Di ritorno dall’ Afghanistan….

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Ho lasciato in quell’inferno bambini senza gambe, con la voglia di calciare un pallone…………di Filippo Baglini.


Ho lasciato in quell’inferno bambini senza gambe, con la voglia di calciare un pallone.

Ho lasciato donne mai viste, dietro ad un velo grigliato. La polvere delle strade mi e’ entrata nel naso appena sceso all’aeroporto e non se ne vuole andar via. Nei miei occhi c’e’ ancora il cratere nella terra di quell’esplosione  che ha ucciso sei giovani militari italiani, andati  in quel paese  in veste di Pace.

Ma come si fa’ a parlare di pace a Kabul? E’ il volto del diavolo. L’inferno in terra.

 Sembra che Dio si sia dimenticato degli uomini in quella striscia di terra in Asia centrale, la  zona piu’ pericolosa  del mondo. Li  ti accorgi subito, e non per sentito dire, di quanto noi siamo fortunati.

  Il nostro semplice gesto di uscire di casa e decidere dove andare senza pensare dove mettere i piedi, in Afghanistan diventa il problema piu grande, una delle cause principali di morte.

 In quello scenario mi e’ venuto  in mente a tutte quelle volte che ci lamentiamo per futili sciocchezze,  a tuttte quelle volte in cui ci possiamo permettere di buttare via un  amore come se fosse un giocattolo rotto, o di quando si grida di volere la liberta’senza nemmeno sapere veramente come sia stare  senza la liberta’, perche noi la liberta’, l’abbiamo sempre avuta.

A Kabul , si riaggiusterebbe ogni giocattolo rotto. Un militare, un caporale maggiore,  mi ha detto  che si ama intensamente anche in un minuto, in uno sguardo, perche’ esso potrebbe essere l’ultimo.

Come e’ possibile amare, gli ho detto in questo posto? “ E’ la cosa piu genuina che possiamo fare, io sono qui da tanto tempo, mia moglie e’ un militare come me, e ci sono altri come noi qui, che lottano per vivere  e amano intensamente, proprio in questo posto si capisce la vera essenza del volersi bene. Non per questo in altri posti non si ami, certo, ma spesso, e  lo dico per esperienza, quando ero in Italia, dire ti amo mi usciva in alcune occasioni senza pensare, quasi in maniera meccanica, troppe volte scontata. Qui ho rivalutato il senso di tutto.”

E’ proprio  vero quello che mi ha detto il caporale, noi  sprechiamo ogni minuto con la persona amata. Non apprezziamo le nostre ore, i nostri giorni e spesso non facciamo caso neanche alla nostra vita. Ci nascondiamo nei nostri vizi, nelle nostre paranoie, figlie del benessere, e non ci accorgiamo della ricchezza che abbonda fino a traboccarci dalle mani, dalle orecchie, dalla bocca.

Ogni nostro semplice gesto quotidiano  ci sembra regolare,  il ripetersi delle nostre azioni giornaliere ci annoia e si  perde tempo con i  tarli della mente, con le  paure, con le  incertezze.

In Afghanistan non c’e tempo per annoiarsi, se lo si fa, si muore. Li non c’e’ tempo per scegliere la marca della bottiglia di acqua minerale, perche’ l’acqua non c’e’, non c’e’ tempo di sceglere la  scuola migliore per i propri figli, perche’ le scuole sono macerie. Non c’e’ tempo per sorridere, perche’ non c’e nulla da ridere davanti a un bambino che muore per strada,saltato in aria solo per aver  rincorso un gioco.

Ai nostri figli non diciamo "non uscire perche’ potresti morire", ma "va’ e divertiti". In Afghanistan,  i bambini non sanno cosa vuol dire giocare veramente, e le loro madri non  fanno vedere  loro il sole, per  vederli vivi un altro giorno.

Ho visto un uomo della mia eta’ senza un braccio, non so cosa mi ha detto, le parole erano troppo impastate in un pessimo inglese gommoso,  ma i suoi occhi mi hanno gridato la paura, erano neri, spenti, lividi di sangue, quasi a dirmi cosa ci facevo io lì.

In quella terra hai solo il senso della morte. Non hai neanche il tempo di avere paura. In quel teatro realistico,  mi sono venute in mente le parole di una mia conterranea, Oriana Fallaci, che nel suo splendido libro Intervista a se stessa,  parla cosi della morte "Hai paura della morte?.. […] …. No, non ho paura della morte,l’ho vista fin da bambina durante la seconda guerra mondiale quando correvo sopra i corpi che non avevano corso abbastanza […], poi in Libano, in Messico, in Vietnam..e nel cuore….solo che la odio, la morte…e’ uno spreco… che non capisco, capisco soltanto che fa parte della vita, e che  senza quello spreco che chiamo morte non ci sarebbe la vita….” 

