seconda guerra mondiale. Subito dopo la conquista dell’Etiopia (1935-36), il fascismo assumeva connotati “imperiali” e il duce cominciava a sentirsi attratto dalle idee dell’ “imbianchino austriaco” che a Berlino stava fondando il “Reich millenario”. Il 23 ottobre del 1936 si compiva, con i protocolli Ciano-Ribbentrop, il primo passo dell’avvicinamento italo-tedesco. Mussolini si recò in visita a Berlino dove fu accolto da manifestazioni e sfilate che lusingarono a dismisura la sua vanità. Si convinse, pertanto, che l’alleanza con Hitler doveva essere la più stretta possibile.

L’abbraccio di Mussolini con il nazismo non era inevitabile. Dipese soprattutto dall’isolamento internazionale del fascismo dopo la guerra d’Etiopia. Di fronte all’ostilità di Francia ed Inghilterra, l’unico alleato disponibile diventava Hitler, anche se tra i due uomini non c’erano grosse affinità caratteriali. Il duce, infatti, dopo il loro primo incontro a Venezia, nel 1934, ebbe un’impressione molto sgradevole del Fuhrer. Hitler aveva capito come sedurre Mussolini. Lo dimostra il citato viaggio in Germania del 1937 dove tutta la messinscena venne fatta per impressionare il capo fascista e per colpire il suo orgoglio ed il suo nazionalismo. Il leader del fascismo fu soggiogato da come il dittatore tedesco riusciva a controllare le masse. Iniziò così a subire il fascino di un uomo che non gli piaceva e che per di più non perderà occasione per umiliarlo. Mussolini tenterà di applicare in Italia i metodi del Fuhrer, spingendosi fino alla proclamazione delle leggi razziali. Nel nostro Paese c’erano solo 50.000 ebrei. Molti di loro erano dei fascisti convinti. La politica anti-semita, mossa inevitabile secondo Renzo De Felice, fu decisamente un regalo inestimabile fatto dal duce ad Hitler.

Dopo l’annessione dell’Austria (marzo del 1938), per aprirsi la strada verso l’Europa orientale, Hitler cercò di annettersi i Sudeti, una ricca regione della Cecoslovacchia.  Il Governo di Praga propose diversi compromessi che non furono accettati dal dittatore tedesco. Per risolvere la questione fu convocata la conferenza di Monaco (Italia, Germania, Gran Bretagna e Francia, settembre del 1938). Mussolini appoggiò Hitler nelle sue rivendicazioni. Venne decisa l’incorporazione dei Sudeti alla Germania dietro la promessa hitleriana di garantire l’indipendenza del resto del Paese. La conferenza non rappresentò l’inizio della pace, ma sanzionò la volontà di Hitler di imporre la propria politica guerrafondaia. In poco tempo la Germania occupò Praga e conquistò il resto della Cecoslovacchia. Per manifestare la sua autonomia, Mussolini, consapevole di quanto l’Asse fosse dipendente dalla Germania, occupò l’Albania (1939).

Da quel momento, i successivi rapporti tra l’Italia fascista e la Germania nazista si fecero sempre più serrati. Il Patto d’Acciaio è il risultato di numerosi incontri, avvenuti a partire dal 1933 (anno d’insediamento di Hitler al potere), fra il Fuhrer e Mussolini e fra i loro Ministri degli Esteri e della Difesa. Il 25 marzo del 1939 il dittatore nazista scriveva al collega fascista, sollecitando un’alleanza militare. L’ultima accelerazione fu data da Mussolini nell’aprile del 1939, ad un anno esatto dall’incontro romano tra Hitler ed il duce, allorché il capo del fascismo ordinò a Galeazzo Ciano, che era a Milano con Joachim von Ribbentrop (Ministro degli Esteri tedesco), di redigere un trattato di alleanza fra i due Paesi. Il suggello risolutivo ed ufficiale fu messo a Berlino il 22 maggio del 1939. Tre mesi dopo scoppierà la seconda guerra mondiale con l’invasione nazista della Polonia. Anche il pontefice Pio XII non criticò l’alleanza con la Germania. Con essa sperava di migliorare le relazioni per una più efficace tutela dei cattolici dell’est europeo. Nel contempo criticava l’Unione Sovietica che, alla fine di novembre del 1939, aveva iniziato l’invasione della Finlandia. Il Papa esternava i suoi timori per il Baltico che sarebbe potuto diventare un lago russo e per una guerra che avrebbe potuto significare la fine dell’Europa cristiana (S. Romano. Quell’incontro del 1940 tra Pio XII e Ribbentrop. Corriere della Sera, 2 Settembre, 2006).

