La strage staliniana di Katyn (Marzo del 1940) non fu un massacro isolato

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Katyn: foresta russa nei pressi di Smolensk nella quale le truppe tedesche in ritirata scoprirono, nell’aprile del 1943, i resti di 4321 ufficiali polacchi sepolti in fosse comuni.

. Secondo la versione tedesca, generalmente accolta in Occidente, si trattava dei circa 22 mila ufficiali polacchi catturati dai sovietici nell’ottobre del 1939. Vennero tutti uccisi con un colpo alla nuca, buttati in una fossa comune, ricoperti dalle ruspe per dar spazio ad una successiva serie di giustiziati anch’essi interrati nello scavo funebre. La conseguente tesi dell’eccidio da parte russa venne respinta dall’URSS che addossò tutte le  colpe alla Germania nazista. Contrariamente, le risultanze storiche, i documenti rinvenuti con le firme dei generali sovietici che autorizzarono l’esecuzione con il colpo alla nuca di tutti gli ufficiali polacchi prigionieri confermano, senza margine d’incertezza, le responsabilità dei comunisti staliniani.

Il 17 Settembre del 1939, grazie agli accordi inclusi nel patto RibbentropMolotov (firmato a Mosca il 23 agosto del 1939 dal Ministro degli Esteri sovietico Vyacheslav Molotov e dal suo omologo tedesco Joachim von Ribbentrop), l’Armata Rossa attraversò il confine orientale polacco. 
In meno di un mese tutte le province orientali della Polonia furono occupate e quasi 180.000 ufficiali, 230.000 soldati e circa 12.000 agenti di Polizia furono fatti prigionieri. Tra i POW (Prisoners Of War, Prigionieri di Guerra) c’erano ufficiali di ogni grado e una dozzina di generali: la maggioranza dei POW erano ufficiali di riserva, molti dei quali provenienti dall’intellighenzia polacca. Alla fine di ottobre gli ufficiali detenuti erano reclusi negli accampamenti di Kozielsk, di Starobielsk e di Ostashkovo.

Il 5 marzo del 1940 il Politburo del Partito Comunista decise di fucilare quasi 15.000 POW presenti in quegli accampamenti. Stalin firmò l’ordine di morte. I POW polacchi furono uccisi nella primavera del 1940 nei centri del NKVD (la polizia politica di Stalin) nelle foreste di Katyn, Tver e Kharkov. L’Armata Tedesca avanzando verso est scoprì le fosse di Katyn nell’aprile del 1943. Il Governo sovietico negò le accuse tedesche, sostenendo che i polacchi erano stati catturati e giustiziati dalle unità tedesche nellagosto del 1941. La verità sui fatti di Katyn fu tenuta nascosta per molto tempo. Chi sosteneva la verità fu perseguitato e punito. Alle famiglie dei condannati non fu permesso neppure di accendere candele sulle tombe dei loro cari. Solo nel 1989 fu fatta luce sulla vicenda. Nel 1990 le autorità sovietiche ammisero per la prima volta che a commettere il crimine era stata la NKVD e due anni dopo il Presidente Eltsin dichiarava ufficialmente che quanto accaduto era stato ordinato da Stalin. Da allora sono molti i dettagli che stanno venendo allo scoperto sia sui fatti della primavera del ‘40 nella foresta di Katyn che sulle stanze della tortura della NKVD di Tver e di Kharkov.

Ha scritto Roberto Beretta su “Avvenire” del 19 aprile del 2006: <<L’eccidio a freddo di 25 mila ufficiali polacchi nel 1940 dimostra la parentela tra totalitarismi, il rosso e il nero. Parla lo storico Zaslavsky.Sia per i nazisti che per i sovietici, i gruppi alieni socialmente (ebrei o nemici di classe) devono essere eliminati”>>.

