INTERVISTA a Enzo Zirilli musicista ( riconosciuto a livello mondiale) un po’ di critica all’Italia

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Abbiamo incontrato al Ronnie Scott, il famoso jazz club londinese,  Enzo Zirilli. Enzo Zirilli oggi è riconosciuto come uno dei più creativi ed espressivi musicisti del contesto jazzistico internazionale. Intervista di Maurilio Marengo foto Masha Konstantinova, e-mail: mkonstantinova@ymail.com

Quella sera Enzo si esibiva con la cantante jazz Barbara Raimondi.

Enzo Zirilli, è un creativo eccezionale, non solo in quanto musicista ( riconosciuto a livello mondiale), ma anche nel suo modo straordinario di parlare, di esprimersi e nella sua attitudine verso la vita. Io ho l’abitudine di raccogliere le espressioni verbali più interessanti, evocative o metaforiche, che sento in giro, in una mia personale raccolta di pensieri straordinari; dalle conversazioni con Enzo di pensieri straordinari ne ho estratti molti.

Molto di quanto avviene comunicando non può essere espresso attraverso le semplici parole, anche per questo esiste la musica. Le conversazioni che propongo sono sempre molto semplici e perciò spero risveglino l’attitudine dei lettori alla curiosità e all’approfondimento.

Ma ora passiamo alla conversazione con Enzo Zirilli.

 

-M.M. Da quanto tempo vivi a Londra?

-E.Z. Vivo a Londra da 7 anni. Quando ho deciso di trasferirmi qualcuno mi ha preso per pazzo; in effetti avevo già 36 anni e in Italia collaboravo con musicisti fantastici come Dado Moroni, Enrico Pieranunzi, Flavio Boltro e tanti altri; anche nella musica pop avevo avuto collaborazioni con Gloria Gaynor e, per molti anni, con Rossana Casale.

In realtà quella di lasciare l’Italia è stata una necessità interiore molto forte; sentivo che doveva esserci qualcosa di molto più vasto ed aperto, che mi avrebbe permesso di confrontarmi con altre culture e attitudini, rispetto a quelle del “piccolo mondo” della provincia italiana, tutta lobby e raccomandazioni con cui convivevo a fatica ormai da troppo tempo.

-M.M. Com’è collaborare con i musicisti anglosassoni/americani?

-E.Z. I musicisti americani, e quelli anglosassoni, hanno un grandissimo rispetto per il lavoro e il fare spettacolo, per il pubblico, per i colleghi.

Io ho lasciato l’Italia anche perché è un paese individualista, gli italiano sono talmente presi da loro stessi al punto da accorgersi pochissimo degli altri, dei colleghi e del pubblico.

I musicisti americani e inglesi provengono da una cultura molto diversa da quella italiana. Hanno gli occhi aperti sul pubblico e sui colleghi, si suona davvero assieme, con attenzione reciproca, non certo in modo quasi competitivo come spesso accade tra musicisti italiani.

Vi basti sentire il suono delle Big Bands americane, ma anche inglesi, tedesche, nordeuropee, per capire cosa voglia dire il lavoro di squadra. E nelle stesse vi suonano solisti eccezionali, che però non esitano a mettersi al servizio della Band.

-M.M. Perché hai scelto Londra?

-E.Z. Intanto ero stanco di un paese che premia quasi sempre con chirurgica precisione la mediocrità. L’Italia non ha mai finito di essere un paese medioevale, non unito, dove le persone non collaborano, si dividono in gruppi separati e prevalgono gli interessi personali a discapito della riuscita collettiva. Questo vale purtroppo anche per la politica e per tutti gli ambiti lavorativi.

Ho scelto Londra perché ha tutta una serie di caratteristiche che mi fanno sentire a mio agio, e nota che io sono di origine siciliana, siciliano mi sento e anche molto orgoglioso di esserlo.

Musicalmente sono cresciuto ascoltando i Beatles, i Pink Floyd, I Genesis, ma allo stesso tempo Jmmy Hendrix, Miles Davis, John Coltrane, Charlie Mingus, Art Blakey. A Londra sono rappresentate tutte queste influenze e si intersecano al meglio e questo si sposa perfettamente con il mio modo di intendere la musica.

Ringrazio dunque il “sistema Italia”, con i suoi “addetti ai lavori”, che addetti non dovrebbero proprio essere, i critici che pontificano e disquisiscono ma non sono mai saliti su un palco in vita loro, se non in sogno, né in molti casi hanno mai ascoltato attentamente un disco di jazz o di qualsivoglia genere. Li ringrazio davvero perché mi hanno dato la spinta emotiva e la forza fisica per rimettere tutto in discussione ed “emigrare”, pur di non dover dipendere dai loro “si, no, ni, vediamo…”. Mi hanno dato l’opportunità di conoscere altri musicisti straordinari.