 Inquadrando perfettamente il contesto storico e le conseguenze del Patto d’Acciaio italo-tedesco, Antonio Ciarrapico ha affermato (Il mito della guerra parallela. Nuova Storia Contemporanea, n° 1, Gennaio-Febbraio, 2009): “Il capo del Governo fascista italiano era stato colto di sorpresa dal precipitare degli eventi che avevano condotto al secondo conflitto mondiale. La sua prima reazione, nonostante l’imbarazzo mostrato verso l’alleato, era stata senz’altro negativa. Egli non intendeva venir trascinato in una guerra il cui esito gli appariva pur sempre molto incerto, malgrado la probabile superiorità della macchina bellica tedesca. Ma indipendentemente dai rischi che l’intervento comportava, si rendeva conto che l’Italia, già provata dallo sforzo compiuto negli anni precedenti in Africa e in Spagna, non era militarmente, né spiritualmente preparata alla guerra”.

Il Patto venne definito d’Acciaio da Mussolini per sottolineare la forza di un legame politico e militare che doveva essere decennale. Dopo l’Asse Roma-Berlino, la sigla dell’accordo fu il vincolo definitivo che legava indissolubilmente il duce alla Germania. Ma nessuno rivelò che il Patto conteneva clausole segrete che subordinavano l’Italia e il suo territorio alla potenza delle forze armate tedesche. E fu proprio grazie a queste clausole che il comando supremo germanico poté poi predisporre un piano di controllo dei centri nevralgici e strategici italiani destinato a mostrare tutta la sua efficienza dopo il voltafaccia sabaudo-badogliano dell’8 settembre del 1943.

<<Il 15 marzo del 1939 Hermann Goering giunse a Roma e presentò subito a Mussolini l’interrogativo di quando sarebbe dovuta iniziare la guerra. Mussolini rispose che l’Italia non poteva essere pronta prima del 1942-43 e Goering assicurò che prima di quella data neanche la Germania sarebbe stata in grado di attaccare. Ma ecco l’inganno: “Goering già sapeva che l’ordine d’attacco era stato fissato per il prossimo autunno”. Dopo questa serie di assicurazioni Mussolini confidò, quasi religiosamente, su alcuni anni di pace. Avendo avuto da Bernardo Attolico (Ambasciatore italiano a Berlino) un rapporto allarmante che denunciava come imminente un attacco tedesco contro la Polonia, il duce chiese al suo Ambasciatore di accelerare un incontro tra Ciano e Ribbentrop per pretendere ulteriori garanzie. “I due Ministri degli Esteri si incontrarono a Milano il 6 maggio. Ciano era arrivato con disposizioni scritte di Mussolini il quale intendeva far capire ai tedeschi che l’Italia desiderava evitare una guerra per almeno altri tre anni. Con sorpresa di Ciano, il Ministro tedesco dichiarò che anche la Germania desiderava mantenere la pace per un uguale periodo di tempo”>>.

<<Facendo leva su queste garanzie offerte al suo collega, Ribbentrop ripresentò la necessità di un Patto militare. Ciano telefonò a Mussolini l’esito dell’incontro e lo informò delle garanzie avute da Ribbentrop (che poi erano la conferma di quanto Goering aveva già assicurato il marzo precedente): “la Germania è convinta della necessità di un periodo di pace non inferiore a quattro o cinque anni”. Dal Diario di Ciano risulta evidente che la preoccupazione degli italiani era quella di non essere colti di sorpresa di fronte al fatto compiuto. E questa certezza si riteneva di poterla raggiungere solo stipulando con la Germania un patto formale. A questo punto, confidando su quelle assicurazioni e considerando che, a seguito dell’alleanza e protezione offerta alla Polonia da Francia e Inghilterra, l’Italia non poteva rimanere isolata nel contesto europeo, Mussolini autorizzò il genero ad accettare la proposta tedesca di un’alleanza militare tante volte ventilata e mai concretizzata. Si volevano minimizzare i rischi, si ottenne solo di massimizzare i danni. Vittorio Emanuele III, in quell’occasione, fece consegnare, a mezzo di Ciano, il Collare dell’Annunziata a Ribbentrop e, in risposta ad un messaggio ricevuto da Hitler, così si espresse rivolgendosi al Fuhrer: “Adolfo Hitler, Fuhrer e Cancelliere del Reich, Berlino. In occasione della firma del Patto che viene oggi concluso dai nostri due Governi, mi è grato inviarVi le espressioni dei miei cordiali sentimenti di alleato e di amico, insieme ai voti più sinceri per la Vostra persona e per la prosperità e grandezza del Vostro Paese legato all’Italia da un saldo vincolo e da una profonda comunanza di interessi e di propositi. Firmato: Vittorio Emanuele III, Re d’Italia e d’Albania ed Imperatore d’Etiopia”>>.

