Alberto Bertotto
Sull’Osservatore Romano del 17 giugno del 2009 c’è scritto (Il piano nazista per uccidere Pio XII): <<Hitler voleva far rapire o uccidere Pio XII. Voci di un simile piano erano già emerse in passato.
Nel 1972 ne aveva parlato il generale delle SS Karl Wolff, riferendo di un suo incontro con il Papa avvenuto il 10 maggio del 1944. Tuttavia di questo particolare progetto non si sono avuti riscontri. Mentre, secondo quanto riportato il 16 giugno da “Avvenire”, sarebbero “più concrete le voci di un piano organizzato dal Reichssicherheitsamt (‘Quartier generale per la sicurezza del Reich’) di Berlino dopo il 25 luglio del 1943”. Il quotidiano in particolare cita una fonte diretta, il figlio di uno dei personaggi chiave, Niki Freytag von Loringhoven, 72 anni, incontrato a Monaco. Secondo il suo racconto, il 29 e 30 luglio si svolse a Venezia un incontro segreto per informare il capo del controspionaggio italiano, generale Cesare Amé, dell’intenzione del Fuhrer di punire gli italiani per l’arresto di Mussolini con il rapimento o l’uccisione di Pio XII e del re. A tale scopo arrivarono in aereo direttamente da Berlino il capo dell’Ausland/Abwehr (controspionaggio), ammiraglio Wilhelm Canaris, e due colonnelli della sezione II (sabotaggio), Erwin von Lahousen, e Wessel Freytag von Loringhoven. Amé, secondo quanto riportato da “Avvenire”, una volta rientrato a Roma divulgò la notizia e il piano venne accantonato>>.
Ha vergato Rodolfo Lorenzoni (Papa Pio XII nel mirino dei nazisti. iltempo.ilsole24ore.com. Reperibile per via telematica): <<Al di là della vicenda specifica, è noto a tutti gli storici avveduti che Pio XII temeva fortemente (e con buone ragioni) di essere personalmente esposto alla rabbia nazista. Papa Pacelli fu infatti tra i primi a denunciare il pericolo nazista e in tempi non sospetti, tra il 1940 e il 1941, guardò con favore al complotto contro Hitler ordito dagli ufficiali della vecchia guardia nazista che intendevano rovesciare il tiranno e concludere la pace con Francia ed Inghilterra. Non è provato se Hitler fosse al corrente di questi atti di Pio XII, ma quel che è certo è che il Fuhrer aveva ben presente la posizione assunta dalla Chiesa di Roma nei confronti del Terzo Reich. E nel ‘43 aveva forse deciso che era arrivato il momento di chiedere il conto anche di questo. Le rivelazioni del cardinale Domenico Tardini, segretario di Stato dal 1958 e importante esponente vaticano sin dal 1935, hanno peraltro definitivamente illustrato lo stato d’animo di Pio XII in rapporto alla minaccia nazista. Secondo Tardini, il Papa aveva infatti impartito l’esplicito ordine di occultare con la massima cura o bruciare delicati documenti della Santa Sede affinché non finissero in mano ai nazisti in caso di incursione. Non solo: il Pontefice aveva studiato precise contromisure nell’eventualità che i nazisti puntassero direttamente alla sua persona>>.
<<Pio XII aveva pronta una lettera in cui dichiarava le sue dimissioni, dando disposizioni affinché i cardinali eleggessero il suo successore. Un Pontefice che si “dimette” e che rinuncia al suo incarico: perfino questa incredibile possibilità era stata prospettata da Pacelli a riprova del suo timore di rappresaglie naziste. “Se mi rapiscono, affermò il Papa, porteranno via il cardinale Pacelli, ma non il Papa”. La storia del tentativo nazista di rapire e uccidere Pio XII contribuisce peraltro a fare giustizia anche di una serie di luoghi comuni, ormai messi in dubbio dagli storici più autorevoli, che hanno concorso a creare l’ennesima “leggenda nera” di un Papa in qualche modo timido nei confronti del Terzo Reich, nonché quantomeno evasivo riguardo la difesa degli ebrei>>.
<<Eugenio Pacelli, infatti, è stato sempre un profondo conoscitore e un amante della cultura tedesca, ma la sua inimicizia con Hitler e la sua avversione al regime nazista sono inequivocabili e risiedono proprio in una visione storica che individua nel nazismo la distruzione, oltre che dei valori cristiani, anche della stessa anima del popolo germanico. Nei giorni dell’incoronazione di Pio XII, il “Berliner Morgenpost” scrisse ad esempio che “l’elezione di Pacelli non è accolta favorevolmente in Germania poiché egli è sempre stato ostile al nazionalsocialismo”. Nella sua prima Enciclica, la “Summi Pontificatus” del 1939, è inoltre contenuta la condanna incondizionata di qualsiasi genere di totalitarismo>>.