<<Prima alleati, poi nemici, sempre comunque fratelli. Katyn è un bosco di betulle tra Mosca e Minsk dove i bolscevichi nel 1940 trucidarono a freddo 25 mila ufficiali polacchi, presi prigionieri grazie al patto Molotov-Ribbentrop stretto coi nazisti prima della guerra. Katyn sono però anche la fosse dove per 50 anni la verità è stata sepolta sotto una lapide che accusava della strage i tedeschi. Infine Katyn, secondo Victor Zaslavsky, professore di Sociologia politica alla Luiss di Roma, che torna (quasi 10 anni dopo il primo libro sull’argomento) sull’eccidio con il suo nuovo saggio “Pulizia di classe” (Il Mulino), è la dimostrazione della stretta e radicaleparentela tra i due più terribili totalitarismi del secolo breve: il rosso e il nero. Eccone le prove. Professor Zaslavsky, lei parla per l’eccidio di Katyn di pulizia di classe, quasi volendo creare un parallelo sovietico con la pulizia etnica attuata dai nazisti ad Auschwitz. E’ così? Sì, volevo proprio sottolineare il parallelismo criminale tra le ideologie totalitarie del XX secolo, pur diverse tra loro e basate su differenti progetti. Esiste qualcosa che si può chiamare infatti “sindrome totalitaria” e consiste nella caratteristica di tutte le ideologie di rappresentare la società come un organismo in sviluppo verso la perfezione finale e di considerare l’uomo non in base alla responsabilità personale, ma come puro rappresentante di una categoria. Compito della classe al potere è eliminare ogni “ostacolo” sulla marcia del progresso, anche se tale impiccio fosse costituito da esseri umani. Così, se il nazismo è razzista e propugna la fittizia superiorità di un’etnia (da cui il genocidio degli ebrei), l’ideologia comunista ha usato lo stesso criterio con le classi sociali, provocando una serie di “pulizie di classe”>>.  
 
<<Tra cui la strage di Katyn, che dimostra nella pratica quest’equivalenza tra i totalitarismi.  
Certo. Propagandato dai sovietici come un genocidio nazista contro i polacchi, in realtà il massacro non fu dovuto alla nazionalità delle vittime, ma al fatto che i 25 mila ufficiali polacchi (tra cui molti intellettuali) erano considerati nemici di classe. Secondo la dottrina stalinista, quelle classi erano comunque destinate a sparire nel corso dell’evoluzione sociale e i gruppi dirigenti sovietici acceleravano senza rimorsi tale progresso. Lo stesso meccanismo usato nelle foibe.  
I totalitarismi, il rosso e il nero, sono poi apparentati dal terrore di massa, la violenza applicata scientificamenteSia per i nazisti che per i sovietici, i gruppi socialmente alieni dovevano essere eliminati in quanto ostacolo storico allo sviluppo; era una necessità “oggettiva”, si diceva, senza bisogno che s’individuasse una colpa individuale. Infatti la decisione del Politburo che il 5 marzo del 1940 darà il via all’epurazione di Katyn chiariva di “condurre l’indagine relativa ai singoli senza mandare i detenuti a processo, senza elevare a loro carico capi di imputazione e…senza formulare accuse”. Era la vecchia idea che l’organismo deve essere purificato dai parassiti; anche nella letteratura di quel periodo, sia russa sia tedesca, si incontra spesso tale metafora>>.  
 
<<D’accordo. Ma in fondo a Katyn ci furono solo 25 mila morti, per di più in clima di guerra. Che dire allora delle grandi purghe degli anni Trenta in URSS? Anzitutto però la sorte di quegli ufficiali polacchi fu solo la punta di un iceberg; infatti furono anche arrestate e deportate in Siberia 60 mila persone, loro parenti e familiari. In un anno e mezzo di controllo della metà della Polonia, l’URSS ha saputo organizzato la deportazione di ben mezzo milione di persone (di cui molte poi sono morte): una percentuale del 5% sulla popolazione totale, con un margine di efficienza che non aveva riscontri nelle precedenti purghe e che fu ottenuto dai servizi di sicurezza sovietica solo grazie a decenni di sanguinaria esperienza. Inoltre la persecuzione anti-polacca si fermò solo per l’attacco tedesco alla URSS, altrimenti sarebbe proseguita. Infine Katyn rappresenta una della maggiori falsificazioni storiche del XX secolo, durata fino all’ultimo, anche dopo la caduta dei Muri>>.  
 
