INTERESSANTE:1940: un bambino lombardo ascolta alla radio la registrazione, di qualche anno addietro, del discorso di un politico, ammalatosi di megalomania, e sente pronunciare, urlare, durante l’inaugurazione della Hollywood europea, Cinecittà, questa frase: “Il cinematografo è l’arma più potente”.
Ascolta gli applausi, affascinato, e guarda, in un angolo, un pavimento di terra, sulla tavola due tozzi di pane e un po’ di cacio, una panca impolverata, una finestra con un angolo di cielo: c’è tutta l’Italia degli anni trenta in quell’angolo, con i suoi silenzi serali, con il suo odore di stalla sotto la camera da letto e di stufa perennemente accesa d’inverno, di storie perse, di notti senza luce; il bambino guarda il nulla pieno di storia e pensa che il cinematografo è l’arma più potente.
Non sa bene cosa sia il cinematografo, anche se sa bene cosa sia un’arma, ed il pensiero gli resta in mente. Il bambino cresce, passa la guerra, la fame, le bombe nei campi, il dopoguerra, arriva il benessere, l’Italia scorda tutto, e , nella sua mente, resta sempre quella frase, un po’ nell’inconscio, un po’ nella realtà: “Il cinematografo è l’arma più potente”.
1981: da bambino guardavo “Bim Bum Bam” ed i cartoni animati su Italia uno, durante la mia adolescenza, d’estate, il pomeriggio scorreva tranquillo con Canale 5, le sue serie tv ed i suoi filmetti da serie b, piacevoli tuttavia, mentre a sera, dai sedici anni in poi, Retequattro mi faceva apprezzare e scoprire con “I bellissimi” alcuni amici, che mi avrebbero tenuto compagnia nelle mie notti insonni da universitario lontano da casa, i cui nomi erano Tornatore, De Niro, Bellocchio, Lo Cascio. Nel frattempo eroi italiani di nome Falcone, Borsellino e molti altri volavano, chi su un’autostrada, chi davanti al portone di casa, dalla terra alle stelle, fra il dolore di chi non riusciva a comprendere, la stupidità di chi non voleva comprendere e l’indifferenza generale, tipicamente italiana.
Più grande, iniziai a leggere, non costretto da una sterile educazione scolastica, ed ai miei amici cinematografici si unirono i Toscano2, Mersault3, Elio Vittorini, Pablo Neruda, e, più tardi, Montanelli, Sartre, Sciascia, Steinbeck e molti altri, che mi offrirono il “dono migliore”: un pensiero indipendente.
La televisione ormai la guardo esclusivamente quando sono a pranzo con i miei genitori, e quello che vedo non mi piace affatto, per il resto, resta un mezzo che può prendere vita soltanto tramite un lettore dvd: io scelgo cosa vedere, non cosa mi propina qualcuno che, certamente, non vuole il mio bene, piuttosto la mia alienazione.
Vecchio a ventotto anni, non mi stupirò mai abbastanza del successo di Roberto Saviano, forse perché conosco altri nomi che gli italiani hanno dimenticato, uccidendoli realmente, come Sciascia, Pasolini, ma anche nomi molto, molto meno noti, uno per tutti, Mauro De Mauro, giornalista de “L’Ora”, e molto altro, “scomparso” molti anni addietro.
L’Italia scorda sempre, tuttavia non voglio parlare di Saviano in questo articolo (anche se ho le mie idee in proposito e un giorno le esporrò), voglio piuttosto parlare di una frase, di una considerazione di Sciascia, che ci permette di comprendere la società di oggi, la mia generazione e, soprattutto, per quale motivo in Italia c’è una dittatura legale, voluta decisamente da suoi cittadini.
La mafia è fenomeno antico: uno fra i primi documenti che abbiamo è una relazione di Pietro Ulloa, magistrato in Sicila e Procuratore del Re a Trapani, risalente al 1838, nel quale l’Ulloa informa il re borbone della presenza di una associazione malavitosa organizzata in quella periferia una volta sveva, una volta spagnola, una volta francese che è il Sud Italia.
