Nella trappola geopolitica sono caduti i pronipoti del suo antico parto.
A dispetto di quanto starnazzano critici o entusiasti, non è l’Unione che determina gli Stati, bensì il contrario. Chi prende le decisioni è il Consiglio, cioè l’organo che riunisce i governi, e non la Commissione. Pertanto, l’opinione pubblica è vittima di un artificio retorico: crede che sia l’Europa a prendere decisioni, quando invece sono gli Stati a stabilirne regole e politiche. Non può neppure esistere un vero Parlamento, se non all’interno di un quadro statuale in cui vengono rispettati gli equilibri fra i diversi poteri, e dove il popolo esercita la sovranità. In sostanza, la Stanza dei Bottoni è un forum di rappresentanti di varie nazioni, priva di qualsiasi potere. A questo enorme deficit strutturale si assommano gli allargamenti che hanno reso il tutto meno omogeneo, tanto che l’unica caratteristica che accomuna i membri è, paradossalmente, la mancanza di un progetto condiviso. L’esatto contrario di quanto stava alla base della filosofia: primi anni cinquanta, sei stati aderenti, e la finalità di risparmiare alle generazioni future la tragedia della guerra appena terminata. Era un pensiero federalista, che avrebbe dovuto creare una ragnatela normativa e istituzionale tale da rendere impossibile ogni conflitto sul continente. Ambizioso o no, si trattava di un disegno eccellente, andato disfacendosi per la fretta di annettere, conglobare, aprire le borse a nuovi investitori. Ora mancano leadership e idee; nessuno ha le capacità per proporsi alla guida del processo d’integrazione, e il motore franco-tedesco non gira più. La perdita di influenza da parte americana sul Vecchio Mondo, poi, ha accentuato la crisi, perché il principale promotore del global sharing si è allontanato, mentre la chiusura feudale dell’Est ha rafforzato i muraglioni. Speriamo non aprano il ponte levatoio solo al compromesso, al blando coordinamento fra questi sgraziati esecutivi di cronica e recidiva indecisione.