<<Mussolini autorizzò Ciano a sottoscrivere il Patto militare solo dopo aver avuto l’assicurazione che anche l’altra parte contraente “desiderava mantenere la pace per un uguale periodo di tempo (almeno tre anni, ndr)”.  A meno di 24 ore dalla firma del Patto, Hitler convocò nella Cancelleria i maggiori esponenti militari, impegnandoli a studiare un piano d’attacco contro la Polonia, contravvenendo nello spirito l’articolo 2 del Patto (vedi dopo, ndr). Il Governo italiano non fu assolutamente informato né degli studi d’attacco, né, addirittura, dell’inizio delle operazioni belliche. Veniva così violato in pieno, nella sostanza, quanto nel Patto era previsto. Questo fu un inganno (parente stretto del tradimento) che portò l’Italia alla rovina e nella sua rovina trascinò anche l’altra parte contraente>>. 

<<L’addetto militare italiano a Berlino, il generale Mario Roatta, osservati i preparativi bellici tedeschi, mise a punto e inviò a Roma un dettagliato e incredibilmente preciso rapporto sulla situazione.  Fra l’altro riferì che a seguito di un suo incontro con l’ammiraglio Wilhelm Canaris, questi gli avrebbe dichiarato che a suo giudizio, qualora la Germania avesse scatenato la guerra senza consultare il suo alleato, l’Italia non era obbligata ad entrare nel conflitto.  Questo rapporto non fece che allarmare ancor più il Governo italiano e, per evitare nuovi colpi di testa, il 30 maggio Mussolini incaricò il generale Ugo Cavallero di recarsi da Hitler a Berlino ribadendo, in un memoriale, l’impreparazione militare dell’Italia e l’assoluta necessità di mantener fede alla data stabilita per l’inizio di qualsiasi attività bellica. Hitler si mostrò comprensivo, si disse d’accordo sulle considerazioni di Mussolini ed espresse il desiderio di incontrarlo quanto prima per discuterne insieme a lui i problemi contingenti. Intanto nel suo Diario Ciano annotò: “Le notizie che manda Attolico da Berlino continuano ad essere preoccupanti. A suo dire i tedeschi preparano il colpo di mano su Danzica per il 14 agosto. Ma è mai possibile che tutto ciò avvenga a nostra insaputa, anzi dopo tante profferte pacifiche fatte dai camerati dell’Asse? Vedremo”. Pochi giorni dopo, Mussolini, preoccupato delle notizie che giungevano dall’ambasciata di Berlino, si fece promotore di una nuova proposta di conferenza a quattro per un ampio esame sul problema di Danzica. Berlino sdegnosamente respinse l’offerta>> (G. Mussolini, F. Giannini. Coinvolgimento dell’Italia nella seconda guerra mondiale. www.italia-rsi.org. Reperibile per via telematica). Alle ore 9 del 31 agosto (1939) Attolico telegrafava a Ciano: “Se un fatto nuovo non si produce subito, la Germania fra poche ore sarà in guerra. Questo fatto nuovo potrebbe anche essere una telefonata del duce al Fuhrer”. L’avvenire del mondo affidato ad una telefonata. Era il segno estremo di una delusa disperazione (L. Villari. L’estate degli inganni. La Repubblica, 30 Maggio, 1989).  