<<E quando il regime nazista iniziò ad attuare l’occupazione di vari territori europei, Papa Pacelli tentò in ogni modo di scongiurare il conflitto mondiale che Hitler consapevolmente rischiava di innescare. “Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra”, disse Pio XII nello storico discorso radiofonico pronunciato il 24 agosto del ‘39. Era, quella, la frase che divenne poi una sorta di simbolo del suo pontificato. Una frase che deve essere risuonata nella mente del Fuhrer mentre concepiva il progetto criminale tentato nel luglio del ‘43>>.
Così si è espresso Tommaso Ricci (www.culturanuova.net. Reperibile per via telematica): <<Qui mange du pape en meurt. Il detto nacque in Francia quando Napoleone, sacrilego rapitore di Papa Pio VI che poi morì nelle sue mani, cadde in disgrazia. Ma né la fatale premonizione, né la scomunica comminata automaticamente a chi attenta al Papa ed alla Santa Sede intimorirono particolarmente, più di un secolo dopo, un altro potente di questo mondo: Adolf Hitler. Che cosa sappiamo oggi circa gli effettivi pericoli (uccisione, rapimento, deportazione) corsi da Pio XII durante la seconda guerra mondiale? La documentazione disponibile non consente di trarre conclusioni perentorie; insomma, piani dettagliati di evacuazione del Papa da Roma da parte dei nazisti non sono finora stati rinvenuti. E c’è da credere che difficilmente ciò accadrà in futuro. Cionondimeno esiste una serie di testimonianze, sia di parte nazista che di parte vaticana, che inducono a ritenere che davvero Adolf Hitler avesse partorito l’idea di violare il Vaticano e prendere in ostaggio, o “sotto protezione”, il Papa. Siamo in grado di esibirne una finora sconosciuta in Italia. Ma andiamo con ordine>>.
<<Il merito di aver indagato l’argomento va principalmente allo storico gesuita statunitense Robert Graham che in due articoli pubblicati nel 1972 su La Civiltà Cattolica (“Voleva Hitler allontanare da Roma Pio XII?”)affrontò per primo l’argomento. Tale iniziativa ebbe il merito, oltre ad essere il primo serio esame comparato delle numerose, ma frammentarie, testimonianze emerse dall’abbondante memorialistica postbellica, di indurre uno degli ultimi testimoni viventi a parlare. Si trattava del generale Karl Otto Wolff (1900-1984), fiduciario di Himmler, dal 1943 al 1945 capo delle SS e della Polizia in Italia, unica personalità della alta nomenklatura nazista ad essere segretamente ricevuta dal Papa (10 maggio del 1944), nonché interlocutore degli Alleati nel siglare la resa tedesca in Italia all’insaputa di Berlino. Costui dichiarò pubblicamente che Hitler gli aveva conferito l’ordine di invadere il Vaticano e deportare il Papa. Le cose sarebbero andate così>>.
<<L’8 settembre del 1943 il maresciallo Pietro Badoglio aveva concluso con gli Alleati l’armistizio, mandando su tutte le furie Hitler, già molto inquieto per la caduta di Mussolini il 25 luglio del 1943. Il 1 o il 12 settembre del 1943, Wolff, appena nominato capo della Polizia e delle SS in Italia, venne convocato al Quartier Generale tedesco nella Prussia orientale. Lì lo attendeva Heinrich Himmler, capo della Polizia nazista che lo informò degli accessi d’ira del Fuhrer per il voltafaccia degli italiani e dei suoi propositi di vendetta nei confronti della Casa Reale e del Vaticano, da lui sospettati di aver tramato contro il duce. Himmler chiese a Wolff, nell’eventualità di un’occupazione del Vaticano, di sottrarre per lui dagli archivi le prove della “cristianizzazione violenta” della Germania; il capo della Gestapo immaginava che il Vaticano conservasse gelosamente come bottino le scritture runiche della mitologia pagana precristiana. Il successore designato di Hitler, Hermann Goering, noto per la sua inestinguibile avidità di opere d’arte, voleva invece mettere le mani sui tesori vaticani (“specialmente le statue di Michelangelo” precisò)>>.