<<Appunto. Lei scrive di complicità dei governi occidentali nel silenzio post-bellico sul massacro di Katyn e punta il dito soprattutto su Londra. Non dobbiamo essere moralisti nel giudicare eventi politici in un contesto come quello della seconda guerra mondiale. Churchill aveva ragione a voler patteggiare perfino col diavolo (in questo caso Stalin) pur di sconfiggere il nemico principale, Hitler; ma una volta ottenuta la vittoria, la politica di censura non si giustificava più e invece durò fin oltre il 1989, quando un rapporto del Foreign Office che ricostruiva correttamente i fatti di Katyn concludeva così: “Dobbiamo ricordare questo avvenimento sempre e non parlarne mai”. 
Realpolitik, certo. Anche il governo USA mise sotto silenzio la documentazione su Katyn, però solo fino ai primi anni Cinquanta. Quello inglese invece ha tenuto segreti i suoi documenti per ottenere favori economici e commerciali con l’URSS. E l’Italia? E’ molto interessante il caso del professor Vincenzo Palmieri, luminare della medicina legale (e in seguito sindaco di Napoli), che aveva partecipato nel 1943 alla commissione medica internazionale convocata dai nazisti per indagare su Katyn e che appurò le responsabilità sovietiche nell’eccidio. Dopo la guerra Palmieri fu più volte attaccato, contestato nelle aule universitarie da studenti comunisti, proposto di trasferimento ed ha corso persino pericolo di vita perché Mosca aveva chiesto al PCI di tenerlo d’occhio in quanto testimone scomodo del caso Katyn. Altri suoi colleghi dei Paesi dell’Est, del resto, che avevano fatto parte della medesima commissione, furono costretti a ritirare le firme sulle perizie e uno è stato fatto sparire per sempre>>.

<<Con Katyn, insomma, saltano gli schemi manichei di certo antifascismo politicamente corretto: con i buoni tutti da una parte e i cattivi solo dall’altra, quella nazista…  
Il periodo storico più oscurato da molte parti della storiografia è quello tra il 1939 e il 1941, quando Stalin e Molotov dichiaravano che era esagerato temere il nazismo, che la Polonia doveva cessare di essere indipendente, che il nemico comune era anzitutto il capitalismo…Noi dimentichiamo spesso che la seconda guerra mondiale è stata vinta da un’alleanza innaturale tra il regime totalitario staliniano e quello dei Governi liberal-democratici.Quindi se l’URSS non fosse stata attaccata da Hitler (lei scrive: Per motivi contingenti e grazie a una sottovalutazione della sua forza), sarebbe rimasta dalla parte nazista? E con la Germania avrebbe alla fine spartito il mondo?  
Qui il discorso si fa più complesso ed entra nella fantastoria. Comunque abbiamo appena pubblicato sulla rivista 
XXI secolo un articolo di un noto storico russo sul tentativo di Stalin e Molotov nel 1940 di entrare nell’Asse tripartito Roma-Berlino-Tokyo e trasformarlo in quadripartito: era proprio il periodo di Katyn. Ci fu una trattativa molto dura, perché Stalin sapeva di proporre in questo modo a Hitler la vittoria, grazie alla sua formidabile macchina bellica. Il mondo era già stato diviso in 4 zone d’influenza, con i comunisti che si sarebbero allargati verso i pozzi di petrolio iraniani secondo una vecchia idea staliniana. Bene, questo processo, durante il quale la collaborazione tra i due totalitarismi significò il peggior pericolo per la democrazia mondiale, non è stato ancora chiarito; anzi, qualche mese fa la Procura russa ha chiuso un’inchiesta sull’eccidio di Katyn durata 15 anni e i due terzi della documentazione sono stati sottoposti a segreto>>.  
 
<<Lei accusa anche Gorbaciov di poca glasnost su Katyn. Solo Eltsin ha rotto davvero il silenzio, pubblicando per primo i documenti originali. Gorbaciov è stato una figura tragica tra due mondi: era un uomo di apparato e capiva benissimo che la rivelazione delle responsabilità su Katyn avrebbe dato un colpo terribile alla credibilità morale del Partito, istituendo tra l’altro l’idea del parallelismo tra nazismo e comunismo. A costo di esporsi a ricatti politici che ne hanno di fatto accorciato il potere, Gorbaciov non ha potuto sganciarsi del tutto dalla mentalità sovietica e dire al mondo la verità>>.