Purtroppo i musicisti italiani sono i primi responsabili della triste situazione italiana e del potere che hanno preso gli organizzatori, i critici, i giornalisti. I musicisti spesso per una recensione in più o il loro nome in un programma “chinano la testa” a qualsiasi condizione. Oggi in Italia gli organizzatori hanno un potere enorme e i loro nomi sono scritti al di sopra dei nomi dei musicisti.

-M.M. Spostiamo l’attenzione sul tema dell’insegnamento. Tu come insegni?

-E.Z. Innanzitutto non ho mai basato la mia attività sull’insegnamento e insegno solo a persone che sono davvero interessate al mio modo di fare musica.

Io insegno facendo riferimento alle esperienze quotidiane, in modo che lo studente si relazioni in modo normale e rilassato allo strumento, come se facesse una normale attività quotidiana. Per esempio, nel jazz è fondamentale il relax nel walking o portamento. A me piace parlare per metafore ai ragazzi e quando faccio loro ascoltare un brano di jazz, affinché abbiano percezione del groove e dell’andamento, li invito a pensare a un playmaker di basket che palleggia e chiedo loro di palleggiare con un pallone vero, a ritmo di musica; solo dopo li invito a lasciare il pallone e a trasferire il “palleggio” sul piatto della batteria.

C’è un brano di Bud Powel che si intitola “Bouncing with Bud”, o il brano “Billie’s Bounce” suonato da Charlie Parker. Sono dei capisaldi del jazz e significano letteralmente “rimbalzando con Bud” e “il rimbalzo di Billies”.

Gli anglosassoni usano spesso il termine bounce(rimbalzo) per indicare il groove, cioè la cosa che ti fa muovere il piede.

I ragazzi subito sembrano straniti ma poi gli si apre un sorriso a 32 denti.

L’esperienza che tengo di più a insegnare loro è stare sul palco con gioia, il piacere di ascoltare il più possibile gli altri musicisti e relazionarsi con loro per fare davvero musica insieme.

Inoltre è molto importante cercare di suonare lo strumento nel modo più espressivo possibile.

Quando la musica funziona è grazie soprattutto all’aspetto ritmico, poi quello melodico, infine quello armonico.

 

-M.M. Parlami di jazz.

-E.Z. Per me il jazz è l’espressione musicale più libera del secolo scorso, ma al tempo stesso la più disciplinata.

Per apprezzarne la libertà espressiva devi essere estremamente disciplinato.

Per me il jazz è una disciplina di libertà.

Il jazz mi ha attratto fin da subito per il fortissimo aspetto ritmico e la varietà e raffinatezza degli accordi, rispetto a quelli usati nel rock.

-M.M. Come hai iniziato?

-E.Z. Ho iniziato in casa, dove mio fratello più grande ascoltava jazz. Mio fratello era un divoratore di musica a 360 gradi.

E il mio maestro di quando avevo 10 anni, Giorgio Gandino, mi ha trasmesso l’amore per lo strumento e per la musica; lui suonava in un’orchestra sinfonica ma era un grande appassionato di jazz. Mi ha trasmesso l’apertura verso tutti i generi musicali.

-M.M. Tu a Londra suoni spesso al Ronnie Scott…

-E.Z. Si, e qualche tempo fa proprio al Ronnie un italiano del pubblico è venuto a ringraziarmi per un mio concerto che aveva visto 3 anni prima in Italia. I musicisti dovrebbero avere la sindrome di pollicino, cioè lasciare dei segni negli spettatori, in modo che tornino ad ascoltare la musica dal vivo.

-M.M. In musica come fai a scegliere?

-E.Z. La batteria è formata da una famiglia di suoni, già di per se un’orchestra. Posso essere al tempo stesso il cantante, il bassista, il batterista e lo strumento a fiato. Se decido di tenere un groove e di far parlare la cassa, vuol dire che penserò da bassista, ma allo stesso tempo con la mia sinistra sul rullante posso esporre la melodia o il riff di fiati. E’ fantastico, no?

-M.M. Permettimi una domanda al di fuori della musica: che cosa pensi siano le maschere.

-E.Z. Ma forse le maschere sono una difesa per chi le indossa e un azzardo per lo spettatore. Forse rappresentano quello che le persone vorrebbero fare nella vita ma non trovano il coraggio o la forza di fare.

Io se facessi l’impiegato forse mi metterei la maschera da musicista.

 

 Intervista di Maurilio Marengo foto Masha Konstantinova, e-mail: mkonstantinova@ymail.com