TU ROSTRO MANANA

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L’Italia che dorme: l’America, il kapò, Javier Marìas e Bernardo Bertolucci. 
 
Se il conformismo è probabilmente la qualità che meglio designa l’italiano almeno dalla caduta dell’impero romano (ma anche da prima), la sua capacità di adattarsi al “comune sentire”, di adeguarsi, di rinnovarsi costantemente nel “sempre uguale”, il trasformismo è certamente la politica che ogni partito del belpaese persegue, con ferma costanza, dalla nascita della nazione sino ad oggi.


Negli ultimi cinquant’anni tuttavia, accanto alle opere cartacee che ci permettevano di riflettere su questi due, contigui e spesso trasversali fenomeni, va accostata molta produzione cinematografica, di qualità ed in grado di distinguersi e sortire il medesimo effetto, la riflessione, spesso in maniera anche più efficace.

Non che letteratura e cinema siano immuni da conformismo e trasformismo, anzi, ne sono immersi a volte in maniera talmente profonda da divenirne non solo gli esecutori, ma spesso anche i fautori, i creatori; tuttavia ci sono molte alternative valide: in questo articolo ne esporrò due, per la letteratura una spagnola, rispondente al nome di Javier Marìas, scrittore contemporaneo, e per il cinema una decisamente italiana, Bernardo Bertolucci, dinosauro regista, nelle loro due opere, dai titoli rispettivamente: “Manana en la batalla piensa en mi” ed “Il conformista”.

Mentre il libro di Marìas è probabilmente, assieme a “Corazòn tan blanco” e “Negra espalda del tiempo”, una fra le sue opere più note, il film di Bertolucci è praticamente sconosciuto alla massa, pubblicato nel 1970 e finito nel mattatoio – dimenticatoio.

Perché  queste due opere? Perché vi è, come direbbe uno storico, soluzione di continuità, e di contiguità: pubblicate quasi a trent’anni di distanza, sono in grado di descrivere benissimo il modus operandi e il modo di pensare (teoria e pragmaticità), il lifestyle di una società che cerca disperatamente di toccare il fondo, anche se il fondo sembra, grazie agli sforzi della classe dirigente, sempre più lontano di come ce lo potevamo immaginare.

Scelgo uno scrittore iberico per descrivere l’Italia in quanto l’opera di J. Marìas coglie, nell’ombra della finzione narrativa, l’essenza delle persone in questione, soprattutto nella prima parte, nelle prime quaranta pagine direi, come solo chi vive in un paese sotto molti aspetti simile all’Italia (e sotto altrettanti molto diverso) potrebbe fare.

Una breve sinossi : “Domani nella battaglia pensa a me” inizia con il racconto di una cena alla quale Victor, il protagonista, si reca, a casa di Maria Tellez, donna sposata e con voglie adultere. Tuttavia, le cose non vanno per il verso giusto e la donna muore in seguito ad un malore. Victor, non chiamando dottori o vicini, assiste al decesso indifferente, e dunque decide di andare via, lasciando un bambino di pochi anni solo in casa con una donna morta, e la sua non è descritta come una fuga, piuttosto come un’azione che, ai suoi occhi, e anche agli occhi di chi legge, appare normale, logica. Successivamente Victor si “infiltrerà” nella famiglia della Tellez, e scoprirà il mondo che circonda la donna e lui stesso da un’angolazione notevolmente diversa.

“Il conformista”, pellicola di Bertolucci datata 1970, è invece la descrizione di un uomo che vuole essere a tutti i costi “normale”, indifferente, anonimo. Dunque inizia con il fascismo più puro, stigmatizzato, sublimato in memorabili fotogrammi, per poi rinnegare ogni cosa al momento in cui tutto cambia, tradendo anche i suoi amici (il finale è l’apoteosi di questa apostasia politica).

In entrambe le opere, distanti circa trent’anni l’una dall’altra, si nota come il desiderio di conformarsi alla norma sia spesso un volontario atto di comodità, un modo per risolvere i propri conflitti interni, il cui prezzo da pagare è l’annullamento della propria individualità, sacrificata, immolata alla massa, ed il premio è un eccellente anonimato, in grado di ibernare la persona, conservandola e preservandola, una sorta di mummificazione intellettuale, nella quale la persona resta esteticamente la stessa anche se privata della sua capacità di giudizio e scelta.