Da un articolo di Livio Caputo pubblicato su Il Giornale il 4 agosto del 2009 (Fosse comuni: la Polonia scopre un’altra Katyn): <<Un nuovo orrido capitolo si è aggiunto al già ricchissimo “Libro nero del comunismo”: un bis, su scala appena più ridotta, dell’eccidio di Katyn, dove nel 1940 i sovietici trucidarono 20.000 ufficiali e soldati dell’esercito polacco con l’obbiettivo di decapitare la classe dirigente del Paese e renderne così più facile la sottomissione. Secondo il settimanale polacco “Rzecspospolita”, un’altra fossa comune, contenente i corpi di circa 3.500 militari, appartenenti alla Guardia di frontiera o al corpo d’armata del generale Smorawinski, è stata ritrovata a Wlodzimierz Wolynski, nell’attuale Ucraina occidentale. Come a Katyn, tutti avevano le mani legate dietro la schiena e tutti sono stati uccisi con un colpo di pistola alla nuca. La scoperta, in realtà, risale a dodici anni fa, ma per ragioni non ben chiare le autorità di Kiev ritennero allora di metterla a tacere in attesa di ulteriori accertamenti, e soltanto ora hanno reso questo ennesimo crimine staliniano ufficiale. La notizia della strage non desterà molto stupore in chi conosce la storia di Katyn, magari attraverso la visione del film di Wajda arrivato di recente, dopo un tentativo di ostracismo, nelle nostre sale cinematografiche. Dal momento che il Cremlino aveva deciso di approfittare delle circostanze belliche per liquidare ogni potenziale resistenza da parte dei polacchi dopo l’annessione della metà orientale del Paese, non c’è in fondo da meravigliarsi che anche questo secondo contingente di prigionieri sia stato brutalmente trucidato. Ma la rivelazione non mancherà di avere ripercussioni sui rapporti tra Varsavia e Mosca che ancora oggi risentono della vicenda di Katyn e che non sono certo migliorati dopo l’ingresso della Polonia, fino a vent’anni fa satellite dell’URSS, nell’Unione Europea e nella Nato>>.

<<Per mezzo secolo, i sovietici avevano negato ogni responsabilità dell’eccidio, attribuendone, contro ogni evidenza e anche contro la geografia, la colpa ai tedeschi. Solo nel 1990, dopo la caduta del muro di Berlino e con l’impero sovietico già in piena agonia, Gorbaciov ammise il crimine, commesso dalla famigerata NKVD e presentò le sue tardive scuse alla Polonia. Seguì un lungo periodo in cui russi e polacchi collaborarono nella ricostruzione degli eventi, nel tentativo di arrivare, se non altro, a una memoria condivisa. Ma quattro anni fa, nel quadro della sua politica di restaurazione imperiale (e forse per ritorsione contro la stretta collaborazione di Varsavia con l’America di Bush) Putin diede ordine di interrompere il trasferimento di informazioni alla Polonia e la ricerca dei responsabili, riprendendo la vecchia linea dura di Mosca. Il magistrato responsabile dell’indagine, in un comunicato che a Varsavia brucia ancora, dichiarò che “Katyn non fu né un genocidio, né un crimine di guerra, né un crimine contro l’umanità: non esistono perciò assolutamente le basi per parlarne in termini giuridici”: un tentativo di cancellare la verità, o addirittura di riportare indietro l’orologio della storia. Con questo sulla vicenda tornò naturalmente a piombare, da parte russa, anche la cappa del segreto di Stato. La reazione dei polacchi fu, al momento, durissima e anche a livello popolare ci fu l’ennesima esplosione di sentimenti antirussi che il toccante film di Wajda non ha certo contribuito a smorzare. Per capire questa ondata di indignazione, bisogna immaginare che cosa sarebbe successo in Italia se un giorno i tedeschi avessero negato ogni responsabilità in tutte le stragi compiute nella penisola, a cominciare dalle Fosse Ardeatine. Non sappiamo se la denuncia del nuovo massacro, 12 anni dopo la scoperta materiale dei cadaveri, sia uno scoop di “Rzecspospolita” o sia stata in qualche modo pilotata dal governo di Varsavia per mettere in imbarazzo i russi, costringerli a una nuova inchiesta e riaprire in qualche modo anche il capitolo di Katyn. Alla luce della nuova politica putiniana, è probabile che il Cremlino non reagisca o torni a negare, come ai tempi dell’URSS, qualsiasi coinvolgimento. Magari, visto che il ritrovamento è stato fatto in Ucraina, che con Mosca è ai ferri corti, si parlerà di complotto. Una sola cosa è certa: la storia di questi 3.500 nuovi martiri avrà una vasta eco non solo in Polonia, ma in tutto l’Est europeo sottoposto fino a vent’anni fa alla dominazione sovietica: a dimostrazione che per chiudere certe ferite non basta neppure lo scorrere dei decenni>>.