Ha scritto Sergio Romano (Ciano ed il suo diario nel giudizio di Giovanni Ansaldo. Corriere della Sera, 17 Gennaio, 2006): <<Alla data dell’11 agosto del 1939 Ciano annotò nel suo Diario: “La volontà tedesca del combattimento è implacabile. Il Fuhrer respinge ogni soluzione che possa dare soddisfazione alla Germania ed evitare la lotta. Sono certo che anche qualora si desse ai tedeschi più di quanto hanno chiesto, attaccherebbero lo stesso perché sono presi dal demone della distruzione. La nostra conversazione assume talvolta toni drammatici. Non esito a dire il mio pensiero nella forma più brutale. Ma ciò non lo scuote minimamente (Hitler, ndr). Mi rendo conto di quanto poco noi si valga, nel giudizio dei tedeschi. L’atmosfera è fredda. E il freddo tra me e lui si ripercuote anche nei seguiti. Durante il pranzo non ci scambiamo una parola. Diffidiamo l’uno dell’altro. Ma io, almeno, ho la coscienza tranquilla. Lui, no”. Da allora Ciano, a giudicare dal Diario, fu coerentemente contrario alla guerra e fece del suo meglio per dissuadere Mussolini dall’entrarvi. Alla data del 21 agosto, dieci giorni prima dell’attacco tedesco alla Polonia, scrisse: “Oggi ho parlato chiaro: ho bruciato ogni mia cartuccia. Quando sono entrato nella sua stanza, Mussolini ha confermato la sua decisione di marciare con i tedeschi. Voi, duce, non potete e non dovete farlo. La lealtà con cui vi ho servito nella politica dell’Asse mi autorizza a parlarvi chiaro. Andai a Salisburgo per trattare una linea comune: mi trovai di fronte a un diktat. I tedeschi, non noi, hanno tradito l’alleanza. Stracciate il patto, gettatelo in faccia a Hitler e l’Europa riconoscerà in voi il Capo naturale della crociata anti-germanica”>>.

<<Ciano, secondo Giovanni Ansaldo, temeva che il suo Diario cadesse nelle mani di Mussolini e lo riempì di annotazioni lusinghiere per l’opera e il carattere del duce. Ma su ogni altra considerazione prevalse in lui il desiderio di mettere agli atti il suo dissenso e di conquistare un posto nella storia d’Europa. “Man mano che procedeva nella stesura, scrive Ansaldo, aumentava la sua speranza di poter passare alla posterità se non come un Ministro degli Esteri accorto, almeno come un memorialista di grande acutezza”. Intelligente, vanitoso, spavaldo e un po’ guascone, Galeazzo cominciò a parlare sempre più frequentemente del suo Diario. Un giorno Ansaldo e altri amici gli dissero: “Badi, Eccellenza, che il suo Diario segreto è la favola di tutta Roma”. Come sempre ebbe anche in quel caso la risposta pronta: “Bravo, bravo. Tu non sai che le cose segrete si fanno perché siano risapute, perché restino così a mezz’aria”. Accennò alla cassaforte e continuò: “Il Diario è lì, ma ci deve essere l’incubo del Diario di Ciano nella testa di tutti”>>.

Il trattato di alleanza italo-tedesco era composto di sette articoli e sanciva, tra l’altro, la rinuncia della Germania al Sud Tirolo (Alto Adige). In più stabiliva che, qualora una dei due alleati si trovasse impegnato in operazioni belliche, l’altro doveva “porsi immediatamente come alleato al suo fianco e sostenerla con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e per aria”. Le due parti contraenti si obbligavano “a non concludere armistizio o pace se non di pieno accordo tra loro, nel caso d’una guerra condotta insieme”.

Dopo essersi scambiati i loro pieni poteri, trovati in buona e debita forma, Sua Maestà il re d’Italia e d’Albania, nonché Imperatore d’Etiopia, il Ministro degli Affari Esteri Conte Galeazzo Ciano di Cortellazzo (Italia), il Cancelliere del Reich tedesco Adolf Hitler ed il suo Ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop convenivano quanto segue:

Art. I. – Le parti contraenti si manterranno permanentemente in contatto allo scopo di intendersi su tutte le questioni relative ai loro interessi comuni o alla situazione generale europea.  
Art. 2. – Qualora gli interessi comuni delle parti contraenti dovessero esser messi in pericolo da avvenimenti internazionali di qualsiasi natura, esse entreranno senza indugio in consultazione sulle misure da prendersi per la tutela di questi loro interessi. Qualora la sicurezza o altri interessi vitali di una delle parti contraenti dovessero essere minacciati dall’esterno, l’altra parte contraente darà alla parte minacciata il suo pieno appoggio politico e diplomatico allo scopo di eliminare questa minaccia.  
Art. 3. – Se, malgrado i desideri e le speranze delle parti contraenti, dovesse accadere che una di esse venisse ad essere impegnata in complicazioni belliche con un’altra o con altre Potenze, l’altra parte contraente si porrà immediatamente come alleata al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell’aria.