A Kabul, si apprezza la vita. Apprezzi ogni odore della vita, ogni piega nascosta, ogni lamento. Le ore, anche se sembrano dilatarsi all’infinito, e la sera, che non arriva mai, apprezzi ogni singolo ticchettio del tempo, e aspetti con ansia la notte, perche’ almeno sai che sei  vivo un giorno in piu’. Le semplici cose che noi consideriamo normali, come far la spesa nei negozi, la passeggiata del sabato,  il gelato la domenica, sono attimi inesistenti, inconcepibili, irrealizzabili.

Da noi la donna si ribella, ha i suoi giusti diritti, lavora, parla, può permettersi di essere adultera. In quel posto, la donna non esiste, se si ribella, le tagliano la gola. Eppure, tra i quadretti di un velo, ho visto due occhi neri come il carbone, pronti all’amore.Ma ho visto anche la rassegnazione di chi non puo’ fare cosa vuole. Quei due pezzi di notte  mi hanno guardato intensamente per un istante,  poi sono scomparsi,rifugiandosi nella pieta’, nella paura di avermi guardato, vergognati di averlo fatto, terrorizzati di aver appoggiato lo sguardo su un uomo. Davanti a lei due uomini con fucili in spalla mi hanno sorriso mostrandomi i pochi denti giallastri. Mi hanno guardato come soddisfatti della loro posizione di uomini,della loro supremazia sulla donna. Uno di loro ha preso la ragazza per un braccio e l’ha portata via, doveva essere il suo padrone.

L’Afghanistan  e’ parte integrante del mondo e come tale parte di noi.  Si dovrebbe vivere e fare cose normali, come vengono fatte in altri paesi definiti ricchi, e invece come in Africa,  i bambini sono gia’ stanchi di vivere al primo mese. A pochi minuti dalla nascita, mi raccontava un medico, i loro occhi si spalancano di getto,  spaventati dal frastuono delle mine e dei rumori della guerra, e restano fissi nel vuoto, come per dire “ Dove sono? Rimettetemi al buio, dentro la placenta…”. Il fatto e’, che quello sguardo lo conservano per tutta la  vita.

La vita media a Kabul e’ di circa 45 anni. Ma alcuni bambini  non arrivano ad un anno, gli ospedali sono praticamente inesistenti, le medicine non ci sono, le malattie pullulano e mangiano vite e i cani mangiano le carcasse umane.

Ci sono centri delle nazioni unite dove lentamente si cerca di ristabilire la dignita’, di recuperare vite e dare la possibilita’ di impare un  lavoro, una eroica missione , una piccola speranza che tra anni, forse, ristabilira’ la completa tranquillita, soffocata e uccisa dal regime talebano.

Non si e’ mai al sicuro nemmeno quando si e’ in casa o in albergo, dentro un letto. C’e’ sempre nell’aria tra le molecole, quella sensazione di vuoto e di silenzio che precedono le grandi catastrofi. Per le strade ci sono i soldati americani e quelli delle nazioni unite in missione di pace . Gia’,  chiamare una missione, PACE, in una terra dove  la guerra e’ di casa da anni mi sa di ipocrisia, mi sa di presa in giro, per le persone che vivono e muoiono sotto gli attachi.  Sei giovani italiani che avevano nel cuore  il patriottismo dello stato,  civili,  vecchi, bambini sono saltati in aria come coriandoli, morti ammazzati da una bomba:  questa dovrebbe essere la pace? Ma dove sta la pace? La liberta? Dove stanno?!

 Qui ci sono solo sirene assordanti notte e giorno, la pace non esiste, esiste solo scritta su qualche muro bucherellato da pallottole. No! La pace non c’e, come non c’e’ la liberta’. Miliaridi di dollari spesi  dagli USA  e  dalle Nazioni Unite non hanno risolto il problema. Li si muore ancora ammazzati.

E noi stiamo a lamentarci di come trovare la nostra liberta’ ogni giorno. Siamo talmente stolti, accecati da questo mondo di plastica e di metallo, fatto da luci artificiali, che perdiamo di vista  le  cose reali, le cose che contano veramente nella vita.

E ci permettiamo di sprecare tempo, perdere persone,  la liberta, l’amore, alla ricerca di qualcosa che abbiamo gia’.  In Afghanistan il tempo e’ speranza di vita.