Così  si è espresso Mauro Martini su Il Foglio del 25 agosto del 2004: <<All’apparenza la notizia è buona. La Procura generale militare russa, titolare da ben 14 anni dell’inchiesta sull’eccidio di Katyn del 1940, metterà a disposizione della magistratura polacca 156 nuovi faldoni di documenti che promettono, almeno in parte, di essere materiale assai ghiotto per gli storici. In realtà le eventuali rivelazioni illumineranno dettagli inediti, ma certo non potranno cambiare il quadro di insieme della vicenda. Le responsabilità dell’NKVD sovietico nell’esecuzione di quasi 22 mila ufficiali dell’esercito polacco, i cui cadaveri sono stati ritrovati in tre enormi fosse comuni nei pressi di Smolensk, è fuor di dubbio, dal momento che ad ammetterla è stato nel 1990 l’ultimo presidente dell’URSS, Michail Gorbaciov. Ammissione sorprendente, considerato che in mancanza del documento comprovante l’ordine di Stalin del marzo 1940, ben rinserrato negli archivi, il Cremlino si era fino ad allora accanito a sostenere che l’eccidio, stimato per difetto intorno alle 5 mila vittima, era stato invece opera delle truppe naziste. Tesi che nel 1943, anno in cui i tedeschi avevano scoperto una delle fosse comuni e avevano imbastito una campagna antisovietica, era tornata utile anche agli Alleati, scarsamente propensi a disturbare il “grande condottiero” del Cremlino.  
Sembrerà un paradosso, ma i russi oggi sembrano meno propensi a far chiarezza sulla vicenda dello stesso Gorbaciov. Lo ha toccato con mano la delegazione dell’Istituto polacco per la memoria nazionale che nei giorni scorsi si è recata a Mosca per fare il punto della situazione e soprattutto chiedere alla procura militare di arrivare almeno entro l’anno alla chiusura dell’interminabile istruttoria, sempre rinviata con il pretesto della lentezza dell’Ucraina nella trasmissione di alcuni documenti. In realtà le autorità russe non vogliono trovarsi nella difficile condizione di trarre delle conclusioni. Fortissima in particolare è la resistenza ad ammettere che l’annientamento di fatto di buona parte del ceto dirigente polacco dell’epoca, richiamato alle armi e rimasto bloccato nel settore sovietico dopo la spartizione del Paese in virtù del patto Ribbentrop-Molotov, ha tutte le caratteristiche del genocidio. A questo proposito la delegazione dell’Istituto si è sentita dire di tutto: che l’interesse della Polonia è soltanto finanziario per poter attingere ai risarcimenti che la normativa internazionale prevede; che non si sa con esattezza se vi sia qualche superstite dei responsabili e degli esecutori della strage di allora. Fino alla minaccia diretta proveniente da autorevoli ambienti del Ministero degli Esteri russo: l’insistenza di Varsavia nel voler arrivare a un punto fermo nella vicenda di Katyn rischia di mettere a repentaglio i rapporti tra i due Paesi.  
Quanto le vicende storiche pesino sulle spigolose relazioni tra Vistola e Moscova lo ha confermato la celebrazione del 60esimo anniversario dell’insurrezione di Varsavia che, come è noto, non ebbe la fortuna di godere dello sperato aiuto dell’URSS, le cui truppe rimasero ferme senza intervenire mentre i tedeschi radevano al suolo la città. Il Ministro degli Esteri polacco, Wlodzimierz Cimoszewicz, non sarà stato un campione di diplomazia nell’affermare nei giorni scorsi che la Russia avrebbe fatto bene a porgere le proprie scuse per quel controverso episodio. Ma è altrettanto vero che la reazione di Mosca è stata di una durezza senza precedenti, tutta centrata su un’orgogliosa memoria della “grande guerra patriottica”, degna più dei tempi sovietici che della democrazia post-comunista. I sintomi sono evidenti: tra Polonia e Russia il clima è teso e basta un nonnulla per far saltare i nervi a entrambe le parti. Al Cremlino poi continuano a scattare riflessi antichi. La situazione politica varsaviana è confusa e l’ingresso a pieno titolo nell’Unione Europea del maggio scorso ha privato il Paese di un grande obiettivo che, nel bene e nel male, teneva tutti in tensione. In Russia c’è chi spera di inserirsi nelle divisioni interne dell’ingombrante vicino per vanificare le sue ambizioni di leader della regione orientale d’Europa e di tramite privilegiato per le relazioni con quell’Ucraina che Mosca cerca di riconquistare. La partita è delicata e alla bisogna può tornare utile anche la disputa su Katyn, tanto per dimostrare che la Russia è forte al punto tale da non doversi vergognare del proprio passato>>.

