Il Summit danese, si terrà nella capitale dal 7 al 18 dicembre. Scopo principale e di firmare un accordo post-Kyoto per la limitazione di emissioni di CO2. ( presentiamo in qesto articolo una sintesi cronologicamente delle tappe precedenti al summit danese, per spiegare ai lettori di che cosa si andra a parlare nei prossimi approfondimenti da COPENHAGEN)
La strada per Copenhagen è lastrica di intenzioni. Se siano buone o cattive è difficile dirlo, di sicuro sono tante. Soltanto negli ultimi mesi, infatti, si sono susseguite come una raffica di mitragliatrice le dichiarazioni di intenti dei singoli stati per preparare il terreno al summit danese, che si terrà nella capitale dal 7 al 18 dicembre, allo scopo principale di firmare un accordo post-Kyoto per la limitazione di emissioni di CO2.
Prima tappa significativa, settembre a New York, Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Appuntamento importante per Obama, il quale ha fatto gli onori di casa proponendosi come presidente delleGreen Economy, il piano che segna l’uscita degli USA da 8 anni di pressoché totale mutismo sul tema ambiente. Una grande sfida per il presidente statunitense, la cui legge sulla riduzione di CO2, approvata dalle camere, era ancora in attesa di ratificazione da parte del Senato e in costante lotta contro le resistenze delle lobby americane. Altra grande sfida per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in sede newyorkese, è stato il debutto del presidente cinese Hu Jintao. Sulla Cina, infatti, insieme agli Stati Uniti uno dei principali responsabili per le emissioni di CO2, scommetteva il Segretario Generale Ban Ki-moon, uno dei principali promotori del summit di New York.
Nulla di concreto è emerso alla fine dell’incontro, se non il riconoscimento, seppure non ufficiale, di un’asse Cina-Usa, particolarmente temuto dall’Europa, e un appuntamento generale a dicembre a Copenhagen.
Ratificato, dunque, in via del tutto ufficiosa a New York, l’asse G2 asiatico-statunitense è emersa in forma chiara e dolorosa per gli ambientalisti e i sostenitori americani della Green Economy a Singapore alla metà di novembre. Un no secco alle riduzioni dell’inquinamento arriva infatti a novembre dall’incontro tête à tête tra un Obama sfiancato dalla battaglia per la riforma sanitaria e dalla bocciatura della legge sulla CO2 e Hu Jintao, il quale, pur avendo avviato una riconversione verde dell’economia cinese, non è disposto a fare il primo passo verso i vincoli sulle emissioni.
Un colpo ai reni del presidente danese Lars Rasmussen, invitato in tutta fretta a Singapore, dove è stato costretto a riconoscere che a Copenhagen si potrà raggiungere tutt’al più un accordo politico e stabilire il luogo per un nuovo incontro nel 2010.
Poche settimane dopo Singapore, si unisce alla voce cinese quella del ministro dell’Ambiente indiano Jarain Ramesh, il quale dichiara: “Se il documento danese contiene indicazioni temporali il vertice sarà un fallimento”, e spara a freddo le quattro condizioni poste dal proprio governo. Innanzitutto, niente vincoli sulla riduzione delle emissioni serra, nei paesi in via di sviluppi ancora fortemente legati al Pil. Secondo, niente controlli internazionali senza aiuti economici. Terzo, nessuna scadenza cronologica per la riduzione di CO2. Quarto, nessuna barriera economica per le merci ad alto impatto ambientale.
Posizioni dure, nette e difficilmente conciliabili con le proposte europee e con gli auspici dei climatologici. Un tavolo difficile e composto da diverse esigenze, quindi, quello che si troverà a gestire Ivo de Boer, il segretario ONU che guiderà la conferenza a Copenhagen. Da un lato l’Unione Europea che ha deciso di tagliare le emissioni del 20% rispetto al ’90, con margine di miglioramento al 30% se lo faranno anche gli altri; dall’altra il fronte dei colossi asiatici, con la Cina che aumenterà l’efficienza energetica del 40% entro il 2020, ma non si è impegnata sul taglio totale da raggiungere e l’India, alla testa del fronte del no all’accordo, che promette aumenti di efficienza del 20-25% entro il 2020 e chiede fondi per tecnologie pulite. Infine gli Stati Uniti, disposti a tagliare del 17% rispetto al 2005, ovvero il 3% rispetto al ’90.
In tutta questa atmosfera di delegittimazione, tuttavia, Copenhagen non molla e continua a rilanciare la sua proposta di vita ed economia ecologicamente sostenibili. La capitale danese, specialmente dopo l’annuncio di Obama che ha garantito la propria presenza alla conferenza, messa in dubbio dal dopo Singapore, dal 9 dicembre, tiene duro e propone un programma ricco e sensibilizzatore di supporto allo svolgersi delle conferenze.
Per accogliere le 192 rappresentanze attese da tutto il mondo tra rappresentanti di governo, aziende e società civili, il presidente Rasmussen e Connie Hedegaard ministro per la gestione della conferenza climatica hanno stilato una serie di eventi e iniziative per la promozione di una nuova way of life ecologicamente corretta.
Sito di riferimento della conferenza sarà il Bella Center, edificio nella parte sud della città, non lontano dall’aeroporto. Tutti i partecipanti potranno prendere qui le informazioni di cui hanno bisogno, e sempre in questa sede si terranno la maggior parte delle conferenze e partiranno la maggior parte delle iniziative.
Fra le principali, una serie di Energy Tours, visite guidate per la città nei siti di produzione di energia eolica, da cui il paese ricava il 20% del proprio fabbisogno energetico, e nel settore agricolo alla scoperta dell’iniziativa Energy Out of Nothing, atta a mostrare come dal riciclo dei rifiuti si possa creare materia prima per l’agricoltura.
Molto interessante anche il ciclo di iniziative legate all’educazione e sensibilizzazione ecologica nelle scuole. Il governo danese ha infatti investito molto negli ultimi anni nell’insegnamento ai bambini fin dai primi anni di scuola di pratiche di vita ecologicamente sostenibili. Can Education Change the Climate?, si chiede uno degli incontri che si terranno nei giorni della conferenza, durante il quale si discuterà sull’incisività degli insegnamenti scolastici aventi per tema l’ambiente. Da sottolineare a questo proposito, l’azione capillare che alcuni studenti danesi stanno facendo quotidianamente da mesi per l’iniziativa “Climate Family” che si propone di analizzare i comportamenti quotidiani di novantamila famiglia. Dall’utilizzo di lampadine a risparmio energetico, alla raccolta differenziata e all’utilizzo moderato di lavatrice e asciugatrice, “Climate Family” si propone di diffondere una sensibilità per cui le sorti del pianeta dipendo dalle nostre scelte quotidiane.
Del resto, con il 17% dei consumi energetici proveniente da fonti rinnovabili, 450 km di piste ciclabili e un’area verde raggiungibile camminando in 15 minuti dal 90% degli abitanti, la Danimarca si presenta come un paese modello da seguire passo passo in tema di politiche ambientali.
Quanto di questo spirito riuscirà a oltrepassare le mura della stanza dei bottoni è difficile da prevedere. Quel che è certo è che la capitale danese farà del suo meglio per promuovere l’idea che si può vivere su questa terra senza soffocarla e allo stesso tempo senza rinunciare alla modernità.
Viola Caon