<<Poi venne il turno di Hitler, il quale disse a Wolff, secondo la ricostruzione di quest’ultimo resa al Tribunale Ecclesiastico riunito per il processo di beatificazione di Pio XII: “Desidero che lei, nel quadro delle reazioni tedesche contro questo inaudito ‘tradimento Badoglio’ , occupi, il più presto possibile, il Vaticano e la Città del Vaticano; metta al sicuro gli archivi ed i tesori d’arte che hanno un valore unico al mondo, e trasferisca al Nord Papa Pio XII, insieme alla curia, ‘per sua protezione’, affinché egli non possa cadere nelle mani degli Alleati e subire le loro pressioni e l’influenza politica. Secondo gli sviluppi politici e militari farò sistemare il Papa possibilmente in Germania o nel neutrale Liechtenstein. Quanto tempo le occorre per poter eseguire questa operazione il più presto possibile?”. Wolff, che non aveva alcuna voglia di compiere un’azione che avrebbe macchiato il suo nome nella posterità, tentò di guadagnare tempo, prospettando al Fuhrer le difficoltà logistiche dell’impresa. Hitler accettò il punto di vista, ma chiese di avere aggiornamenti periodici sui preparativi>>.
<<All’inizio di dicembre Wolff non poteva più continuare con la sua tattica dilatoria e presentò il suo piano “napoleonico” ad Hitler: gli servivano duemila uomini da far venire appositamente dalla Germania per circondare il Vaticano ed eseguire il blitz, uno staff di professori tedeschi in grado di discernere rapidamente le cose di maggior valore tra i documenti e gli oggetti d’arte da trafugare ed una squadra di ufficiali sudtirolesi in grado di tradurre all’istante dal tedesco all’italiano e viceversa. Inoltre servivano camion ed autobus per organizzare il trasporto del Papa, del suo entourage, dei numerosi rifugiati politici nascosti in Vaticano, di centomila quadri e di centinaia di casse di documenti. Wolff decise però a questo punto di affrontare direttamente con Hitler la questione dell’inopportunità di tale azione e usò un realistico argomento per dissuadere il suo capo: un atto contro il Vaticano ed il Papa, ultimo punto di riferimento rimasto in un’Italia allo sbando, avrebbe provocato una vera e propria rivolta di popolo, per domare la quale sarebbero occorse molte forze. Per non parlare, poi, delle reazioni dei cattolici tedeschi e di quelli del mondo intero. Viceversa, garantiva Wolff, un rapporto non conflittuale con la Santa Sede sarebbe stato utile ad entrambi. “Va bene Wolff, avrebbe concluso sorprendentemente Hitler, facendo tirare un sospiro di sollievo al gerarca nazista. Faccia ciò che lei ritiene opportuno come esperto della questione italiana, ma non dimentichi che dovrò ritenerla responsabile qualora lei non potesse realizzare la sua promessa ‘garanzia’ ottimistica. Buona fortuna, Wolff”>>.
<<Naturalmente sulla straordinaria testimonianza di Wolff gravano dei dubbi. Perché non ha parlato prima, quando maggiori erano le possibilità di avere conferme da altri testimoni viventi? Inoltre, qualcuno ha recisamente smentito le affermazioni di Wolff. Per esempio, un altro nazista “eccellente” sulla scena italiana dell’epoca, Eugen Dollmann (1900-1985), anch’egli uomo di fiducia di Himmler, nonché interprete di Hitler in Italia e ufficiale di collegamento tra Wolff e Kesselring. Dollmann asserì di non aver mai sentito alcunché riguardo ad un simile ordine di Hitler e ciò basterebbe a provarne l’inesistenza. Si sarebbe trattato piuttosto di manie del fanatico anticattolico Bormann, le quali però non avrebbero mai raggiunto una fase progettuale vera e propria. Anche il diplomatico tedesco Eitel Friedrich von Moellhausen, console del Terzo Reich a Roma durante la guerra, ha nettamente respinto le “rivelazioni” di Wolff, mettendo in dubbio l’autenticità, o quanto meno la fedeltà, della ricostruzione dei colloqui tra Wolff e Hitler>>.