Art. 4. – Allo scopo di assicurare per il caso previsto la rapida applicazione degli obblighi di alleanza assunti coll’articolo 3, i membri delle due parti contraenti approfondiranno maggiormente la loro collaborazione nel campo militare e nel campo dell’economia di guerra. Analogamente i due Governi si terranno costantemente in contatto per l’adozione delle altre misure necessarie all’applicazione pratica delle disposizioni del presente Patto. I due Governi costituiranno, agli scopi indicati nei summenzionati paragrafi 1 e 2, Commissioni permanenti che saranno poste sotto la direzione dei due Ministri degli Affari Esteri.

Art. 5. – Le Parti contraenti si obbligano fin da ora, nel caso di una guerra condotta insieme, a non concludere armistizi e paci se non di pieno accordo fra loro.

Art. 6. – Le due Parti contraenti, consapevoli dell’importanza delle loro relazioni comuni colle Potenze loro amiche, sono decise a mantenere ed a sviluppare di comune accordo anche in avvenire queste relazioni, in armonia cogli interessi concordati che le legano a queste Potenze.  
Art. 7. – Questo Patto entra in vigore immediatamente al momento della firma. Le due parti contraenti sono d’accordo nello stabilire in dieci anni il primo periodo della sua validità. Esse prenderanno accordi in tempo opportuno, prima della scadenza di questo termine, circa il prolungamento della validità del Patto.

Venivano, inoltre, precisati i seguenti assunti: <<Considerato che, con le frontiere comuni, fissate per sempre, è stata creata tra l’Italia e la Germania la base sicura per un reciproco aiuto ed appoggio, i due Governi riconfermano la politica, che è stata già da loro precedentemente concordata nelle sue fondamenta e nei suoi obbiettivi e che si è dimostrata altamente proficua tanto per lo sviluppo degli interessi dei due Paesi quanto per la sicurezza della pace in Europa. Il popolo italiano ed il popolo tedesco, strettamente legati tra loro dalla profonda affinità delle loro concezioni di vita e dalla completa solidarietà dei loro interessi, sono decisi a procedere, anche in avvenire, l’uno a fianco dell’altro e con le forze unite per la sicurezza del loro spazio vitale e per il mantenimento della pace. Su questa via indicata dalla storia, l’Italia e la Germania intendono, in mezzo ad un mondo inquieto ed in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea>>.

Nel suo Diario G. Ciano cerca si scagionarsi dalla colpa di aver firmato un patto che avrebbe trascinato l’Italia nella secondo conflitto mondiale e quindi alla sua rovina: <<La tragedia italiana ha, per me, avuto inizio nell’agosto 1939, quando, recatomi di mia iniziativa a Salisburgo, mi trovai improvvisamente di fronte alla fredda, cinica determinazione tedesca di scatenare il conflitto. L’alleanza era stata firmata nel maggio. Io l’avevo sempre avversata ed avevo fatto in modo che le persistenti offerte tedesche fossero per lungo tempo rimaste senza seguito. Non vi era,  a mio avviso, nessuna ragione per legarci vita e morte alla sorte della Germania nazista. Ero stato invece favorevole ad una politica di collaborazione perché, nella nostra posizione geografica, si può e si deve detestare la massa di ottanta milioni di tedeschi, brutalmente piantata nel cuore dell’Europa, ma non si può ignorarla. La decisione di stringere l’alleanza fu presa da Mussolini, all’improvviso, mentre io mi trovavo a Milano con Ribbentrop. Alcuni giornali americani avevano stampato che la metropoli lombarda aveva accolto con ostilità il Ministro tedesco e che questa era la prova del diminuito prestigio personale di Mussolini. Inde ira. Per telefono ricevetti l’ordine, il più perentorio, di aderire alle richieste tedesche di alleanza, che da più di un anno avevo lasciato in sospeso e che pensavo di lasciarcele per molto tempo ancora. Così nacque il Patto d’Acciaio. Questa decisione, che ha avuto influenze tanto sinistre sulla vita e sul domani dell’intero popolo italiano, è dovuta, esclusivamente, alla reazione dispettosa di un dittatore contro la prosa, del tutto irresponsabile e senza valore, di alcuni giornalisti stranieri…Una clausola però aveva l’alleanza: quella che per un periodo di tre-quattro anni, né l’Italia, né la Germania avrebbero sollevate questioni atte a turbare l’ordine europeo. Invece nell’estate del 1939 la Germania avanzò le sue richieste anti-polacche, naturalmente a nostra insaputa; anzi Ribbentrop smentì a più riprese al nostro Ambasciatore l’intenzione germanica di spingere la polemica fino alle estreme conseguenze. Nonostante queste smentite, rimasi incredulo: volli sincerarmi di persona e l’11 agosto andai a Salisburgo. Fu nella sua residenza che Ribbentrop, mentre attendevamo di sederci a mensa, mi comunicò la decisione di dar fuoco alle polveri, così come avrebbe potuto darmi notizia del più modesto affare di ordinaria amministrazione. Ebbene, Ribbentrop, gli chiesi, passeggiando nel giardino al suo fianco, che cosa volete? Il Corridoio o Danzica?. Ormai non più, e mi sbarrò addosso quei suoi freddi occhi da Museo Grévin: Vogliamo la guerra. Sentii che la decisione era irrevocabile e vidi, in un secondo, la tragedia che incombeva sull’umanità. Dieci ore durarono quel giorno le conversazioni, non sempre cordiali, col mio collega tedesco, e altrettanto, nei due giorni successivi, quelle che io ebbi con Hitler. I miei argomenti scivolavano sulla loro volontà come l’acqua sul marmo. Niente ormai avrebbe potuto impedire l’esecuzione di un criminoso progetto lungamente meditato, accarezzato, discusso in quelle cupe riunioni che il Fuhrer è solito tenere ogni sera tra i suoi più intimi. La follia del Capo era diventata la religione dei seguaci. Ogni obbiezione restava senza risposta, quando poi non cadeva nello scherno. Hitler arrivò perfino a dirmi che io, uomo del Sud, non potevo capire quanto lui, uomo germanico, avesse bisogno di mettere le mani sul legname delle foreste polacche…>>.