Riporto dal Web: <<La sala è stracolma di spettatori commossi: sul grande schermo scorrono le immagini della doppia invasione, nazista e sovietica, nella Polonia del 1939, una sequenza tragica che toccherà il suo culmine nella strage di oltre ventimila ufficiali dell’esercito polacco compiuta dai bolscevichi per ordine di Stalin. “Katyn, il film realizzato da Andrzej Wajda nel 2007, è giunto finalmente in Italia. DAL TEMPO: Uno scienziato italiano sapeva la verità su Katyn, la coscienza sporca di Togliatti e compagni. Tutti gli italiani di qualsiasi età, a cominciare dal presidente Giorgio Napolitano, dovrebbero vedere il film di Andrzej Wajda, “Katyn”. E’ quasi un dovere, anzi, perché i massacri di Katyn e dintorni, circa 25 mila innocenti assassinati, hanno molto a che fare con la storia d’Italia e con la nostra lunga condizione di plagiati, disinformati, utili idioti. Katyn in un certo senso ci appartiene, ci fotografa e ci denuda. Ben prima delle rivelazioni di Gorbaciov e delle carte che l’ottimo Boris Eltsin consegnò a Lech Walesa, gli italiani potevano essere messi in condizione di conoscere la verità su Katyn. Potevamo sapere, quasi in tempo reale, che non si trattò di un crimine nazista, bensì dell’ennesimo fiotto di sangue sgorgato dall’industria comunista della morte. Non Hitler, ma Stalin e Berija ordinarono il genocidio degli ufficiali e dell’intelligencija polacca, allo scopo di cancellare per più di una generazione le temutissime classi dirigenti di una Nazione cristiana, cattolica, contadina, culturalmente aliena dal delirio marxista-leninista. Ebbene, uno scienziato napoletano, Vincenzo Mario Palmieri, già autorevole membro della Commissione medica su Katyn, sapeva chi fossero i veri carnefici, solo che nel primo dopoguerra Stalin e Berija erano i punti di riferimento del socialcomunismo italiano. Così, la menzogna prese il posto della verità. Non a caso, dal Kremlino partì l’ordine di far tacere Palmieri. Fu lanciata, con la regia di Mario Alicata e dei massimi dirigenti del PCI partenopeo, la demonizzazione del docente di medicina legale dell’Università di Napoli. Chissà se il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rammenta quella virulenta campagna contro Palmieri; in caso affermativo, potrebbe, oggi, aggiungere particolari sconosciuti su quella terribile infamia commessa dai suoi compagni del PCI. Napolitano, certo, sa che il docente non poté più tenere le sue lezioni, essendo insultato, contestato, minacciato, accusato di connivenza col nazifascismo. Soltanto un fascista, gli urlavano gli attivisti comunisti, avrebbe potuto denigrare la santissima Armata Rossa, insomma gli eroi di Stalingrado, attribuendole non opere di bene, bensì la strage di Katyn. Palmieri, che aveva moglie e figli, scelse la vita e, spaventato a morte, seppellì la relazione finale della Commissione Naville, contenuta in una scatola di scarpe, in un terreno di sua proprietà presso Cassino, proprio là dove millecinquecento soldati polacchi erano morti per liberare dai tedeschi l’ingrata Italia disinformata dai togliattiani. Diedero del nazista a chi poteva rivelare, già nel 1947-1948, la verità sui tentativi di soluzione finale ai danni del popolo polacco che Molotov aveva definito “il bastardo di Versailles”. Eppure, a diffamare furono proprio i complici di Togliatti, il quale, nel 1939 -1940, scrisse parole di aperto sostegno al Terzo Reich e ad Hitler, vittima, secondo lui, degli imperialisti inglesi e francesi. Il film di Wajda disvela alla maggioranza degli italiani non solo un segmento dell’orribile mattatoio messo su dai comunisti, ma evoca anche la vergogna di chi ci ha negato per mezzo secolo la possibilità di conoscere la storia, da Katyn sino alle foibe>> (G. Lehner. La vergognosa censura sul film di Katyn un film che spaventa. Arriva Katyn e dall’Italia una seconda censura. club.quotitidianonet. ilsole24ore.com. Reperibile per via telematica).