Copenhagen_ Mentre l’attenzione dei media nazionali è concentrata sul summit ufficiale che sta avendo luogo nelle stanze del Bella Center, il resto della città è brulicante di iniziative, conferenze e
manifestazioni alternative che a quel summit indirizzano i propri messaggi, nella speranza di essere ascoltati.
Punto di incontro di maggiore interesse in questo senso è il DGI byen, edificio a 100 metri dalla stazione centrale dove ONG, associazioni civili e artisti provenienti da tutto il mondo trovano il loro spazio all’interno del Klimaforum09, un vero e proprio summit parallelo a quello ufficiale.
“Uno spazio aperto a tutti”, dice Mèriem un’attivista venuta apposta dalla Francia per manifestare il proprio dissenso. Ed effettivamente il Klimaforum, con le sue 190 conferenze, 50 mostre e una decina di spettacoli tra danza, teatro e concerti, è veramente uno spazio aperto, zona franca per tutti coloro che hanno la necessità di esprimere la propria opinione e portare attivamente il proprio contributo nel dibattito sul cambiamento climatico.
Un ingresso sempre trafficato e colorato, dove è possibile trovare volantini di tutti i tipi, da quelli ufficiali della stampa locale, a quelli di associazione eco-sensibili come l’italiana Legambiente, ai volantini pirata dei gruppi di attivisti sparsi per la città. Dietro il bancone informazioni, giovani volontari provenienti da tutto il mondo lavorano senza sosta per dare informazioni e indicazioni a chi è arrivato da poco ed è in cerca della conferenza X nella sala Y.
Ed è davvero un bel da fare stare dietro alle richieste di tutti, perché se i volontari sono tanti, le conferenze sono certamente di più e tutte estremamente interessanti. Con una media di 20 al giorno, gli incontri, rigorosamente aperti a tutti, che si tengono al Klimaforum affrontano tutte le tematiche principali al centro del dibattito climatico, affrontandole come si vorrebbe che venissero affrontate al summit ufficiale.
Diffusione di energie alternative rinnovabili, agricoltura ecologica, costruzione di reti collettive di mobilitazione e discussione di sistemi economici alternativi a quello capitalista sono i fulcri centrali delle riflessioni che animano le intenzioni degli speaker al DGI byen.
“Dobbiamo investire nel lavoro delle ONG”, dice Raymond Myles, responsabile di INFORSE- International Network for Sustainable Energy- durante la conferenza sulle energie sostenibili per i paesi in via di sviluppo. Promotore della campagna EVD, Eco Village Development, Myles ha deciso di puntare sulle risorse di energie rinnovabili e locali per lo sviluppo dell’economia del proprio paese. “In India la maggior parte della produzione dipende dalla donne che lavorano in ambienti rurali”, sottolinea sua moglie Eehrin, da sempre insieme a Myles in questa campagnia, “quindi abbiamo deciso che è bene investire nel loro lavoro per lo sviluppo del paese e che è ancora meglio farlo utilizzando le risorse locali.”
Utilizzare le risorse locali, investendo nell’economia prevalentemente agricola senza bisogno di industrializzare, è quindi uno degli scopi principali di questa ONG internazionale. Investire, cioè, nell’energia eolica, nelle risorse idriche e negli impianti fotovoltaici per inserirsi in un ciclo di produzione consapevole dell’ambiente e delle condizioni climatiche in cui opera, così da non interferire negativamente con esso ed essere invece in grado di trarne vantaggio e di rinnovarne le potenzialità.
Uno scopo ben più ambizioso agisce, in realtà, alla base di questa ONG: una transizione rapida al 100% di energie rinnovabili entro 20-40 anni. Centri di studi e di ricerca sono già attivi da anni in Nepal, da dove Ganesh Ran Shresta porta i risultati del “Center for Rural Technology”. Di nuovo, investire nelle risorse naturali di energia rinnovabile: fondamentalmente, acqua, sole e vento. Niente di più facile, se questo progetto non collidesse fastidiosamente con gli interessi economici del capitalismo avanzato.
Nuovi modi nei quali ripensare all’agricoltura come attività centrale dell’essere umano, e ridurre così le emissioni di gas nocivi derivanti dall’industria pesante, sono il cavallo di battaglia di altre ONG, associazioni e centri di ricerca anche in altre parti del mondo. Annie Shattuck, analista per la policy food californiana, ha introdotto il concetto di “agriecologia” all’interno del dibattito sull’agricoltura ecologica e la sovranità del cibo come risposta al cambiamento climatico. “Non dobbiamo pensare”, ha detto la Shattuck “che l’agricoltura alla quale pensiamo sia uguale a quella dei nostri nonni. Si tratta di un tipo di agricoltura che si avvale di strumenti tecnologici ecologicamente sostenibili.”
Scopo principale di questi network è costruire comunità di resistenza al cambiamento climatico attraverso, appunto, la sovranità del cibo e l’agricoltura ecologica.
“Spero che dal Bella Center ascoltino le nostre parole”, ha concluso Wahu Kaara responsabile per il Kenya del “Millennium Development Goals”. “La mia gente ha fame e si ritrova ad avere a che fare con la morte quotidianamente. Per quanto mi riguarda non c’è futuro finché non si ricomincia a dare importanza alla vita umana.”
Chissà se al Bella Center si riuscirà a fare orecchie da mercante anche su questo.
Viola Caon
Copenhagen
|
http://www.copenhagen.com/ |