Il mafioso, sostiene Sciascia un secolo e mezzo dopo Ulloa, non sa di essere tale, o meglio, essendovi nato all’interno, per lui la mafia è l’ordinario, il giusto, il mondo reale, mentre lo Stato un avversario da fronteggiare. Soffermiamoci su questa frase: “il mafioso non sa di essere mafioso” perché è nato nella mafia, e nella sua forma mentis la mafia è lo stato ideale, non vi sono alternative, anzi, spesso la mafia, la camorra sono aziende con un posto più che sicuro (l’apice di ciò lo si può vedere nell’avventura di don Raffaele Cutolo, che garantì ai suoi affiliati uno stipendio addirittura).
Cosa c’entra questo con Mediaset e la mia generazione?
Nascendo davanti una televisione, crescendo con un nome costantemente ripetuto, iperbolicamente ripetuto, urlato dalle tre reti private più celebri del paese per anni, è perfettamente normale che oggi molti della mia generazione accettino Berlusconi come capo: quando eravamo piccoli era colui che decideva i nostri programmi, oggi, cresciuti, è colui che comanda le nostre vite, e noi, come i mafiosi di Sciascia, non riusciamo a vedere un’alternativa a questo stato di cose perché ne siamo cresciuti dentro, ne siamo parte.
Nell’inizio di questo articolo ho detto che un politico4, ammalatosi poi di megalomania, quasi cento anni fa, inaugurò l’odierna Cinecittà (dopo che la Cines era misteriosamente bruciata) sostenendo che “Il cinematografo è l’arma più potente”; un imprenditore lombardo, nauseato dai troppi soldi, con voglia di comandare, questa lezione la ascoltò da bambino, guardando l’Italia intera in un angolo, la capì benissimo e verso la fine degli anni settanta decise di creare il suo cinematografo: la sua arma migliore, non di distruzione, ma di alienazione di massa.
Ed ecco come mai Silvio Berlusconi oggi comanda l’Italia: il sogno di un bambino che, seguendo un affermazione – consiglio (lungimirante) di Mussolini, ha letteralmente creato i suoi elettori, plasmato le loro menti.Abbiamo Berlusconi al governo perché siamo nati in Berluscolandia: guardavamo le partite e c’era lui ed il suo Milan, guardavamo la televisione e i suoi canali erano i migliori, leggevamo i libri, e la Mondadori era di sua proprietà, volevamo dei soldi? C’era la banca Mediolanum…non lo sapevamo, ma eravamo già berlusconiani sin da bambini, pronti a servire il padrone, la professione che, del resto, gli italiani sanno svolgere al meglio, avendolo fatto per secoli con spagnoli, francesi, austriaci, e molti altri, come la Grande Nannò5 di Balzac…ecco dunque che Sciascia, istruendoci sul fenomeno mafioso, ci permette di comprendere perché Berlusconi oggi comandi l’Italia.Qualche giorno addietro il presidente ha pronunciato una frase : “Saremo qui per sempre”. E per una volta mi trova d’accordo, io, che, pur senza essere di sinistra, sono totalmente avverso a questa dittatura mediatica, sono d’accordo perché per una volta Berlusconi ha detto il vero: saranno qui per sempre, ci sono sempre stati e ci saranno per sempre, non ci sono alternative, e non ci sono perché piano piano le hanno “fatte fuori” tutte.Non so come mai, ma mi viene in mente che una delle prime attestazioni della lingua italiana, in volgare, è l’iscrizione che si trova nella Basilica di San Clemente, a Roma, risalente al 1100, nella quale il padrone urla a degli schiavi che trascinano dei massi “Fili de la pute traite”, “Tirate figli di puttana”, la prima, acerba e dozzinale manifestazione dell’italiano….mentre la più celebre, e la più antica, è quella della testimonianza ad un processo di un contadino, i celebri “Placiti Capuani” del 960…l’Italia nasce, almeno linguisticamente, con due iscrizioni: un processo e la dichiarazione di potere di un uomo su altri costretti, oltre alla fatica, anche all’umiliazione dell’insulto; ma l’iscrizione della basilica termina con una frase, pronunciata da San Clemente agli schiavi, che credo sia appropriata alla fase che l’Italia sta attraversando oggi: “Duritiam cordis vestris, saxa trahere meruistis” : “A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi”, da laico, concordo con il santo.