L’ubriacatura di liberismo iniziata negli anni Ottanta ha monetizzato ogni cosa, e dopo un percorso lungo un ventennio, ha consegnato al mercato un diritto umano universale: l’acqua. Così, anche il più gratuito e fondamentale dei beni passerà nelle mani del business privato. Col decreto legge Ronchi e 302 voti a favore su 565, la Camera ha decretato l’espropriazione della gestione pubblica del servizio idrico agli enti locali, ignorando ogni etica e la testimonianza delle altre nazioni. Un’esperienza negativa, sostengono i cugini d’oltralpe. Parigi, infatti, ha appena fatto retromarcia, revocando il contratto alle multinazionali Suez e Veolia, per tornare a municipalizzare le risorse idriche. Gli USA e l’esempio di Atlanta sono un altro monito che, i nostri parlamentari, si sono bevuti in un sorso. Avvelenato. Tra fischi e volantini, i deputati di Italia dei Valori hanno scatenato una rivolta in Aula, e i rappresentanti del Forum dei movimenti per l’Acqua sono insorti in un coro di unanime dissenso. Seguiti dall’opposizione, da molte figure istituzionali e comitati spontanei di cittadini. Il salto nel buio è assicurato, quando c’è troppa luce dinanzi. È facile prevedere disfunzioni, tariffe pazze, aumenti retroattivi e bollette fuori controllo; inoltre, dove fiorisce la speculazione, si innestano i rami di associazioni malavitose e loschi infiltrati. Impicci amministrativi, maggiori costi, tutto ruota attorno a quel nodulo amaro, passato alla storia in pochi minuti: decreto 135/2009. Nell’articolo 15 precisa che la proprietà pubblica dell’acqua dovrà essere garantita, ma dal 2011 la stessa gestione locale sarà conferita in via ordinaria attraverso gare d’appalto, con deroghe solo in situazioni eccezionali. Che equivale a svuotare anche la metà ancora piena del bicchiere. In sostanza, trasporti, rifiuti, risorse idriche, tutto è in vendita. Le nostre acque sorgive naturali sono da tempo nel paniere dei grandi investitori stranieri, e il trend attuale conferma la rotta. Senza ripensamenti. Salvo referendum abrogativi, improbabili rimorsi di coscienza e sommosse popolari, marciamo beati verso un mondomarket dove ogni cosa è regolata dal profitto. L’aria, per ora, è al riparo da questa abiezione, ma che nessuno provi a suggerirlo. Potrebbero mettere insieme due zoppi e tentare di farne un corridore, o escogitare un sistema per misurare quanta ne respiriamo.