E non e’ da meno la situazione in Pakistan, nelle zone  in mano ai gruppi estremisti Pashtun, sono vietati alle donne l’ istruzione e il lavoro; uomini e donne sono tenuti a vestirsi come da tradizione (gli uomini con la barba, le donne con il burqa).Per strada, meglio guardare per terra per non incrociare sguardi di fuoco pronti a   saltare in aria, perche’ tutti potrebbero essere loro, i Kamicaze di Allah.

Ti guardi in giro e vedi pezzi di terra aridi, smisurate distanze che si allungano fino sotto le montagne del Pakistane vere e proprie mine a cielo aperto. E pensi che tra quei buchi di pietra si potrebbe nascondere il volto del terrore, si potrebbe nascondere un gruppo di talebani pronti a far saltare in aria l’occidente.I talebani, già vincitori nello Swat, si stanno ora imponendo a Islamabad, con il terrorismo contro la popolazione. Il patto di febbraio (libera Sharia in cambio della pace) non ha funzionato, e non funzionera’ nessun patto di pace. Non esiste pace dove ci sono armi, dove ci sono bambini che soffrono, che muoiono, dove  ci sono donne inesistenti, dove non c’e la liberta’. Non ci sara’ mai pace finche’ ci saranno nazioni che armano altre nazioni.

Mi e’ venuto il dubbio di  quale sia il mondo vero, quello dell’occidente,ricco, fantasioso, giocherellone, spensierato, traboccante di parole, occupato solo a sceglire il profumo piu’ costoso, o il ristorante piu’ buono, o  quello scenario in Asia centrale? Quale e’ il mondo vero, quale quello falso? Ma come e’ possibile vedere un bambino  con un fucile in mano, con lo sguardo gia’ da grande da un lato del mondo e, dall’altro  della stessa sfera terrestre, vedere un bambino cotonato da sua madre, imbambolato come una marionetta, alle prese con un capriccio?

A ricordarmi che siamo sotto il solito cielo, ci ha pensato la cupola azzurro scuro della sera. C’era la luna, e una stella lontana, forse era Sirio. Avevo sopra di me l’indifferenza e la stabilita’ del cielo stellato, e la passione amara di essere un puntino piccolo piccolo impotente in quella striscia di terra martoriata, venuta alle cronache solo per il male,solo per la guerra, conosciuta come il cancro dell’Asia . Si parla solo del Pakistan o Afghanistan quando ci sono persone che si sbriciolano per terra, solo quando muore qualche ministro, o se ci sono minacce per l’Occidente. Ma non si parla mai, per esempio, dei vivi che lottano per vivere.

Non si parla mai di loro, di quei visi abbronzati che nei mercati cercano di sopravvivere alla miseria, vendendo miserie a poco prezzo, eppure ho visto anche tra loro lo sforzo di un sorriso, segno evidente della forza della vita. Al contrario di quello che possiamo pensare, anche in quel posto c’e la forza di ridere, c’e’ il tempo, la sera, di pensare all’amore, vicino o lontano,  anche se le atrocita’ del giorno dettano la loro legge. C’e’ il tempo per pensare agli errori fatti, alle parole non dette e alle troppe versate. Tra gli sprazzi di silenzio ci si perde per ritrovare una parte di noi dimenticata.

No,no, non e’ retorica questa, non e’ moralismo, ma realismo; fa bene ricordare queste cose, fa bene alla nostra mente distratta. Non mi importa se qualcuno scuote la testa, o una spalla, o si mette a ridere, l’importante e’ che lo faccia con la convizione di essere veramente una persona libera, di essere consapevole della fortuna di un sorriso. Sarebbe gia’ qualcosa.

Si!. Qui tra la morte, ho capito la vera forza della vita, di cosa vuol dire amare ed essere liberi di farlo. Ho capito quanto siamo ipocriti nei nostri orgogli, nei nostri gesti quotidiani, nelle parole sprecate inutilmente per dire cose inutili contro il vento. Ho avuto la conferma che il mondo che vedo e’ un  palcoscenico, dove attori e comparse, vanno e vengono, rubandosi  la scena, ma la realta’, quella vera, sta dietro alle quinte dove l’urlo silenzioso dei non protagonosti batte e si  infrange sulle nostre vanita’.

Ho lasciato un pensiero sopra quella Luna silenziosa, botola segreta di inganni e speranza: che la morte fara’ il suo rumore, ma la vita e’ piu assordante di ogni altra sinfonia.