Certo, nel libro dello scrittore spagnolo questo processo è molto meno evidente (ma si vedano anche i contesti e gli anni nei quali le due opere sono state pubblicate) : il protagonista pare anzi essere fuori dalla massa, avere comportamenti che tradiscono il sentire comune, eppure, la sua stessa professione, il ghost writer, è la dimostrazione di come la sua remissività, il suo voler scomparire, il suo desiderio di anonimato, sia qualcosa di accostabile al protagonista del film di Bertolucci, ed all’atteggiamento italiano contemporaneo.

Il subire passivamente una situazione, senza provare neppure a porvi un rimedio, senza neppure osare tentare, è una qualità intrinseca di molti italiani, anzi, direi di molte popolazioni del sud del mondo, repubbliche sudamericane, stati fantoccio africani etc etc…e, dinanzi ad uno stato di cose, per quanto assurdo, l’unica reazione che queste persone possono avere è quella di inserirsi nella corrente dominante, nell’ideologia del capo, filosofia che ha sempre imperato in Italia, e di idolatrare il loro idolo.

Per troppo tempo agli italiani, nella classe politica dirigente italiana, è mancato un kapò, un uomo che provenisse dal loro interno, uno di loro, e che, tuttavia, si ponesse in una posizione di superiorità, ma che conservasse, anzi, ipertrofizzasse e sacralizzasse i loro vizi.

Ora lo hanno trovato, e per nulla al mondo lo lasceranno: questo popolo è fatto così, ha bisogno di un padrone, ma di un padrone interno, o almeno la parvenza di ciò. In un certo senso Berlusconi è molto più capace di Mussolini: è Mussolini ed allo stesso tempo Starace, è l’idolo ed il creatore e promotore massimo del suo mito.

Un anziano sardo, presidente della repubblica, che di politica se ne intende davvero, durante un’intervista rilasciata tempo addietro, ha dato dell’Italia la definizione di “repubblica dalla sovranità limitata”, limitata dall’ingerenza americana, e ciò è noto a tutti : non è un segreto che l’Italia sia un paese che, almeno per quarant’anni, è stato il satellite dell’America, l’avamposto contro il “pericolo rosso”, e che, per quanto i governanti di questo paese volessero fare gli indipendenti, dovevano sempre rendere conto agli Stati Uniti delle loro mosse, potevano dunque agire in maniera limitata.

Il popolo italiano, la massa, avrebbe accettato, senza dubbio, ma mai idolatrato, un padrone straniero: e dunque ben vengano politici fantoccio. Tuttavia, anche i ricchi piangono, ed anche la massa si stanca anche dei fantocci: vuole un capo, o meglio, un idolo, un conformista che sia come loro, o meglio, che sia un uomo comune all’ennesima potenza: il prototipo dell’uomo comune ed allo stesso tempo il suo ingigantimento.

Un kapò, ripeto, che li sì comandi, ma nel quale loro si possano soprattutto rispecchiare : lo hanno trovato, e se lo tengono stretto.

Non basterà neppure una generazione a riparare al danno che la classe politica odierna sta attuando oggi in Italia, destrutturazione del sistema economico, scolastico, sanitario, svilimento di ogni titolo di studio…e a breve, probabilmente nel giro di una decina d’anni, ci troveremo a vivere un secondo dopoguerra, senza, tuttavia, gli aiuti dei quali abbiamo beneficiato dal 1945, perché non vi è stata nessuna guerra, nessun nemico, solo un colpevole, che non è il kapò in questione, ma il popolo stesso, incapace di farsi un’autocritica seria e costruttiva.

Questo articolo si intitola “Tu rostro manana”, come una trilogia di Marìas, che, tradotto, vuol dire “Il tuo volto domani”: come sarà il nostro volto domani?

Non è difficile vederlo, basta guardare invece che ad ovest ad est, verso  paesi quali la Romania o altri, oppure a sud, verso l’Africa: diverremo il paese più ricco, il primo, dei paesi sottosviluppati, primato invidiabile, quanto tuttavia potremo rimanere in Europa, questo non può saperlo nessuno.

Dice il principe Fabrizio Salina ne “Il Gattopardo” di Tomasi Di Lampedusa “Bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è”: una bella frase, da incidere sulla lapide posta sopra la tomba dell’Italia.