Ha scritto Ludina Barzini (Fascismo, Patria e famiglia: i tradimenti di Ciano. Corriere della Sera, 28 Agosto, 2002): <<Lo scrittore Giordano Bruno Guerri racconta: “Ciano non aveva ideali politici, religiosi, amorosi, culturali, era uno squalo di seconda generazione, quindi, in realtà, il fascismo l’aveva tradito sempre, ma con la mente del traditore senza crederci”. E, secondo Renzo de Felice, Ciano era tutto salvo che un vero fascista. Di educazione tradizionale e cattolica, vissuto da ragazzo in ambienti non fascisti e poi in quelli diplomatici, viziato e lusingato da una certa aristocrazia romana, soprattutto dalla principessa Isabelle Colonna, il fascismo lo aveva solo sfiorato. Per lui il fascismo equivaleva a regime, e il regime a potere. Secondo Guerri “L’inettitudine, l’indifferenza, la cialtroneria, la mancanza di carattere e furberia determinano il comportamento di Ciano che si consegna nelle mani dell’avversario, di von Ribbentrop, tra il 6 e il 7 maggio del 1939 a Milano, durante le trattative per il Patto d’Acciaio. Come per dire: Io non c’entro, sono qui solo di passaggio>>.

<<Questo comportamento costituì verso il regime, verso Mussolini, e anche verso l’Italia, un tradimento ben maggiore di quello del 25 luglio (1943). Non ebbe altra giustificazione che la difesa per il proprio “particolare”, facendo fare ai tedeschi quello che volevano, lasciando correre la clausola dell’intervento automatico in guerra che i tedeschi non avrebbero mai sperato di ottenere. Ciò portò a legare l’Italia ad un’alleanza che avrà conseguenze di enorme gravità, perché nel documento non si accennava neppure al fatto che le due parti contraenti si impegnavano a non scatenare un conflitto prima di un triennio. Ciano poco si interessò alla stesura dei termini dell’infausto e nefasto Patto d’Acciaio. Poi, il 13 maggio, ricevendo la bozza, annotò perplesso: “Non ho mai letto un patto simile: è vera e propria dinamite”. I tedeschi conoscevano la sua posizione anti-tedesca e per questo lo odiavano. Ciano tradì l’alleanza con la Germania perché continuò a fare il doppio gioco, ovunque, sempre. I tedeschi erano convinti, non a torto, che nell’agosto del 1939 Ciano avesse avvertito l’Ambasciatore di Francia che l’Italia non sarebbe entrata in guerra. I francesi tolsero le forze dalle frontiere italiane, spostandole altrove. I tedeschi ne ebbero conferma dagli Archivi diplomatici quando conquistarono Parigi. E non c’è dubbio che già nel 1942 Ciano cominciava a prendere contatti con l’estero, con gli industriali e con quelli che erano contrari all’alleanza fascismo-nazismo. Certo, in tutta la sua vita politica non fu mai uomo lineare. Era un traditore double-face>>.