Il Bluff Dell’Unione Europea

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 Nella trappola geopolitica sono caduti i pronipoti del suo antico parto. Altro che alfieri, torri, cavalli e regine, mangiati e messi in scacco dalla stampa neghittosa, che rifiuta di abbracciare le cause più nobili. Il panorama d’intorno viaggia su binari comuni. Siamo i meno accorti, la sindrome della comare ci rende patetici nel denigrare usi e costumi degli inquilini di Montecitorio, eppure i confratelli non hanno meno scheletri nell’armadio. E l’Unione Europea è ben lontana dall’esserlo. Dalla fine del sistema bipolare ad oggi è un continuo moltiplicarsi di frontiere, nello spazio che va dall’Atlantico agli Urali. Nazioni nuove, semi-stati ed entità difficilmente classificabili. Solo la metà dei soggetti del continente aderisce, con modalità peraltro differenti, allo spazio comunitario; gli altri restano in posizione neutrale, o sono troppo instabili per poterne guadagnare uno. Vi è poi l’area della ex Russia, che tutti vedono come una babele in "libertà provvisoria". Insomma, una macedonia globale. Con mezzo continente fuori dal gioco, l’UE non può considerarsi un consesso reale, ma solo un accordo certificato fra paesi che mettono in comune risorse, per poi contendersele nuovamente. Quando si dice la genialità.

A dispetto di quanto starnazzano critici o entusiasti, non è l’Unione che determina gli Stati, bensì il contrario. Chi prende le decisioni è il Consiglio, cioè l’organo che riunisce i governi, e non la Commissione. Pertanto, l’opinione pubblica è vittima di un artificio retorico: crede che sia l’Europa a prendere decisioni, quando invece sono gli Stati a stabilirne regole e politiche. Non può neppure esistere un vero Parlamento, se non all’interno di un quadro statuale in cui vengono rispettati gli equilibri fra i diversi poteri, e dove il popolo esercita la sovranità. In sostanza, la Stanza dei Bottoni è un forum di rappresentanti di varie nazioni, priva di qualsiasi potere. A questo enorme deficit strutturale si assommano gli allargamenti che hanno reso il tutto meno omogeneo, tanto che l’unica caratteristica che accomuna i membri è, paradossalmente, la mancanza di un progetto condiviso. L’esatto contrario di quanto stava alla base della filosofia: primi anni cinquanta, sei stati aderenti, e la finalità di risparmiare alle generazioni future la tragedia della guerra appena terminata. Era un pensiero federalista, che avrebbe dovuto creare una ragnatela normativa e istituzionale tale da rendere impossibile ogni conflitto sul continente. Ambizioso o no, si trattava di un disegno eccellente, andato disfacendosi per la fretta di annettere, conglobare, aprire le borse a nuovi investitori. Ora mancano leadership e idee; nessuno ha le capacità per proporsi alla guida del processo d’integrazione, e il motore franco-tedesco non gira più. La perdita di influenza da parte americana sul Vecchio Mondo, poi, ha accentuato la crisi, perché il principale promotore del global sharing si è allontanato, mentre la chiusura feudale dell’Est ha rafforzato i muraglioni. Speriamo non aprano il ponte levatoio solo al compromesso, al blando coordinamento fra questi sgraziati esecutivi di cronica e recidiva indecisione.