<<Non c’è dunque nulla che possa “supportare” la tesi di Wolff di un vero e proprio Fuhrerbefehl poi rientrato? Ebbene, qualche elemento sussiste. Sono le testimonianze di due personaggi alquanto diversi per ruolo e per punto di osservazione. La prima è quella dell’Ambasciatore tedesco presso lo Stato italiano Rudolf Rahn, testimonianza inedita in Italia. In sintesi, Rahn è il primo a confermare l’esistenza dell’esplicito ordine di Hitler a Wolff. Il secondo teste a favore di Wolff si chiama Franz Spoegler, nel 1943 Oberstuermfuehrer (tenente) delle Waffen SS; costui era all’epoca ufficiale di collegamento tra Mussolini con la sua scricchiolante Repubblica di Salò da una parte e l’Ambasciatore Rahn e il generale Wolff dall’altra. Spoegler ha raccontato che l’atteggiamento temporeggiatore di Wolff rispetto all’Aktion Papst aveva suscitato dei sospetti nelle alte sfere naziste e che Himmler aveva deciso di far spiare Wolff per scoprire se dietro le sue tergiversazioni si nascondesse del sabotaggio. Fu scelto a tale scopo un capitano delle SS di nome Weisse che si recò in Italia e individuò in Spoegler, allora intercettatore telefonico a Verona, Quartier Generale nazista in Italia, la persona adatta. Weisse faticò non poco a convincere che l’uomo da sorvegliare era nientemeno che Wolff, numero uno in Italia; è proprio in tale contesto che Weisse gli confidò che “il Fuhrer doveva prendere sotto la sua protezione il Papa e i cardinali”. “Innanzitutto, spiegò Weisse all’incredulo Spoegler, cui probabilmente Himmler aveva parlato dell’insano progetto, agli occhi del mondo apparirà che Pio XII ha scelto liberamente la sede provvisoria del Liechtenstein, per allontanarsi dal teatro della guerra. E poi lei pensa che russi, americani od inglesi tollererebbero all’interno delle zone da loro controllate l’esistenza palese ed indisturbata di un covo di cospirazione?”. Qualche tempo dopo, verso il dicembre 1943, cioè proprio quando Wolff era riuscito a far recedere Hitler dal suo pazzesco progetto, Spoegler ricorda di aver intercettato una telefonata fra Wolff ed un colonnello delle SS in cui quest’ultimo disse: “Meno male che quella brutta faccenda di Roma è rientrata”. Spoegler non comunicò a Berlino il compromettente colloquio. Wolff e Spoegler si incontrarono dopo la guerra ed il generale confidò all’ex tenente sudtirolese che sapeva di essere sotto controllo e che aveva tremato non poco quando l’incauto colonnello si era espresso in quei termini. Fino ad oggi quelle di Rahn e di Spoegler sono le uniche conferme, entrambe peraltro non dirette e totali, del Fuhrerbefehl impartito a Wolff>>.
Ha detto il generale Wolff: <<Il progetto di Hitler di far occupare il Vaticano e far deportare il Papa mi fu reso noto sotto il suggello della massima segretezza. Non vi furono istruzioni scritte per tutti questi ordini di Hitler rigorosamente segreti. Che Hitler avesse questo piano, può essere dimostrato anche documentariamente dopo l’avvenuta pubblicazione dei frammenti del verbale dei colloqui sulla situazione nel Quartier Generale del Fuhrer, del 26 luglio del 1943, dove è esplicitamente trascritta la risposta di Hitler ad una domanda su ciò che doveva essere fatto con il Vaticano: “Io entro subito in Vaticano. Credete che il Vaticano mi metta soggezione? Sarà subito invaso… Me ne infischio… Staniamo fuori tutto quel branco di porci… Poi ci scuseremo… Per noi è indifferente…”. Questi frammenti del verbale dei colloqui sulla situazione sono stati pubblicati in un libro dell’Istituto di Storia contemporanea a Monaco. Con ciò il fatto storico è ineccepibilmente accertato. A motivo della segretezza, non ho però reso noto questo piano di Hitler né al Papa, né a qualcuno del clero. Questo non ero in grado di farlo per il mio onore di ufficiale. Praticamente, questo non era nemmeno possibile in alcun modo, poiché finché ne avevo la responsabilità, come in questo documento ho dimostrato, potevo rimandare, ed infine impedire totalmente l’esecuzione di questo piano. In questo contesto, mi viene appunto in mente che il Papa ha apprezzato anche questi miei sforzi. Il Papa mi disse cioè, alla fine dell’udienza: “Quante disgrazie si sarebbero potute evitare se Dio l’avesse condotto prima da me!”. Trovo documentata anche per iscritto questa espressione nel volume di Enzo Hohe, pubblicato dalla Fischer-Bucherei, Der Orden unter dem Totenkopf (L’Ordine sotto l’insegna del teschio) – La storia delle SS, vol. 2, p. 591. >> (Brani della testimonianza del generale Otto Wolff al processo di beatificazione di Pio XII. www.30giorni.it. Reperibile per via telematica).